questa specie di rubrica è stata parecchio trascurata nelle ultime settimane e in realtà avrei dovuto parlare di due libri che non vorrei nominare per due diversi motivi.
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il primo è una raccolta eterogenea di fatti storici, leggende, curiosità di Brescia e della sua provincia: scritto davvero male, direi senza capo né coda, né metodo (per questo è meglio lasciarlo anonimo), da due volonterosi che hanno tuttavia col-lavorato tantissimo (passatemi il neologismo), raccogliendo una mole immensa di dati, tra i quali si trova anche moltissimo di interessante.
insomma, un libro decisamente brutto, che tuttavia vale la pena di leggere, almeno per chi è incuriosito dall’argomento.
chi l’ha mai detto che soltanto i libri belli sono interessanti e da leggere?
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del secondo non dovrei parlare per un motivo in parte simile, perché non l’ho letto tutto, e dunque comprenderlo nella rubrica potrebbe essere abusivo.
l’ho trovato molto ripetitivo, tanto che ho via via rallentato la lettura e alla scadenza del prestito della biblioteca non ho neppure chiesto di prorogarlo e l’ho restituito senza finirlo.
eppure la tesi centrale è veramente interessante, anzi oserei dire che non si dovrebbe potere fare a meno di conoscerla: mette in discussione, con ricchi riferimenti scientifici, la tesi corrente che vede nella riproduzione una trasmissione meccanica del DNA delle diverse specie da una generazione all’altra, con errori casuali, e cerca di sostituirla con una visione che definisce anarchica.
va be’, arrivato a questo punto, credo di non potermi esimere da una doppia citazione, quella di autore e titolo, e quella di una brevissima presentazione, più chiara ed efficace della mia:
il libro da conoscere è di Jean-Jacques Kupiec, La concezione anarchica del vivente.
ed è stato presentato così: Per Kupiec l’idea che un essere vivente sia solo l’esito di un «programma genetico» non regge più. La vita non è scritta da nessuna parte. È tempo che si affermi un nuovo paradigma scientifico in grado di affrancarsi dal dogma deterministico e di riconoscere la variabilità come proprietà primaria del vivente. La genetica è nata e si è sviluppata su un presupposto deterministico: la stabilità del gene e la sua trasmissibilità ereditaria. Eppure tutta la biologia contemporanea ci parla della variabilità come di una condizione permanente ed essenziale dell’essere vivente che non può essere ridotta a puro rumore o fluttuazione: il caso non è un accidente che perturba il processo deterministico. Nel vivente non c’è un ordine stabilito bensì un disordine organizzato che rende possibile la vita e la sua evoluzione.
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trovo questa tesi centrale affascinante; inoltre si collega anche ad una messa in discussione, sempre più frequente oramai, della classica distinzione tra ciò che si trasmetterebbe ereditariamente per DNA immutabile (a parte gli errori casuali), e ciò che veniva definito epigenetico, tipico della esperienza individuale, che resterebbe inaccessibile alle generazioni successive o al massimo trasmissibile solamente per via culturale.
e invece per Kupiec, per esempio, un trauma ambientale, come trovarsi a vivere in una carestia, lascerebbe una sua traccia sulla superficie del DNA.
in sostanza non soltanto la guerra atomica lascerebbe tracce indelebili negative sul DNA dei figlia dei sopravvissuti, ma qualunque guerra, come ad esempio ricorda anche questo post, Figli della guerra.
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quindi la stanchezza che mi ha preso prima di finire il libro, potrebbe essere legata al periodo particolare in cui ho affrontato questa lettura.
che è invece certamente da consigliare a chi è interessato al tema ed anche a chi pensa che sia da superare in campo scientifico ogni forma di pensiero deterministico.
se poi qualcuno, dopo averlo letto, tornasse qui a dire le sue impressioni, sarebbe davvero il massimo.