la carriera criminale di Erode e la sua fine, nelle Antichità Giudaiche. 19-3 a.C. L’Annuncio del Nuovo Regno: Introduzione. 9 – 257

componendo la sua seconda e monumentale opera sulla storia della civiltà ebraica, le Antichità Giudaiche, una decina d’anni dopo avere composto la Guerra Giudaica, per descrivere le circostanze che portarono alla sua quasi completa distruzione, almeno in Palestina, Giuseppe Flavio non cambia il suo globale punto di vista sulla figura di Erode e il suo giudizio sfaccettato su di lui: tuttavia cambia l’ottica con cui ne riesamina la vicenda, che ora vediamo esposta un’altra volta e ancora più analiticamente.

nella prima opera prevaleva il punto di vista di chi doveva apprezzarne il legame organico di Erode con l’impero romano; ora invece Giuseppe Flavio guarda dal punto di vista più critico di chi cerca di salvare dalla diaspora e nella diaspora la cultura ebraica – impresa in apparenza pazza e disperata – a questo ultimo grande re di un regno che aveva come capitale Gerusalemme, ma era in sostanza un vassallo dell’impero che dipendeva a sua volta dai giudizi di Augusto, come si vede nel breve periodo in cui cade in disgrazia presso di lui.

ma il giudizio più critico dipende dal fatto che le azioni criminali e da ultimo decisamente paranoiche del re violano le tradizioni, piuttosto che da un giudizio morale di tipo assoluto: a Giuseppe Flavio sembrano in realtà appartenere alle dinamiche quasi normali delle lotte dinastiche, e si immerge senza imbarazzo né sdegno particolare nei sanguinosi intrighi di quella corte assassina, seguendoli in tutto il loro dipanarsi, a volte decisamente incomprensibile.

del resto in quegli stessi anni Cleopatra non aveva sterminato completamente la sua famiglia?

eppure è passata alla storia più nella sua veste quasi simpatica di seduttrice in sequenza dei grandi uomini di potere piuttosto che in quella di assassina seriale.

ma a Cleopatra ha certamente giovato la morte romantica, col morso voluto del serpente; niente di paragonabile alla morte atroce e puzzolentissima di Erode che viene ucciso da una cancrena progressiva che lo colpisce come primo punto ai genitali.

invece Giuseppe Flavio critica costantemente Erode per il suo scarso rispetto delle tradizioni ebraiche, in sostanza per essere troppo aperto ad un modo di pensare interculturale, ed è questo, secondo lui, il suo peggiore delitto.

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passando alla trascrizione del libro XVI e dell’inizio del XVII, con la descrizione degli ultimi caotici e penosi anni di Erode, una storia di decadenza mentale e poi anche fisica, senza altra grandezza che quella del terrore paranoico e della crudeltà, rinvio alla fine di questa citazione lunghissima le mie considerazioni più puntuali e, credo, piuttosto importanti su quanto viene narrato e sul suo rapporto con quanto dicono di Erode due vangeli, quelli secondo Luca e secondo Matteo.

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Antichità GiudaicheLibro XVI

16, 1 – I, I. – Nell’amministrazione dei pubblici affari, allo scopo di reprimere le soperchieria che vi si commettevano sia in città che in campagna, il re emanò una legge diversa dalle precedenti, legge che egli stesso promulgò. Essa ordinava che chi rompeva le mura di una casa fosse venduto e allontanato dal regno, punizione, questa, che non solo pesava fortemente sui colpevoli, ma importava anche una violazione dei costumi della patria. 2 Poiché essere venduto schiavo a estranei e a quanti non hanno lo stesso genere di vita, essere costretti a compiere qualunque cosa tali uomini comandino, era più un’offesa contro la religione che un castigo dei colpevoli, specialmente allorché il seguente genere di punizioni era osservato nei tempi passati: 3 quelle leggi ordinavano che un ladro doveva pagare il quadruplo di ammenda, se incapace di tanto, si doveva vendere, ma in ogni caso non a forestieri né il colpevole era soggetto a schiavitù vita natural durante, ma doveva essere liberato dopo sei anni. 4 L’asprezza e l’iniquità della pena, allora stabilita, parve doversi attribuire all’arroganza di un uomo che governava non da re, ma da tiranno, che non tiene conto degli interessi dei suoi sudditi. 5 Tale modo di agire, così simile al resto del suo comportamento, fu in parte motivo delle accuse fattegli e dell’antipatia verso di lui.

6 – 2. Fu in questo tempo che Erode compì un viaggio verso l’Italia per incontrare Cesare [Ottaviano], e per rivedere i suoi figli che risiedevano a Roma. Da Cesare ebbe un’accoglienza amichevole, e tra le altre cose gli consegnò i figli, i cui studi erano ormai finiti e gli concesse di portarseli a casa. 7 Quando furono ritornati dall’Italia, il popolo dimostrò molto interesse per i giovani che attiravano l’attenzione di tutti per la grandezza della loro fortuna e perché le loro persone non erano indegne del rango regale. 8 Ma presto incorsero nell’invidia di Salome, sorella del re, e di quanti, con le loro calunnie, erano stati causa della caduta di Mariamne: costoro pensavano che non appena giunti al potere, i giovani avrebbero fatto pagare i crimini commessi contro la loro madre. 9 Questa stessa paura fece sì che, a loro volta, lanciassero calunnie contro i giovani, e sparsero la voce che essi non parlavano volentieri al popolo a motivo della morte della loro madre, tanto che ad essi pareva sacrilego coabitare con l’uccisore della donna che aveva dato loro i natali. 10 Con simili menzogne iniziate con apparente verità e proseguite con plausibilità, essi giunsero ad arrecare danno ai giovani e a distruggere l’affetto che egli sentiva per i figli. Quelli, in verità, non gli parlarono mai di questo direttamente. Ma quando i commenti trapelarono al resto del popolo e furono riferiti a Erode, gradualmente fecero nascere il suo odio che, nel corso del tempo, divenne così forte che la stessa natura non poté superarlo. 11 Per il momento il re, il cui affetto per quelli che aveva generato era ben più forte di tutti i sospetti e le calunnie, li onorava come era giusto, e quando raggiunsero l’età, provvide loro le mogli: sposò Aristobulo con Berenice, figlia di Salome, e Alessandro con Glafira, figlia di Archelao, re della Cappadocia. 12 – II, I. – Dopo di questo venne a conoscenza che Marco Agrippa era giunto in Asia dall’Italia, e subito si affrettò a incontrarlo e lo invitò a venire nel suo regno a ricevere il benvenuto che poteva aspettarsi dal suo ospite e migliore amico. 13 Ed egli si arrese alle sue fervide insistenza e venne in Giudea. Erode non omise nulla di quanto poteva essergli gradito: lo accolse nelle sue città di nuova fondazione e, mentre gli mostrava i suoi nuovi edifici, svagava sia lui che i suoi amici con gradevoli cibi e con fasto; questo avvenne sia in Sebaste, sia in Cesarea, al porto da lui costruito, e alle fortezze edificate con grandi spese: Alessan­dreion, Herodion e Ircania. 14 Lo condusse anche nella città di Gerusalemme, ove tutto il popolo incontrò Agrippa in abbigliamento festivo e gli diede il benvenuto con acclamazioni. In seguito Agrippa sacrificò a Dio una ecatombe e fece festa col popolo il cui numero non era inferiore a quello delle più grandi [città]. 15 Sebbene per lui personalmente, per quanto riguardava il suo gradimento, avrebbe voluto restare ancora molti giorni, era tuttavia incalzato dal tempo: pensava che l’approssimarsi dell’inverno non gli avrebbe reso sicuro il viaggio di ritorno nella Ionia che era obbligato a intraprendere. 16 – 2. Egli perciò si mise in mare dopo che Erode aveva onorato sia lui che le più distinte personalità del suo seguito con molti doni. Il re passò l’inverno a casa e, giunta la primavera, si affrettò a incontrare Agrippa, sapendo che era in procinto di guidare una spedizione al Bosforo. 17 Navigando tra Rodi e Coos approdò nelle vicinanze di Lesbo, pensava che qui avrebbe incontrato Agrippa. Ma qui fu colto dal vento del Nord che impedì alle sue navi di salpare, 18 e dovette attendere molti giorni a Chio, e quivi accolse amichevolmente le molte persone che lo visitavano e le conquistò con doni regali. E quando vide che il portico della città giaceva distrutto, era stato abbattuto nella guerra di Mitridate, e, a differenza di altre strutture, non era facile erigerlo nuovamente a motivo della sua grande dimensione e bellezza, 19 egli diede una somma di denaro sufficiente, ma più ancora per coprire la spesa di tutta la struttura e ingiunse di non trascurare quel lavoro, ma di realizzarlo sollecitamente restituendo alla città la sua bellezza. 20 Calmatosi, intanto il vento, egli navigò per Mitilene e di qui a Bisanzio e, saputo che Agrippa s’era già inoltrato al di là degli Scogli Cianei, si affrettò con tutta la possibile velocità al suo seguito; 21 lo raggiunse presso Sinope nel Ponto e quando inaspettatamente avvistò l’approssimarsi del suo naviglio, la sua apparizione ebbe il benvenuto, e ci fu uno scambio di calorosi saluti specie da parte di Agrippa per la grandissima prova di benevolenza e di affetto che gli parve di ricevere da parte del re che per lui aveva compiuto un così lungo viaggio, tralasciando per lui qualsiasi altro ufficio, e considerando questo il più importante tra i suoi doveri personali, compresa l’amministrazione del suo regno. 22 Erode, infatti, in quella spedizione, fu per lui ogni cosa: collega nel disbrigo degli affari di Stato e consigliere in varie occasioni, sollievo nei momenti di riposo, e il solo partecipe di tutte le esperienze a motivo della sua lealtà in tempi difficili e del comportamento rispettoso nelle occasioni di svago. 23 Compiuta la missione nel Ponto, per la quale Agrippa era stato mandato, decisero di non ritornare per via mare, ma per via terra attraverso la Paflagonia e la Cappadocia e di là, attraverso la Grande Frigia, raggiungere Efeso, e da Efeso navigare a Samos. 24 Molti furono i benefici concessi dal re in ogni città secondo i bisogni di quanti a lui ricorrevano. Egli, da parte sua, non si ritraeva da nulla per quanto riguardava denaro e ospitalità, pagando di propria tasca tutte le spese. Anzi, intercedeva per certuni che chiedevano favori ad Agrippa e faceva in modo affinché non restasse mai inesaudita ogni richiesta dei postulanti. 25 Sebbene Agrippa fosse gentile e generoso nell’andare incontro a quanti chiedevano qualsiasi favore a vantaggio del richiedente e non dannoso ad altri, l’incitamento del re fu un grandissimo stimolo nel guidare Agrippa a compiere buone azioni, benché egli non fosse restio a compierle di propria iniziativa. 26 Lo riconciliò con il popolo di Ilio, pagò i debiti che quelli di Chio avevano con i procuratori di Cesare, li liberò dai loro tributi e assistette ognuno che a lui ricorreva. 27 – 3. Quando giunsero nella Ionia, una notevole moltitudine di Giudei, abitanti in quelle città, si avvalse di quella opportunità per parlare con loro liberamente; andarono da loro ed esposero i maltrattamenti ai quali erano soggetti in quanto non era concesso reggersi conforme alle loro leggi e per soperchieria erano obbligati a comparire in giudizio nei giorni festivi; 28 dissero loro come fossero stati spogliati del denaro che avevano messo da parte per inviare a Gerusalemme e ancora come fossero costretti a partecipare al servizio militare, ai servizi civici e a spendere il loro denaro sacro per queste cose, sebbene fossero sempre stati esentati da questi doveri e fosse stato loro concesso di vivere conforme alle proprie leggi. 29 Mentre essi protestavano in tal modo, il re indusse Agrippa ad ascoltarli allorché peroravano la loro causa, ed egli diede il compito a Nicola [di Damasco], uno dei suoi amici, di parlare in favore della loro causa. 30 E allorché Agrippa prese come consiglieri gli ufficiali romani i re e principi che erano presenti, Nicola si alzò e prese a dire quanto segue in favore dei Giudei.

ometto il discorso, dato che si tratta, al solito, di una invenzione di Giuseppe Flavio, dal valore storico relativo; in esso si cerca di mettere in evidenza il lealismo verso i romani degli ebrei, ma anche il loro pieno diritto a vivere se condo le loro proprie tradizioni; ne salvo solo il passaggio finale dove si evidenziano i meriti di Erode e di suo padre Antipatro, verso i romani.]:

48 Noi perciò ti potremmo leggere molti decreti del senato e le tavole custodite nel Campidoglio. Sono privilegi che, sia chiaro, solo voi ci avete concesso, seppure dopo molte prove di fedeltà che noi vi abbiamo dato, e sarebbero valide anche se voi ce le aveste concesse prescindendo da qualsiasi condizione. 49 Giacché non solo per noi, ma per tutti gli uomini, siete stati benefattori nel vostro governo e avete conservato i diritti presenti e avete ancora aggiunto più di quanto sperassero; e il discorso sarebbe senza fine se uno volesse menzionare ogni beneficio che essi da voi hanno ricevuto. 50 Ma per mostrare che noi li abbiamo ottenuti a buon diritto, ci basta parlare liberamente, lasciando le cose passate, additare il nostro presente re e colui che gli sta a fianco. 51 Quali segni di benevolenza non ha egli compiuto per voi? Quale genere di onore non ha egli pensato per voi? In quale emergenza non si è egli dimostrato preveggente? Chi, dunque, vieta di porre i vostri favori nel numero di tanti altri benefici? 52 Forse, tuttavia è bene non passare sotto silenzio il valore di suo padre Antipatro, il quale, allorché Cesare invase l’Egitto, gli portò l’aiuto di oltre 2mila soldati con armi pesanti, dimostrandosi secondo a nessuno, ovunque era necessario, combattendo per terra e per mare. 53 Non giova ora riferire quale sia stato il vantaggio in quella circostanza, e con quanti e quali doni furono singolarmente ricompensati da Cesare, ma è il caso di ricordare la lettera scritta da Cesare al Senato, e come Antipatro ricevette pubblici onori e la cittadinanza? 54 Queste prove bastano per mostrare che abbiamo titoli per ricevere questi favori e per domandare che essi siano confermati da te, dal quale possiamo aspettarli anche se non li avessimo già avuti prima, vista la benevola disposizione del re verso di te e la tua verso di lui. 55 Dai Giudei di colà ci fu riferito che, allorché tu cortesemente sei andato al loro paese, hai fatto ricchissimi sacrifici a Dio e Lo hai onorato con preghiere rituali, hai dato al popolo grandi feste e hai da esso ricevuto doni ospitali. 56 Tutto ciò fu fatto per la città e per la nazione da un personaggio in carica con compiti pubblici così grandi e deve essere considerato segno e garanzia di amicizia che tu offri alla nazione giudaica dopo che te l’ha raccomandato la casa di Erode. 57 Ricordandoti queste cose e del nostro re qui presente seduto di fianco a te, non ti chiediamo nulla di speciale, ma soltanto che tu non permetta che gli altri ci privino dei diritti che tu stesso ci hai dato”.

58 – 5. A queste parole di Nicola, non si sollevò, dai Greci, nessuna contrapposizione, poiché i Giudei non disputavano di alcun punto specifico controverso, come se fossero in tribunale, ma chiedevano soltanto di essere liberati dall’altrui violenza. 59 E i loro oppositori non si difendevano negando di avere commesso tali cose, ma adducevano la scusa che i Giudei adesso spargevano per la loro regione ogni genere di mali; essi però si mostravano cittadini dabbene e onorando le loro usanze, non disturbavano gli altri. 60 Compreso che essi erano stati oppressi violentemente, Agrippa rispose che non solo per la benevolenza e l’amicizia che Erode aveva per lui, era pronto ad accondiscendere a tutto quanto domandavano i Giudei, ma, poiché gli sembravano giuste in se stesse le loro domande, non avrebbe esitato a concedere ancora più, perché ciò non recasse danno al governo di Roma. E poiché essi domandavano che non fossero annullati i diritti che già avevano ricevuti, egli avrebbe confermato i loro diritti a seguitare l’osservanza delle proprie usanze senza subire maltrattamento. 61 Ciò detto, licenziò l’assemblea; perciò Erode s’alzò, andò da lui e l’abbracciò, grato per la sua buona disposizione verso di lui. Agrippa, a tali parole, si mostrò riconoscente e rispose in eguale modo, gettò le braccia a Erode e, a sua volta, l’abbracciò. 62 Dopo partì per Lesbo, mentre il re decise di navigare verso casa, da Samos; così, dopo essersi congedato da Agrippa, si mise in mare e, incontrati i venti favorevoli, approdò a Cesarea non molti giorni dopo. Di qui partì per Gerusalemme e convocò un’assemblea di tutto il popolo della città, ed era anche convenuta una grande folla da tutta la regione. 63 Presentatosi davanti a loro, diede un resoconto dell’intero suo viaggio ed espose la situazione dei Giudei dell’Asia, affermando che, grazie a lui, in futuro non avrebbero più subito molestie. 64 Poi, dando un quadro generale della sua buona fortuna e del suo buon governo del regno nel quale, disse, non aveva trascurato nulla che potesse essere vantaggioso per essi e con fare allegro condonò loro un quarto dei tributi dell’anno passato. 65 Conquistati dal discorso e dalla gentilezza, se ne andarono colmi di gioia, augurando al re ogni bene.

66 – III, I. – Ma la discordia cresceva nella famiglia di Erode, e andava peggiorando sempre più: Salome aveva rivolto il suo odio contro i giovani, quasi fosse un’eredità, e cercava ogni trama contro la loro madre in modo così arrogante e ardito quasi non volesse lasciare vivo alcuno della sua stirpe che potesse vendicare la morte della donna che era stata eliminata da lei. 67 Da parte loro i giovani erano ambedue temerari e ostili al loro padre sia per il ricordo della morte immeritata della loro madre, sia per la voglia di dominare. 68 E dunque la situazione divenne pessima, così com’era prima, e i giovani lanciavano un linguaggio ingiurioso contro Salome e Ferora, e questi due mostravano malizia verso i giovani, e intessevano contro di essi trame insidiose. 69 Da una parte e dall’altra vi era uguale quantità di odio, diversa era la forma del loro odio. Infatti, gli uni, i giovani, inesperti quali erano, giudicavano che la forza dell’ira consistesse nel dire apertamente villanie e fare rimproveri: e così agivano in maniera precipitosa. Gli altri, invece, non si adeguavano a questo modo di agire, ma si comportavano in modo accorto, e fraudolen­temente seminavano calunnie, facevano di continuo presente ai giovani che la loro audacia contro il padre avrebbe condotto alla violenza. 70 Il fatto che essi non provavano alcuna vergogna per le mancanze della loro madre, e ritenevano che lei avesse sofferto ingiustamente, indicava che essi non potevano essere lontani dal vendicarsi, con le proprie mani, contro colui che credevano colpevole. 71 Infine tutta la città fu piena di tali discorsi e – come avviene in contese del genere – da una parte si compativa l’inesperienza dei giovani, dall’altra i piani di accusa intessuti da Salome prevalsero e nelle loro stesse azioni, lei trovò un’opportunità per evitare di parlare falsamente a proposito di loro. 72 Essi erano talmente tristi per la morte della loro madre che, allorché Salome parlò male di lei e di loro, fecero ogni sforzo per mostrare quanto fosse degna di compassione la fine violenta della loro madre, come di fatto lo era, e quanto degni di compassione fossero loro stessi, costretti a vivere con gli assassini di lei e sperimentare lo stesso destino. 73 – 2. Questa situazione si inasprì perché l’assenza del re fu occasione di discordia. Allorché Erode fece ritorno e si rivolse al popolo, come abbiamo detto sopra, fu subito avvicinato da Ferora e da Salome con la notizia che lo sovrastava un grande pericolo da parte dei giovani, che apertamente lo minacciavano affermando che non avrebbero lasciato impunito l’assassino della loro madre. 74 Ed essi aggiunsero che i giovani fondavano le loro speranze su Archelao, re della Cappadocia, con l’aiuto del quale potevano raggiungere Cesare e accusare il padre. 75 Udite queste cose, Erode rimase subito sconvolto, e più ancora accrebbe la sua agitazione allorché udì le stesse cose riferite da altri; e da questa sfortuna il suo pensiero corse a quelle avute in precedenza, riflettendo come anche dalle persone a lui più care non gli era giunto alcun conforto, neppure dall’amata moglie, a motivo delle noie venute sulla sua famiglia. E credendo che l’imminente sfortuna avrebbe avuto effetto più pesante e più grave di quella che gli era già piombata addosso, restava in uno stato mentale confuso. 76 Poiché, a dire la verità, una potenza divina gli aveva dato, negli affari esterni, molti esempi di buona fortuna, anche più grandi di quanto sperava, in casa sua, invece, contro ogni aspettativa, gli andava pressoché tutto al peggio, da ambo le parti ogni cosa avveniva diversamente da quanto altri avrebbero pensato, lasciando il dubbio 77 se tanta felicità al di fuori fosse da scontare con le disgrazie domestiche, o se a tante tragedie in casa si dovesse sfuggire, a condizione di non possedere la invidiata potenza del re. 78 – 3. Mentre il suo animo era infelicemente sconvolto e attento a tenere a freno i giovani, fece venire presso di sé l’altro figlio natogli quando era un semplice cittadino e decise di onorarlo, il suo nome era Antipatro, non per esserne vittima come avverrà di lì a poco allorché gli mise in mano ogni cosa, 79 ma sem­plicemente pensando di umiliare l’arroganza dei figli di Mariam­ne e ammonirli più severamente servendosi di lui. 80 Poiché pensava che la loro temerarietà sarebbe cessata quando vedessero che non soltanto a loro e non per necessità spettava il regno. 81 Introdusse, perciò, Antipatro come per mettere al loro fianco un uguale, credendo con ciò di operare saggiamente e di potere di lì in poi calmare i giovani; e sarebbe stato possibile, al tempo giusto, trovarli in una condizione migliore per trattare. Ma la cosa non andò così come aveva pensato, perché i giovani ritennero trattarsi di un affronto fatto a loro, e anche perché Antipatro, dal carattere molto forte, assunse un’audacia che prima, quando non aveva alcuna speranza, non possedeva, e aveva solo la mira di maltrattare i propri fratelli e non cedeva loro il primo posto, ma stava sempre di fianco al padre già inasprito dalle calunnie e disposto a lasciarsi menare dove Antipatro voleva, a renderlo continuamente più duro verso i giovani, che già erano stati vittime di calunnie. 82 Queste non venivano soltanto da Antipatro, poiché questi curava di non apparire maldicente e si serviva di collaboratori che passavano come persone non sospette e all’apparenza agivano con lealtà verso il re. 83 E intanto c’erano molte altre persone del genere che corteggiavano Antipatro per le sue aspettative e trascinavano Erode con l’apparenza di fare tali rapporti per lealtà verso di lui. Mentre questi altri facevano lealmente la loro parte, i giovani fornivano loro sempre nuove e numerose opportunità di prose­guire. 84 Spesso versavano lacrime sul triste trattamento e sul disonore a cui erano sottoposti, invocavano il nome della loro madre e apertamente, davanti agli amici, cercavano di convincerli dell’ingiustizia del loro padre. Tutte queste cose erano maliziosa­mente annotate per i loro scopi, per Antipatro e i suoi amici, e riferite a Erode in una forma esagerata; giunse così il tempo di accrescere la sedizione domestica perché non erano cose di poco conto. 85 Il re irritato da queste calunnie, e volendo umiliare i figli di Mariamne, parve concedere continuamente maggiore onore ad Antipatro. Infine fu così fortemente dominato da lui tanto da introdurre sua madre nella famiglia. Spesso scrisse anche a Cesare su di lui e, in privato, lo raccomandò con grande calore. 86 E quando Agrippa se ne tornò a Roma dopo avere governato l’Asia per dieci anni, Erode navigò dalla Giudea per raggiungerlo portando seco soltanto Antipatro e l’affidò ad Agrippa affinché lo conducesse a Roma, scortato da molti regali, e lo facesse entrare nella cerchia degli amici di Cesare. Così parve che adesso tutta l’autorità fosse nelle sue mani, e i giovani restassero totalmente esclusi dal potere.

87 – IV, I. – Mentre Antipatro era lontano, avanzava in onore e nella sua posizione di preminenza, a Roma, infatti, era molto noto, Erode aveva scritto su di lui a tutti i suoi amici. 88 Ma gli pesava non trovarsi in famiglia con le continue opportunità di gravare di calunnie i fratelli, ma assai più temeva che il padre potesse cambiare idea a suo riguardo e, lasciato solo, potesse trovare qualche motivo per sentimenti più teneri verso i figli di Mariamne. 89 Riflettendo su tali pensieri, non abbandonò il suo proposito ma, sperando di angosciare il padre e mantenere alta la sua collera verso i fratelli, gli scriveva continuamente, con il pretesto della premura per la sua salute, ma in realtà per fomentare con la propria naturale malizia le grandi speranze che nutriva. 90 E condusse Erode a tanta collera e ostilità contro i giovani, che gli erano diventati odiosi, tuttavia esitava ancora a cedere completamente a un sentimento così forte e, affinché avversione e negligenza non lo inducessero in qualche errore, credette meglio recarsi a Roma e quivi accusare i figli davanti a Cesare, piuttosto che autorizzarsi a compiere un’azione che poteva venire guardata con sospetto in quanto ledeva grandemente la lealtà di una famiglia. 91 Giunto a Roma, avendo premura di incontrare Cesare, si affrettò a proseguire verso Aquileia. Avuta occasione di parlare con lui, gli domandò di concedergli l’opportunità di esporgli le grandi disavventure a cui gli pareva sottostare; e dopo avergli presentato i figli, li accusò di insolenza e cospirazione; 92 spiegò quanto gli fossero ostili e come escogitassero ogni mezzo per fare vedere il loro odio verso il proprio padre per ammazzarlo e impadronirsi del trono nella maniera più barbara, sebbene egli avesse avuto da Cesare l’autorità di lasciare il trono, alla sua morte, non in modo obbligatorio, ma liberamente a quello che a suo giudizio era il più degno. 93 Costoro non bramavano soprattutto il regno, ma solo l’ucci­sione del padre, incuranti di perdere e il regno e la vita, tanto era implacabile l’odio che bruciava nel loro petto. Questo stato infelice, egli lo aveva tollerato a lungo, ora si trovava costretto a renderlo noto a Cesare, imbrattandogli le orecchie con simili discorsi. 94 Eppure che male avevano sofferto da lui? In che modo lo possono rimproverare di troppa severità? Come può essere possibile e giusto che egli, padrone di un regno conquistato con molti sacrifici e pericoli non possa o possederlo o lasciarlo a uno che ne sia degno? 95 Perché è soprattutto questo il premio, tra gli altri, che offrirà per la devozione, che il figlio dimostrerà a suo padre per meritare una ricompensa così grande. 96 E’ chiaro che non è rispettoso da parte loro disporre liberamente di questo argomento, poiché bramare di continuo diventare re, equivale a pensare sempre alla morte del padre, poiché non è possibile che gli succeda in maniera diversa. 97 Quanto a sé, fino al presente, non ha mancato di dare lo­ro doni convenienti a sudditi e figli di un re, sia per ornamento, sia per servizio, sia per lusso; perciò li ha sistemati con matrimoni assai brillanti: a un figlio aveva dato la figlia di sua sorella, e ad Alessandro la figlia di re Archelao. 98 E ancora, quel che è più, dopo tali attentati, senza fare uso a loro danno di quell’autorità che aveva, li ha condotti davanti a Cesare, loro comune benefattore, rinunziando a tutti i diritti che poteva pretendere un padre offeso o un re insidiato, mettendoli in mano a un giudice neutrale. 99 Pertanto pregava di non essere lasciato del tutto invendicato, né essere obbligato a una vita sempre tra i pericoli, poiché neppure ai suoi figli, dopo tali disegni, sarebbe stato utile vedere la luce del sole qualora adesso fossero sfuggiti al castigo, dato che, in verità, avevano commesso il crimine più grave conosciuto dall’umanità e ne avrebbero subito le conseguenze. 100 – 2. Mentre Erode, con profonda emozione, esponeva queste accuse contro i suoi figli di fronte a Cesare, i giovani erano in lacrime e pieni di confusione; furono ancor più agitati allorché Erode finì di parlare, quantunque fossero convinti di essere innocenti di simile empietà filiale, 101 tuttavia sapevano che per essi sarebbe stato difficile, come fu poi in realtà, difendersi contro le calunnie addotte dal loro padre, poiché non era il momento opportuno di parlare francamente se volevano convincerlo di essere in errore nel suo abituale e affrettato uso della forza. 102 Così, incapaci di decidere su che cosa dire, versarono lacrime e proruppero in dolorosi sospiri; da una parte temevano che, restando in silenzio, potevano apparire abbattuti per la cattiva coscienza, dall’altra non si offriva loro una via agevole di difesa, sia per l’inesperienza dell’età sia per il turbamento nel quale si trovavano. 103 Cesare però, vedendo il loro stato di confusione, non mancò di comprendere come la loro esitazione non fosse dovuta alla coscienza di avere commesso crimini mostruosi, bensì alla loro inesperienza e diffidenza. Essi erano così oggetto di pietà per gli astanti, ma anche il loro padre fu toccato da una genuina emozione. 104 – 3. Allorché ebbero coscienza di un certo grado di gentilezza sia in lui sia in Cesare e videro che tra gli astanti vi era chi piangeva con essi dimostrando compassione per loro, i giovani cercarono di dissipare le accuse. Alessandro iniziò rivolgendosi a suo padre. 105 – Disse: “Padre, la tua benevolenza per noi è evidente anche in questo tribunale. Poiché se tu avessi in animo di intraprendere un’azione severa contro di noi, non ci avresti condotti qui davanti al salvatore di tutti. 106 Poiché, avendo tu l’autorità di un re, e l’autorità di un padre, tu potevi punire il colpevole; ma avendoci portati a Roma e facendo Cesare da testimone, hai compiuto un atto che indica che ci vuoi salvare: chi intende uccidere un altro non lo porta a un santuario o a un tempio. 107 E la nostra situazione è ancora peggiore, poiché non potevamo seguitare a vivere, quando si fosse creduto che noi avevamo offeso un tale padre; forse, anziché morire innocen­ti, sarebbe stato peggio vivere sotto il sospetto di essere colpevoli. 108 Perciò se il nostro parlare franco sarà accolto come veritiero saremo felici perché avremo persuaso te, e noi saremo sfuggiti al pericolo; ma se prevale la calunnia, la luce del sole di oggi è più di quanto possiamo desiderare; in verità che giova vivere, quando si è sotto il sospetto? 109 Ora, affermare che essi aspirano al regno, è una accusa plausibile, addotta contro dei giovani, ma aggiungere l’accusa riguardante la nostra infelice madre, è sufficiente per fare della nostra sfortuna presente un prolungamento della prima. 110 Considera tuttavia se queste non sono ordinarie e tali che si possono addurre ugualmente contro tutti i giovani. Infatti, se un re ha dei figli la cui madre è stata uccisa, nulla lo può trattenere dal sospettare che essi complottino contro il loro padre. Ma il sospetto non basta per provare una così grave empietà. 111 Dica chiaramente se noi abbiamo mai tentato di compiere una tale cosa da rendere credibile un’azione che comunemente è considerata incredibile. Chi può provare che noi abbiamo preparato il veleno o congiurato con i nostri coetanei o con servi corrotti o lettere scritte contro di te? 112 Eppure la calunnia a volte suole inventare queste cose, anche se non commesse. Poiché è una cosa terribile per il regno, quando la famiglia è in discordia; e il trono che tu hai detto essere premio della pietà filiale, spesso avviene che sia invece un incentivo per persone malvagie che ne fanno oggetto delle loro speranze e non hanno alcun freno in azioni perverse. 113 Or dunque, nessuno proverà infrazioni dalla nostra parte. Quanto alle calunnie, come potranno dissiparsi se egli non vuole neppure ascoltarci? Abbiamo parlato con eccessiva fran­chezza? Non fu di certo contro di te, sarebbe stato ingiusto, ma contro coloro che non sanno tacere, anche quando non c’è nulla da dire. 114 Qualcuno di noi pianse nostra madre? Non fu perché fu messa a morte, ma perché anche dopo morta il suo nome fu vilipeso da persone indegne. Agogniamo il trono, che sappiamo è posseduto da nostro padre? Se abbiamo onori regali, come veramente abbiamo, mostriamo – forse – uno zelo fuori posto [desiderandoli]? Se non li abbiamo, non li dobbiamo sperare? 115 Ci aspettavamo di ottenere il trono uccidendoti se dopo un tale misfatto, la terra non ci avrebbe retto, il mare non ci avrebbe concesso di navigarlo? La pietà dei tuoi sudditi e il sentimento religioso dell’intera nazione avrebbe sopportato che dei parricidi diventassero capi dello Stato ed entrassero nel tempio sacro eretto da te? 116 E supponendo che avessimo preso alla leggera anche altri misfatti, può forse un assassino sfuggire per tanto tempo al castigo, quando Cesare è vivo? I figli che hai generato non sono così empi, né così stolti, ma forse più sventurati di quanto ti conviene. 117 Dunque, se tu non hai nulla da opporci, né in noi trovi insidie contro di te, qual ragione ti muove a crederci in uno stato di così grave empietà? La nostra madre fu uccisa. Il suo destino, sicuramente, fu per noi piuttosto una lezione che una occasione di collera. 118 Avremmo altre cose da dire a nostra difesa: ma per delitti non commessi, sono superflue. Pertanto, adesso in presenza di Cesare, signore di tutti e nostro mediatore, in questo momento propo­niamo questo accordo. 119 Se tu, padre, ritornerai a una attitudine veramente libera da sospetti nei nostri riguardi, noi vivremo, sebbene non in una maniera felice, perché l’accusa di gravi crimini è una cosa terribile, anche quando è falsa. 120 Se ti rimane ancora qualche timore da parte tua, continua a essere irreprensibile, noi sapremo punirci da soli, poiché per noi la vita non è così preziosa da desiderare di godercela con danno di chi ce la diede”.

121 – 4. Mentre Alessandro parlava in questo modo, Cesare che anche prima non aveva prestato fede alla grave accusa, fu mosso ancora più dalla parte dei giovani e teneva di continuo gli occhi fermi su Erode, che pure si trovava parzialmente confuso. Anche gli astanti erano avvinti da grande apprensione perché le voci sparse per la corte rendevano il re odioso. 122 Infatti le incredibili accuse e la compassione che ispiravano i giovani nel fiore della virilità e nell’avvenenza corporea attraevano la simpatia di ogni padre; tanto più che Alessandro aveva risposto alle parole con destrezza e prudenza. Neppure i giovani ora avevano la stessa aria di prima, seppure piangevano e avevano lo sguardo mesto rivolto a terra, 123 la situazione parve più promettente e lo stesso re scorgeva che gli argomenti da lui prodotti li accusavano ingiustamente, e si trovò in condizione di doversi difendere, in quanto incapace di provare qualcuna delle accuse addotte contro di loro. 124 Dopo una breve pausa, Cesare disse ai giovani che l’accusa prodotta contro di loro risultava chiarificata, ciononostante almeno un errore l’avevano commesso, cioè verso il loro padre non si erano comportati in modo tale da eliminare il motivo di queste chiacchiere. 125 Esortò Erode a mettere da parte tutti i sospetti, e riconciliarsi con i suoi figli: poiché, aggiunse, non era giusto che egli prestasse fede a tali calunnie contro i suoi discendenti; e, continuò, un tale cambiamento di cuore non solo può guarire il male fatto da ambo le parti, ma anche stimolare la loro reciproca benevolenza e riparare i precipitosi sospetti e risolvere dimostrando una maggiore comprensione reciproca. 126 Dopo avere dato questo avvertimento, fece un cenno ai giovani, ma, mentre essi erano in procinto di gettarsi ai piedi del loro padre supplichevoli e piangenti, egli li prevenne con un braccio e li abbracciò l’uno dopo l’altro, tanto che nessuno dei presenti, libero o servo, rimase insensibile. 127 – 5. Essi, dunque, espressero a Cesare la loro gratitudine e partirono insieme. Con loro andò anche Antipatro il quale fingeva di essere lieto della loro riconciliazione. 128 Nei giorni seguenti Erode donò 300 talenti a Cesare, che proprio allora offriva spettacoli e donazioni al popolo di Roma e Cesare gli cedette la metà delle rendite che traeva dalle miniere di bronzo di Cipro e gli affidò la gestione dell’altra metà; inoltre l’onorò con l’ospitalità e l’alloggio. 129 E rimise al suo arbitrio la designazione del successore nel suo regno, il figlio a lui più gradito oppure ne lasciasse una parte a ognuno affinché a ciascuno andasse parte dell’onore. E sebbene Erode volesse fare questo subito, Cesare si rifiutò di permettere che cedesse il controllo sia del regno sia dei suoi figli vita natural durante.

130 – 6. Sistemate queste cose, Erode ritornò in Giudea. Ora, mentre lui era fuori, il popolo della Traconitide – una non trascurabile parte del suo regno – si ribellò; ma i generali da lui lasciati la conquistarono e la costrinsero a sottomettersi nuova­mente. 131 E così Erode navigò con i suoi figli e andò a Eleusa nella Cilicia che oggi, con il cambiamento di nome, si chiama Sebaste; quivi incontrò Archelao, re della Cappadocia, che lo accolse cortesemente ed era lieto che egli si fosse riconciliato con i suoi figli e che Alessandro, il quale ne aveva sposato la figlia, fosse stato assolto da ogni accusa; e si scambiarono doni, come sono soliti fare i re. 132 Di qui Erode si recò nella Giudea, e quando giunse nel tempio tenne un discorso in merito alle cose che aveva compiuto durante la permanenza all’estero: parlò della gentilezza di Cesare verso di lui e di varie altre cose che aveva fatto e alla cui conoscenza riteneva fossero interessati gli altri. 133 Sulla fine rivolse parole ammonitrici ai suoi figli, esortò i cortigiani e il resto del popolo alla concordia e designò i figli che gli sarebbero succeduti nel regno: prima Antipatro e dopo di lui i figli avuti da Mariamne, Alessandro e Aristobulo. 134 Intanto si aspettava che tutti tenessero gli occhi rivolti a lui come re e signore assoluto di tutti, perché, diceva, che non era impedito dalla vecchiaia ed anzi aveva giusto l’età in cui uno è dotato di maggiore esperienza per regnare, e non è privo di altre doti dalle quali si trae vigore per governare un regno e tenere soggetti i figli. Ai suoi ufficiali e soldati disse che guardando soltanto a lui, passeranno giorni tranquilli, e concorreranno a una perfetta e reciproca felicità. 135 Così dicendo licenziò l’adunanza, dopo avere detto quanto era gradito alla maggioranza, non però ad alcuni. Giacché l’emulazione e le speranze da lui accese nel cuore dei figli, avevano già stravolto molte cose, e quelli che speravano un cambiamento.

[anno 9 a.C.] 136 – V, I. Intanto in questo periodo fu terminata la costruzione di Cesarea Sebaste voluta da Erode. L’intera costruzione ebbe termine nel decimo anno, essendo stato prolungato il periodo pattuito fino all’anno 28esimo del suo regno che cadeva nell’Olimpiade 192esimaseconda. 137 E così ebbe inizio una festa molto grande per la sua dedicazione e sontuose apparecchiatura. Aveva annunziato competizioni di musica e di esercizi atletici, aveva preparato un gran numero di gladiatori e di fiere, di cavalli da corsa e quanto di più magnifico si può vedere a Roma e in varie altre località. 138 Queste competizioni erano dedicate a Cesare, e si dovevano celebrare ogni cinque anni. E Cesare aggiunse lustro al suo amore per la munificenza e provvide a sue spese a tutto l’apprestamento necessario per le gare. 139 Anche Giulia, moglie di Cesare da Roma mandò molti dei suoi preziosissimi tesori, sicché l’intera somma raggiunse una cifra non inferiore a 500 talenti. 140 Nella città accorse pertanto un grande numero di forestieri per amore dello spettacolo, con le ambasciate giunte da diverse nazioni, per le facilitazioni che erano state accordate: Erode, infatti, li accolse tutti e offrì loro alloggio, vitto e divertimenti continui. Durante il giorno la festa offriva la distrazione degli spettacoli, durante la notte essi provvidero divertimenti che costarono grandi somme di denaro, e così resero famosa la sua generosità; 141 poiché in ogni cosa che intraprendeva, la sua ambizione sorpassava quanto aveva fatto prima. E correva voce che lo stesso Cesare e Agrippa più volte dicessero che la grandezza del regno di Erode non uguagliava la sua magnanimità, poiché egli avrebbe meritato di essere re di tutta la Siria e dell’Egitto.

142 – 2. Dopo queste celebrazioni e festività, Erode eresse un’altra città nella piana detta di Cafarsaba, ove scelse un sito provvisto di acqua e una regione eccellente per piantagioni. C’era anche un fiume che scorreva attorno alla città, e il boschetto che la circondava era assai grazioso per la grandezza delle sue piante. 143 Alla città diede nome Antipatre dal nome di suo padre Antipatro. E al di sopra di Gerico edificò un luogo notevole per la sua sicurezza e amenissimo come abitazione; e, dal nome della madre, lo chiamò Cipro. 144 Per l’affetto che aveva verso suo fratello Fasaele, gli dedicò un monumento molto bello, erigendo nella stessa città una torre non inferiore al Faro e la chiamò Fasaele. Questa costituiva sia una parte della difesa della città, sia un memoriale per il morto, perciò fu chiamata col suo nome. 145 Edificò anche una città con lo stesso nome, nella valle di Gerico, a settentrione; e la regione circostante, prima deserta, divenne perciò produttiva per la diligente industriosità degli abitanti: chiamò questa città Fasaele.

146 – 3. Sarebbe impossibile menzionare tutti i suoi altri benefici, come, ad esempio, quelli compiuti per città della Siria, della Grecia e in tutte le regioni che ebbe la ventura di visitare. E infatti, si pensa che abbia contribuito a molti servizi civili, a molte costruzioni pubbliche e abbia sovvenzionato il completamente di opere già iniziate e rimaste in seguito senza sovvenzione. 147 Ma le più grandi e le più illustri delle sue imprese sono le seguenti. Per il popolo di Rodi eresse il tempio della Pizia a sue spese, e provvide anche molti talenti d’argento per la fabbrica­zione delle navi. Per il popolo di Nicopoli, fondata da Cesare nelle vicinanze di Azio, prestò il suo aiuto per la costruzione della maggior parte degli edifici pubblici. 148 In quanto ad Antiochia, la più grande città della Siria che era tagliata da una strada per tutta la sua lunghezza, egli l’ornò con colonnati da ambo le parti, lastricò la parte scoperta della strada con pietre levigate, contribuendo così grandemente al lustro della città e al bene dei cittadini. 149 Quanto ai giochi olimpici, che per scarsità di denaro erano caduti in uno stato molto al di sotto della reputazione di una volta, egli li riportò a nuovo lustro con le rendite annue che assegnò loro e diede alla festa maggiore dignità per quanto riguarda i sacrifici e altre cerimonie. Dalla sua munificenza in questa materia derivò che dal popolo di Elis il suo nome fu posto come presidente perpetuo delle competizioni.

150 – 4. Avvenne che altri si stupirono davanti alla incoerenza delle tendenze naturali di Erode. Infatti, considerando, da una parte, il suo largheggiare e beneficare tutti gli uomini, anche coloro che avevano per lui ben poca simpatia, pareva impossibile che non riconoscesse di avere una natura molto benefica. 151 Ma, d’altra parte, se si considerano i supplizi e le soperchieria con cui maltrattò i sudditi e le persone a lui più vicine, e quando si osserva quanto era rude e inesorabile il suo carattere, non si può fare a meno di crederlo uomo bestiale e privo di ogni senso di moderazione. 152 Per questa ragione pensano che in lui ci fossero tendenze divergenti e contrastanti. Io però non penso così; credo che ambedue queste tendenze avevano la stessa causa. 153 Poiché Erode amava gli onori, ed era fortemente dominato da tale passione ogni volta che gli si offriva qualche speranza di una futura rimembranza da parte dei posteri o di una considerazione da parte dei presenti, si mostrava generoso; 154 ma allorché era impegnato in spese superiori ai suoi mezzi, si vedeva costretto a essere aspro esattore di quanto gli era dovuto da parte dei sudditi, per la grande quantità di cose nelle quali prodigava il denaro come in regali, e diventava causa di mali per coloro ai quali lo sottraeva; 155 e benché fosse consapevole dell’odio che gli portavano a motivo dei torti fatti ai sudditi decise che non sarebbe stato facile correggere il suo cattivo comportamento – non ne avrebbe ricavato alcuna utilità per i suoi interessi – e così il malanimo degli altri lo volgeva a suo vantaggio. 156 In realtà, se qualcuno del suo popolo non era ossequioso verso di lui e, parlando, non si professava suo servo, se giudicava che gli ponessero domande sul suo modo di governare, Erode non era capace di controllarsi, poneva sotto inchiesta i suoi congiunti e ugualmente i suoi amici e li puniva severamente come nemici. Compiva questi eccessi perché voleva onori e stima solo per se stesso. 157 Per evidenziare che questa era la più grande delle sue passioni, posso indicare quanto faceva in onore di Cesare, di Agrippa e degli altri suoi amici: poiché le stesse attenzioni che prestava ai suoi superiori, aspettava che fossero rese a lui dai suoi sudditi, e con il regalo più eccellente che egli poteva offrire a un altro, mostrava il desiderio di ottenerne uno simile per sé. 158 Ma la nazione giudaica è, per legge, contraria a tali cose, ed è abituata ad ammirare più la giustizia che la gloria. Perciò non era nelle sue grazie, perché trovava impossibile adulare l’ambizione del re con statue, templi ed emblemi del genere. 159 E mi pare che questa sia stata la ragione del cattivo comportamento di Erode verso il suo popolo, i suoi consiglieri e della beneficienza fatta agli stranieri e a quanti non avevano relazione con lui.

seguono informazioni sulla situazione degli ebrei in Cirenaica e ad Efeso, con la documentazione delle disposizioni favorevoli a loro date da Augusto e da Agrippa, con l’ordine di rispettare le loro tradizioni.

179 – VII, I. – Erode, dunque, dopo le molteplici spese che sostenne sia dentro che fuori del regno, saputo che Ircano, uno dei re che l’avevano preceduto, aveva aperto il sepolcro di Davide e preso 3mila talenti d’argento e che ve n’era ancora una notevole quantità, bastante per pagare tutti i suoi prodighi regali, per parecchio tempo meditò di mettere le mani su di esso. 180 Così, una notte, aprì il sepolcro e vi entrò dentro: prese le precauzioni di non essere visto da alcuno della città, portando esclusivamente i suoi amici più fidati. 181 Tuttavia a differenza di Ircano non trovò monete, ma solo una dovizia di oro e depositi preziosi, e portò via tutto. Era intento a farne una ricerca più accurata giungendo fino a rompere e aprire le casse nelle quali si trovavano i corpi di Davide e di Salomone. 182 Si dice però che due persone della guardia del corpo, nell’entrare, furono consumate da una fiamma e lo stesso re ne fu atterrito; e come espiazione per il suo terrore, innalzò all’ingresso un monumento di marmo bianco, con una grande spesa. 183 Questa costruzione è menzionata anche dal suo contempora­neo, lo storico Nicola, ma non afferma che era entrato anche il re, essendo questa un’azione poco onorevole. Invece Nicola seguita a scrivere altre cose di lui. 184 Vivendo lui nel regno di Erode ed essendo un suo alleato, scrisse per fargli piacere ed essergli utile, toccava solo quelle cose che tornavano a onor suo, ovviamente trasformando le sue azioni ingiuste nell’op­posto, o cancellandole con la più accurata attenzione. 185 Così, ad esempio, quando volle dare un colorito di rispettabi­lità all’uccisione di Mariamne e dei suoi figli, che ebbero una morte così crudele ordinata dal re, Nicola adduce contro di lei false accuse di licenziosità e di tradimento i figli di lei. In tutta l’opera insiste eccessivamente nel lodare le azioni giuste del re ed eccessivo zelo nel difendere le sue azioni malvage. 186 Ma, come dissi, è degno di compatimento in quanto quella a cui lavorava non era una storia; la sua opera aveva lo scopo di aiutare il re. 187 Noi, però, essendo una famiglia legata da vincoli stretti ai re discendenti dagli Asmonei, investiti di sacerdozio e onori, abbiamo giudicato disdicevole dire, a loro riguardo, qualcosa di falso: per tale motivo riferiamo le loro azioni con sincerità e imparzialità. Perciò, pur avendo rispetto per molti dei suoi discendenti, tuttora regnanti, abbiamo onorato la verità più di loro e in qualche occasione – anche se fatto con discrezione ­provocò lo sdegno delle stesse persone.

188 – 2. Ora pareva che per l’onta compiuta alla tomba le faccende familiari di Erode andassero peggiorando, o fosse l’ira che causava tutti quei malanni, dei quali soffriva già per l’innanzi, peggiorandoli in mali incurabili, o fosse che il Destino, lo afferrò in un momento così corrispondente all’occasione da provocare nettamente il sospetto che queste disavventure fossero venute su di lui a motivo della sua empietà. 189 Infatti il dissenso crebbe, nel palazzo, come una guerra civile, e l’odio tra le due parti si accese con calunnie. 190 Antipatro stava sempre manovrando contro i suoi fratelli; era una persona abile nel tessere accuse contro di loro avvalendosi di fonti esterne e frequentemente coglieva l’occasione di difenderli affinché la sua apparente benevolenza lo mettesse al sicuro dagli attentati che egli stesso tramava. Movendosi per queste vie tortuose, aggirava il padre e lo convinse che lui solo faceva tutto il possibile per la sua salvezza. 191 E così il re giunse a raccomandare ad Antipatro l’amicizia con Tolomeo che era il ministro reale delle finanze e si consultava con la madre di Antipatro per gli affari più rilevanti: queste persone avevano assoluta­mente la più completa libertà di fare ciò che volevano e di condurre il re a odiare quelli che erano esterni e ogni volta che giudicavano fosse a loro vantaggio. 192 Intanto i figli di Mariamne si trovavano ogni giorno in una posizione sempre più difficile, e la nobiltà dei loro natali non poteva sopportare il disonore di essere messi da parte e di accettare un posto meno onorevole. 193 Quanto alle donne, la moglie di Alessandro, Glafira, figlia di Archelao, incorse nell’o­dio di Salome sia per l’amore che ella portava a suo marito, sia per la eccessiva alterigia che dimostrava verso la figlia di lei, che era moglie di Aristobulo e mal sopportava l’uguaglianza di rango con lei. 194 – 3. Quando sorse questa seconda contesa, Ferora, fratello del re, non era esente da intrighi, ma per proprio conto diede motivi di sospetto e di odio; si era, infatti, innamorato di una delle sue fantesche ed era vittima della sua passione per questa creatura e così, incantato da lei, disdegnava la figlia del re, che già gli era stata promessa, e volgeva i suoi pensieri unicamente alla fantesca. 195 Erode si doleva di questo dispetto, vedendo che dopo i molti benefici fatti a suo fratello, e dopo avere diviso con lui l’autorità reale, constatava che per lui non aveva alcuna ricono­scenza, gli pareva di avere scelto la persona sbagliata. 196 Non ricevendo da Ferora un trattamento dignitoso, diede la fanciulla in matrimonio al figlio di Fasaele. Ma, passato qualche tempo, credendo che la passione del fratello avesse ormai raggiunto il massimo, Erode lo prese, lo ammonì per i suoi amoreggiamenti e gli chiese di prendere la sua seconda figlia, di nome Cipro. 197 Tolomeo consigliò Ferora di finirla di disonorare suo fratello, di rinunziare al suo amore, perché, gli disse, era una cosa indegna perdere la testa per una fantesca e privarsi della benevolenza del re, dargli motivo di inquietudine e provare odio verso di lui. 198 Ferora comprese che da questo cambiamento di attitudine avrebbe tratto vantaggio, in quanto già altre volte era stato accusato e perdonato, perciò licenziò subito la donna sebbene avesse avuto da lei un bambino, e promise al re che avrebbe sposato la sua seconda figlia, fissando le nozze dopo trenta giorni. In più fece il giuramento che non avrebbe più frequentato la donna ripudiata. 199 Ma, passati i trenta giorni, era così schiavo della sua passione che non fu capace di mantenere alcuna delle sue promesse e riprese la relazione con la prima donna. Di fronte a questo modo di agire, Erode chiaramente fece conoscere il suo dolore e ne fu adirato; 200 e di continuo gli uscivano di bocca parole di sdegno e dall’ira del re molti traevano motivo per calunniare Ferora. Non c’era giorno od ora in cui il re potesse stare tranquillo. Sorgevano sempre nuove contese angoscianti tra i suoi congiunti e gli amici più stretti. 201 Così, Salome era acerbamente ostile ai figli di Mariamne, non permetteva neppure che sua figlia, moglie di Aristobulo – uno dei due giovani – vivesse in pace col marito, e non solo non gli mostrasse alcun segno di affetto femminile, ma la spingeva a riferirle qualunque cosa privatamente egli le dicesse; e ogni volta che c’era tra loro una qualche frizione, come a volte capita, lei seminava in sua figlia gravi sospetti. 202 In tale maniera veniva a sapere ogni cosa che avveniva tra di loro e così condusse la figlia ad avere un contegno ostile verso il giovane. 203 Ed essa, per fare piacere a sua madre, spesso confessava che quando erano soli, i giovani parlavano di Mariamne e detesta­vano il loro padre, che continuamente minacciavano che, qualora avessero il potere, dei figli di Erode avuti da altre mogli ne avrebbero fatto tanti scritturali nei villaggi, dicendo che ben si confaceva a tale posizione il loro stato presente e l’educazione ricevuta. 204 Se mai vedevano le donne indossare gli ornamenti che erano stati della loro madre, protestavano che, invece della presente eleganza, avrebbero dovuto indossare dei cenci e venire chiuse in un luogo donde non potessero vedere il sole. 205 Da Salome questi sentimenti furono subito riferiti al re, il quale li sentì con angoscia e si studiò di porvi rimedio; ma i sospetti lo indisponevano, diventava sempre più tormentato, e giunse a credere tutto contro tutti. Tuttavia, dopo avere sgridato i figli, questi si difesero e per un po’ di tempo si raddolcì, ma col tempo lo colsero delle noie peggiori. 206 – 4. Ferora, infatti, andato a trovare Alessandro, marito di Glafira, come abbiamo detto, figlia del re Archelao, gli disse di avere sentito da Salome che Erode era perdutamente innamorato di Glafira e che la sua passione era ben difficile da mitigare. 207 A tale notizia, e per gelosia e per ardore giovanile, Alessandro andò sulle furie e le maniere cortesi che Erode aveva verso la giovane – essendo le attenzioni amichevoli frequenti – le inter­pretò nel peggiore dei modi per i sospetti che gli avevano suscitato quelle parole; 208 non ebbe la forza di reggere a siffatto dolore: ma si presentò al padre e, piangendo, gli manifestò quanto gli aveva riferito Ferora. Erode, colpito da grande furore e incapace di sopportare la vergogna e la falsa accusa, rimase completamente sconvolto; 209 spesso si doleva della malvagità della sua famiglia e della maniera con la quale veniva trattato da coloro ai quali aveva fatto del bene. Chiamò intanto Ferora e, dopo averlo sgridato acerbamente, gli disse: “Tu sei il più malvagio di tutti, tu hai raggiunto un grado così smisurato e stragrande di ingratitudine da pensare e affermare simili cose di me? 210 Veramente tu pensi ch’io non veda quali sono i tuoi piani? Non è solo per oscurare la mia reputazione che tu hai sussurrato all’orecchio di mio figlio una cosa così perversa, ma per avere in lui chi insidiasse alla mia vita, e cercasse la mia rovina con veleni. Chi mai, infatti, – salvo uno guidato da qualche buon demone, come fu questo mio figlio – avrebbe sopportato che il padre, sospettato di tale malvagità, lo sopportasse impunito? 211 Pensi tu di avergli introdotto nell’animo soltanto un ragionamento e non piuttosto un pugnale nella sua destra da usare contro il suo genitore? E, visto che tu odi sia lui che suo fratello, perché ti sei finto benevolo a suo riguardo, allorché parlavi male di me, e hai detto cose che poteva pensare solo la tua empietà o riferirle calunniosamente ad altri? 212 Rispondi, tu che hai agito in modo tanto abominevole contro tuo fratello e benefattore, e possa la tua coscienza colpevole vivere con te quale tuo compagno. Per quanto mi riguarda, io posso vincere i miei parenti, non punendoli degnamente come meritano, e beneficandoli più di quanto meritano”. 213 – 5. Il re parlò in questi termini. E Ferora vistosi colto in flagrante malavagio comportamento, disse che queste erano invenzioni di Salome, accuse che venivano da lei. 214 Ma non appena Salome udì questo – accadde infatti che lei fosse presente – protestò in modo convincente che da lei non proveniva nulla di tutto questo e che tutti cercavano deliberatamente ogni mezzo per renderla odiosa al re e liberarsi di lei a motivo dell’affezione che lei provava per Erode, al quale prevedeva sempre i pericoli che lo minacciavano. 215 Al presente, però, lei era vittima di un complotto ancora più serio perché lei sola cercava di convincere suo fratello a cacciare la moglie che aveva, e sposare la figlia del re: naturalmente era oggetto di odio da parte di Ferora. 216 Così dicendo, a più riprese, si strappava i capelli e si dava ripetuti colpi al petto: e lo spettacolo della sua negazione voleva rendere plausibile il suo diniego, ma la malignità del suo carattere proclamava l’insincerità di quegli atti. 217 Ferora, intanto, si vedeva stretto tra l’uno e l’altro, perché in sua difesa non aveva nulla di credibile: mentre confessava di avere detto quei sentimenti, non gli si credeva allorché diceva che li avesse uditi da altri. Così nell’altercare di parole dell’uno e dell’altro, lo scompiglio divenne più grande. 218 Finalmente, insoddisfatto del fratello e della sorella, il re allontanava da sé l’uno e l’altra; e lodò suo figlio per il suo autocontrollo e per avergli riferito i discorsi tenuti, e andò a tarda ora a dare un po’ di riposo al suo corpo. 219 Dopo tale contesa, molte furono le mormorazioni che sorsero a proposito della cattiva reputazione di Salome, pensando che il torbido sorto dalle calunnie fosse stato causato da lei. E anche le mogli del re non la sopportavano perché sapevano che aveva una natura difficile e continuamente mutevole, ora amica ora nemica. Di frequente parlavano a Erode contro di lei, e a questo proposito avvenne anche qualcosa che accrebbe la loro audacia.

220 – 6. Il re dell’Arabia, Obada, aveva una natura inattiva e dappoco; la maggior parte degli affari li trattava, per lui, Silleo, persona abile, giovane e di buona presenza. 221 Venuto da Erode per certi affari, mentre cenava con lui, vide Salome e dispose il suo cuore per averla; e quando seppe che era vedova, parlò con lei del suo sentimento. 222 Salome, che si trovava peggio di prima col proprio fratello, e guardava il giovane in modo tutt’altro che indifferente, era impaziente di maritarsi con lui; nei giorni seguenti, allorché molta gente si era radunata per una cena, apparvero molti e chiari segni di intesa tra questi due. 223 Altre donne riferirono tutto al re, deridendo la loro mancanza di discrezione. Erode volle ulteriori informazioni da Ferora e gli domandò di osservarli durante la cena per vedere il loro reciproco comportamento. Ferora riferì che gesti e sguardi manifestavano chiaramente la loro passione. 224 Dopo un po’ di tempo l’Arabo partì, ma lasciando un sospetto; dopo due o tre mesi venne di nuovo sullo stesso argomento e fece a Erode la proposta domandando che gli desse in sposa Salome; questa unione, disse, non sarebbe stata inutile a Erode per l’alleanza con il governo dell’Arabia che virtualmente ora era nelle sue mani, e in futuro sarebbe stato, per diritto ancora meglio. 225 Erode riferì questi sentimenti alla sorella, domandandole se acconsentiva a tali nozze ed ella subito acconsentì. Ma allorché domandarono a Silleo di assoggettarsi ai costumi dei Giudei prima delle nozze – altrimenti, dicevano, il matrimonio sarebbe stato impossibile – lui non volle assoggettarsi, protestando che qualora si fosse assoggettato, sarebbe stato lapidato a morte dagli Arabi. 226 Allora Ferora prese ad accusare Salome di comportamento lascivo; e le donne di corte fecero ancora di più affermando che lei era stata in intimità con l’Arabo. 227 Intanto, allorché Salome chiese che fosse dato il figlio natole da Costobaro, alla giovane che il re aveva promesso a Ferora che – come dissi sopra – egli non volle perché era disperatamente innamorato di un’altra donna, Erode pensava di darla in sposa a questo figlio di Salome. 228 Ma in seguito cambiò idea all’esempio di Ferora che diceva che il giovane non gli sarebbe stato leale a motivo dell’uccisione di suo padre; ed era meglio che la prendesse proprio suo figlio che gli doveva succedere nella tetrarchia. Così egli ottenne perdono e il re cambiò presto il proposito che aveva. In tale modo furono cambiate le nozze della giovane: lei andò sposa al giovane figlio di Ferora, e il re aggiunse un centinaio di talenti alla dote della giovane. 229 – VIII, I. – Le turbolenze nella sua famiglia non si acquieta­rono, anzi crebbero sempre più. L’incidente che segue, sorse da una causa disgraziata e progredì in dolorose conseguenze. 230 Il re aveva alcuni eunuchi che gli erano immensamente cari a motivo della loro bellezza; uno di essi aveva il compito di versargli il vino, un secondo di servirlo a tavola, un terzo di porre a letto il re e curare gli affari più importanti del regno. 231 Ora qualcuno informò il re che questi eunuchi erano stati corrotti da suo figlio Alessandro con ingenti somme di denaro; interrogati se avessero avuto relazioni intime con Alessandro, essi confessarono, ma affermarono di non essere a conoscenza di alcun’altra offesa da parte sua contro il padre. 232 Ma, sottoposti a ulteriori torture e messi alle strette in maniera più severa, per fare piacere ad Antipatro, dissero che Alessandro era pieno di ostilità e aveva un odio innato contro suo padre 233 e aveva suggerito loro che Erode aveva già vissuto assai e nella speranza di vivere ancora di più cercava di cancellare i segni della sua senilità, si tingeva di nero i capelli e allontanava furtivamente i segni dell’età, e che se essi gli davano il loro appoggio, quando il regno sarà suo – poiché non sarebbe andato ad altri, anche se suo padre voleva diversamente – essi avrebbero avuto il primo posto; 234 poiché non solo la nascita ma anche i provvedimenti già presi gli mettevano in mano lo scettro; buona parte, infatti degli uomini più importanti e molti degli amici del re sostenevano lui e non avevano paura di nulla qualunque cosa dovessero fare o sopportare. 235 – 2. Udendo questo, Erode dolente e impaurito, furioso per le villanie dette contro di lui e realizzando quanto gravi e pericolose fossero le cose che suscitavano i suoi sospetti, ne fu ancora più amareggiato per tutti e due questi motivi. E pieno di amarezza, temeva che veramente si fosse ordita contro di lui una trama alla quale egli fosse incapace col tempo di porre rimedio. 236 Quindi si mise sulla loro traccia, non in maniera scoperta, ma nascosta. Mandò spie qua e là affinché gli chiarissero i suoi sospetti. Di tutti era sospettoso, odiava tutti e poneva la sua sicurezza in un sospetto continuo, e seguitava a dimostrarlo anche verso persone che non lo meritavano. 237 In questo non c’era limite: anzi, chi più era solito stargli vicino, gli pareva che fosse da temere più degli altri in quanto più influente, mentre verso coloro che non avevano grande familiarità con lui, al solo nominarli gli pareva che fosse necessario ucciderli come parte della sua salvezza. 238 Infine, i suoi cortigiani, non avendo fondati motivi per sperare di salvarsi, si levarono gli uni contro gli altri, pensando che il prevenire gli altri con accuse giovasse a salvare se stessi, ma quelli che giungevano nel loro intento diventarono oggetto di invidia, di odio e non ottenevano altra soddisfazione all’infuori di incorrere, giustamente, in quei mali con cui essi avevano oppresso gli altri col solo intento di prevenirli. 239 Con tale pretesto, alcuni in verità, vendicavano certe inimicizie private, ma erano colti con il medesimo laccio: mentre vedevano nella crisi un facile stru­mento per accalappiare i loro nemici, essi pure – a loro volta ­erano presi con la stessa arte con la quale avevano teso insidie ad altri. 240 Presto nel cuore del re avveniva il pentimento per l’avere messo a morte persone che, chiaramente, non avevano commesso alcuna mancanza; ma la cosa terribile fu che il dolore non lo induceva a sospendere tali esecuzioni, bensì a punire in egual modo anche gli informatori. 241 – 3. In tal modo la situazione degli affari alla corte era tormentata. A molti suoi vecchi amici Erode intimò che non gli comparissero più davanti né entrassero nel palazzo; questo avviso fu dato o perché aveva con essi minore libertà d’azione oppure perché alla loro presenza si conteneva di più. 242 Per esempio, Andromaco e Gemello da gran tempo suoi amici che erano stati di grande aiuto alla sua famiglia in ambasciate e concili, e l’avevano aiutato nell’educazione dei figli, ora li congedò sebbene di recente avessero goduto di maggiore libertà di parola degli altri: 243 l’uno lo congedò perché il figlio di lui, Demetrio, era stretto amico di Alessandro; mentre di Gemello aveva saputo che era favorevole ad Alessandro, perché era stato cresciuto ed educato con lui, e stava con lui durante la sua visita a Roma. Erode li congedò volentieri e li avrebbe trattati ancor peggio, ma non era libero di usare tanta baldanza, contro uomini così distinti; li privò semplicemente del loro rango e del potere per prevenirli dal commettere misfatti. 244 – 4. La causa di tutti questi mali era Antipatro, il quale accortosi del lato debole di suo padre ed essendo, da tanto tempo, uno dei suoi consiglieri, credendo di adempiere meglio il suo compito, prese a spingerlo a togliere la vita a chiunque poteva opporglisi. 245 Nel periodo, dunque, in cui ad Andromaco e ai suoi amici era stata tolta la libertà di parlargli e di esprimersi liberamente, il re iniziò a esaminare sotto la tortura quanti credeva fossero amici di Alessandro per indagare se fossero a conoscenza di qualche suo complotto; ma costoro andavano alla morte senza avere nulla da dirgli. 246 Non trovando nulla di quel male che sospettava, insistette sempre più nei suoi esami; ed anche Antipatro, astuto nel calunniare coloro che in tutta evidenza erano innocenti accusan­doli di costante fedeltà ad Alessandro, e incitando Erode a cercare informazioni da più persone a proposito dei segreti complotti contro la sua vita. 247 Tra i molti torturati, ce ne fu uno che disse di sapere che il giovane spesse volte aveva detto, quando lodavano la sua grande corporatura e la sua esperienza di arciere e altre doti nelle quali eccelleva su tutti, egli asseriva che queste doti di natura erano, per lui, più un male che un bene, perché suo padre ne era irritato e lo invidiava. 248 Disse ancora che ogni volta che passeggiava con suo padre, non si distendeva interamente e si abbassava per non apparire il più alto dei due; e un altra volta, andando a caccia, presente Erode, tirava a bella posta lungi dal segno, perché era nota l’ambizione del padre di eccellere in tali imprese general­mente lodate. 249 Mentre queste affermazioni venivano attentamente esaminate e le torture sospese, aggiunse che Alessandro con l’aiuto del fratello Aristobulo, aveva complottato un’imboscata per uccidere suo padre durante una caccia e dopo il fatto sarebbe fuggito a Roma e chiesto il regno. 250 Si trovò pure una lettera del giovane a suo fratello nella quale biasimava il loro padre di avere assegnato ad Antipatro un territorio che gli rendeva 200 talenti. 251 Dopo queste scoperte parve, a Erode, di possedere argomenti ben fondati – come pensava – per sospettare dei suoi figli, e così arrestò e imprigionò Alessandro. Ma non pose fine alle sue rigorose ricerche: parte perché non si fidava tanto di quanto aveva udito, e parte perché, ripensan­doci, non vide nulla che avesse sufficiente sentore di congiura; (li ritenne colpevoli soltanto) di lamentele e di ambizione giovanile e riteneva improbabile che suo figlio, dopo averlo ucciso, se ne partisse apertamente per Roma. 252 Perciò giudicò che fosse meglio spendere altro tempo per cercare qualche prova più stringente sulla illegalità di suo figlio; ed era attento di non lasciare trapelare che aveva premura di condannarlo agli arresti. Torturando gli amici di Alessandro che occupavano posti autorevoli ne con­dannò molti a morte nonostante non avessero detto nulla di quanto Erode si aspettava che dicessero. 253 Mentre si attendeva a questi affari con grande accanimento, e tutto il palazzo si trovava nella paura e confusione, un giovane sotto una severissima tortura disse che Alessandro aveva spedito messaggi agli amici di Roma domandando di essere chiamato presto da Cesare perché, disse, poteva informarlo su di un’azione ostile contro di lui, cioè che suo padre aveva scelto l’amicizia di Mitridate, re dei Parti, contro i Romani; soggiunse ancora che Alessandro teneva il veleno pronto ad Ascalon. 254 – 5. Erode prestò fede a queste accuse, e trovò una certa consolazione al suo agire precipitoso in questa cattiva situazione perché veniva adulato mentre le cose si fecero peggiori di quanto si aspettava. Ma, sebbene fosse fatto subito ogni sforzo, del veleno non si trovò traccia alcuna. 255 Volendo per un perverso puntiglio aggravare la situazione già di estrema gravità, non si accontentò di negare le accuse, ma volle punire il procedere precipitoso di suo padre con un crimine maggiore, forse perché credeva di svergognare in questa maniera la prontezza di Erode nel dare ascolto alle calunnie, benché pretendesse di avere anche in mente di gettare discredito su di lui e su tutto il regno, qualora gli avessero prestato fede. 256 Egli dunque compose un’opera di quattro libri e la diffuse dicendo che non c’era bisogno di torturare nessuno o di procedere oltre poiché vi era stata realmente una congiura contro Erode e questo era avvenuto con l’aiuto di Ferora e dei più fedeli amici del re e che Salome entrò una notte nella sua camera, giacque con lui contro la sua volontà 257 e che tutti miravano alla stessa cosa, cioè liberarsi del re il più presto possibile ed essere così sciolti dalla continua ansietà. Tra gli altri accusati vi erano Tolomeo e Sappino, gli amici più fedeli del re. 258 Che meraviglia che persone, una volta amicissime, siano ora invase, direi, da rabbia furiosa e si levino bestialmente gli uni contro gli altri? Non c’era bisogno di lasciare loro spazio per manifestare la verità con le difese o con l’evidenza dei fatti, poiché tutti erano avvolti indistintamente nella rovina: chi piangeva imprigionato, altri erano morti e altri nel pericolo di incontrare questo o quello: uno stretto silenzio e una triste malinconia intorpidiva l’antica felicità del palazzo. 259 Tutta la vita di Erode era così sconvolta che gli divenne insopportabile, poiché, non credendo a nessuno, era profonda­mente tormentato dalla sua ansietà. A volte immaginava suo figlio che gli veniva contro o che gli stava dinanzi col pugnale. 260 La sua mente era così tesa notte e giorno che prese la forma di chi soffre di pazzia e follia. Tale era lo stato in cui si trovava.

261 – 6. Quando Archelao, re dei Cappadoci, seppe ciò che accadeva alla corte di Erode, ansioso per sua figlia e il giovane e mosso da compassione per la sofferenza di un suo amico così profondamente sconvolto, venne poiché riteneva che le cose fossero molto serie. 262 Trovatolo in questo stato, ritenne che nelle presenti circostanze fosse fuori di proposito sgridarlo o accusarlo di avere agito precipitosamente; punto da tali parole, si sarebbe risentito e nel calore della difesa avrebbe moltiplicato la sua collera. 263 Prese, dunque, un’altra via per riportare nel giusto la sfortunata condizione degli affari: mostrò la sua collera per il giovane e disse che il procedere di Erode era stato saggio non avendo proceduto in modo affrettato; disse pure che avrebbe sciolto il matrimonio di sua figlia con Alessan­dro e, da parte sua, non avrebbe risparmiato neppure lei qualora, consapevole delle intenzioni di lui, non ne avesse informato Erode. 264 A questo agire di Archelao, molto diverso da quanto Erode si aspettava e per lo sdegno mostrato dalla maggioranza verso Erode, il re perse un po’ della sua durezza e, visto che aveva colpito il segno e aveva compiuto tali cose per motivi giusti, gradualmente adottò una diversa attitudine, quella di un padre. 265 Ma da una parte e dall’altra era degno di compassione: se alcuno cercava di sventare le accuse contro il giovane, egli si mostrava in collera; ma se Archelao si univa nell’accusa contro Alessandro, il re prorompeva in lacrime e in uno scoramento commovente; lo pregò di non sciogliere il matrimonio e di non essere così in collera per le ingiustizie commesse dai giovani. 266 Allora Archelao, vedendolo alquanto raddolcito, prese ad addossare quelle accuse agli amici del re, asserendo che si deve ascrivere a loro il fatto che un giovane esente da malizia sia stato corrotto, e concentrò i sospetti soprattutto sul fratello di Erode. 267 Siccome Erode era ostile a Ferora, il quale non aveva nessuno che lo riconciliasse e vedeva che Archelao aveva grande influsso, lo cercò di persona e si rivolse a lui vestito di nero e con tutti i segni di un uomo che è nell’attesa di una imminente rovina. 268 Archelao non disdegnò le sue scuse, disse però che era incapace a indurre il re a cambiare immediatamente il suo atteggiamento in vista della sua disposizione; gli disse che per lui sarebbe stato meglio andare a rivolgersi personalmente al re e confessare di essere responsabile di tutto il disordine; in questa maniera poteva calmare l’eccessiva collera del re; Archelao aggiunse che egli stesso sarebbe stato presente per aiutarlo. 269 Persuaso Ferora a compiere questo, raggiunse contemporanea­mente due scopi, poiché inaspettatamente furono allontanate dal giovane le calunnie e Archelao riconciliò Ferora con il re; poi ritornò in Cappadocia dopo essersi reso gradito a Erode come nessun altro avrebbe potuto in quel momento così critico. Quindi lo onorò con ricchissimi doni, lo trattò con grandiosa magni­ficenza come l’amico più caro. 270 Con lui fece inoltre un accordo per andare a Roma, dato che qualcuno su tali questioni aveva scritto a Cesare; e viaggiarono assieme fino ad Antiochia; quivi Erode riconciliò Archelao con Titio, governatore della Siria, che era rimasto esacerbato con lui dopo una disputa. Dopo se ne ritornò in Giudea.

271 IX, I. Dopo che era stato a Roma e ritornato, scoppiò una guerra tra lui e gli Arabi per il seguente motivo. Gli abitanti della Traconitide, la regione che Cesare aveva sottratto a Zenodoro e annessa al territorio di Erode, ben presto non ebbero più la libertà del brigantaggio, ma furono obbligati a coltivare il suolo e a vivere in modo pacifico. Ma questo appunto era quello che essi volevano e la terra non rendeva molto frutto in compenso del loro lavoro. 272 Da principio tuttavia si astennero dal molestare i vicini, poiché il re non permetteva; e per questo motivo Erode godeva di una reputazione molto favorevole per la sua vigilanza. 273 Ma dopo che era partito per Roma portando accuse contro suo figlio Alessandro e per visitare Cesare e presentargli il figlio Antipatro, gli abitanti della Traconitide sparsero la voce che era morto: si ribellarono e tornarono nuovamente al solito modo di vivere con il brigantaggio contro i loro vicini. 274 Almeno in questa occasione i generali del re, in sua assenza, li sottomisero. Ma una quarantina di capobanditi, atterriti di quanto era stato fatto ai catturati, abbandonarono la regione 275 e ripararono in Arabia, accolti da Silleo, dopo che era tramontato il matrimonio con Salome, e diede loro un fortilizio per abitarci. Di qui infestavano e saccheggiavano non solo la Giudea, ma anche tutta la Celesiria, poiché Silleo prestava a questi malfattori una base sicura per le loro operazioni. 276 Allorché Erode ritornò da Roma venne a conoscenza che gran parte dei suoi possedimenti era stata danneggiata, ma essendo incapace di afferrare i briganti a motivo della sicurezza di cui godevano per la protezione data loro dagli Arabi, e in collera per i danni provocati da loro, si aggirò per la Traconitide e assassinò i loro congiunti. 277 Allora i briganti ancor più arrabbiati per questa azione, presso di essi vi è la legge della vendetta ad ogni costo contro gli assassini dei propri congiunti, seguitarono a saccheg­giare e derubare tutto il territorio di Erode senza alcuna paura delle conseguenze; egli perciò parlò della cosa con Saturnino e con Volumnio, ufficiali di Cesare, domandando che i briganti fossero consegnati a lui per la punizione. 278 Aumentò perciò la loro forza, si accrebbe sempre più il loro numero e diffusero la confusione tanto da sconvolgere il regno di Erode; saccheggia­rono città e villaggi, assassinarono i loro prigionieri, sicché la loro sommossa era in tutto uguale a una guerra: erano già circa un migliaio. 279 Indignato per questi atti, Erode chiese la consegna dei briganti e domandò il pagamento del debito di 60 talenti che aveva imprestato a Obada tramite Silleo, poiché il tempo stabilito era scaduto. 280 Ma, deposto Obada, a capo di ogni cosa vi era il solo Silleo, il quale decisamente negava che in Arabia ci fossero dei briganti e dilazionava anche il pagamento del denaro. Su di ciò vi fu una discussione davanti a Saturnino e Volumnio, governatori della Siria. 281 Per intervento dei Romani, alla fine s’accordarono che a Erode fosse restituito il suo denaro entro trenta giorni, e che ognuno dei due restituisse all’altro i sudditi che si erano rifugiati nel suo regno; nel territorio di Erode non si trovò un solo Arabo che fosse ricercato per un crimine o per qualsiasi altro motivo, d’onde si provò che nel territorio degli Arabi si erano trattenuti dei briganti. 282 – 2. Ma quando spirò il termine pattuito, Silleo partì per Roma senza avere eseguito alcuno dei giusti obblighi assunti; perciò Erode cercava di avere il suo denaro ingiustamente trattenuto, e i briganti protetti dagli Arabi; 283 e quando Saturnino e Volumnio gli concessero di compiere contro di essi un’azione con le armi come contumaci, egli condusse il suo esercito in Arabia, compiendo con una marcia di sole tre giornate un percorso di sette giorni. Raggiunta la fortezza ove erano i briganti, li catturò tutti con un assalto e spianò il luogo chiamato Raepta. Tuttavia non molestò alcun altro. 284 Ma quando il capo arabo Nakebo andò ad assistere i briganti si scatenò una mischia nella quale caddero pochi uomini di Erode mentre dall’altra parte cadde il coman­dante Nakebo e con lui venti suoi uomini e il resto si diede alla fuga. 285 Puniti questi Arabi, Erode insediò 3mila Idumei nella Traconitide e così mise un freno ai briganti della regione. Scrisse poi su questi fatti ai governatori che erano in Fenicia spiegando di non avere fatto nulla di più di quanto esigeva la contumacia degli Arabi. Essi ne fecero ricerca e trovarono che non aveva contraffatto la realtà. 286 – 3. Intanto i messaggeri spediti in fretta da Silleo a Roma, lo informarono di quanto accaduto e, com’è costume, esagerarono ogni particolare. 287 Silleo aveva già compiuto il necessario per presentarsi a Cesare, e in quel particolare momento era atteso a corte. Quando udì le notizie cambiò immediatamente l’abito e indossò un abito nero; entrò da Cesare e gli disse che l’Arabia era stata devastata da una guerra e l’intero regno devastato perché Erode l’aveva depredata col suo esercito. 288 Con le lacrime agli occhi proseguì dicendo che cinquecento capi arabi erano periti e che il comandante Nakebo, suo stretto amico e parente era stato ucciso, che le ricchezze riposte a Raepta erano state prese come bottino e che Obada, la cui debolezza l’aveva sconsigliato di prendere parte alla guerra, era stato trattato in maniera ignobile perché né lui, Silleo, né forze arabe erano presenti. 289 Dopo avere parlato così Silleo aggiunse maliziosamente che egli non avrebbe lasciato la regione se non fosse stato sicuro che Cesare era interessato a che essi fossero in pace gli uni con gli altri, e che se fosse stato là, la guerra non si sarebbe risolta a vantaggio di Erode. Irritato da queste parole, Cesare, agli amici di Erode che erano presenti e ai suoi uomini giunti dalla Siria rivolse soltanto la seguente domanda: “Erode aveva condotto il suo esercito fuori della sua regione?”. 290 Siccome erano costretti a rispondere, a quell’unica domanda e Cesare non ascoltò in quali circostanze e in quale modo Erode aveva agito, montò subito in collera e scrisse a Erode una lettera molto risentita, in particolare nella parte principale il cui contenuto era questo: finora egli l’aveva trattato da amico, ma per l’avvenire lo avrebbe trattato da suddito. 291 Anche Silleo scrisse agli Arabi e questi, imbaldanziti, rifiuta­rono sia la consegna dei briganti che si erano rifugiati da loro sia il pagamento del denaro, di cui erano debitori e dei pascoli che avevano avuto in affitto da Erode e che ora tenevano in loro possesso e se ne servivano senza pagare l’affitto; ora che il re dei Giudei era stato umiliato dalla collera di Cesare. 292 Gli abitanti della Traconitide colsero anch’essi questa occa­sione per insorgere contro il presidio degli Idumei, si diedero al latrocinio insieme agli Arabi e saccheggiarono la regione degli Idumei non solo per guadagno, ma per soddisfare il loro rancore e ingiuriarli in modo ancora più selvaggio. 293 – 4. Erode fu obbligato a sopportare tutto questo perché la libertà d’azione datagli da Cesare era sfumata; si perdette molto d’animo allorché Cesare non diede udienza agli ambasciatori che gli aveva inviato per discolparsi e li rimandò a casa a mani vuote. 294 Per tutti questi motivi era in uno stato di preoccupa­zione e di paura. Silleo accresceva non poco la sua angoscia in quanto godeva della confidenza di Cesare e si trovava a Roma e in quel tempo progettava piani più grandi. Perché Obada era morto e il comando degli Arabi era stato preso da Enea, nome mutato in seguito in Areta. 295 Tramava con calunnie per privare costui del trono e impadronirsene lui: distribuiva molto denaro ai cortigiani e ne prometteva a molti, anche a Cesare, il quale era in collera che Areta fosse salito sul trono prima di domandare il permesso a lui. 296 Ma anche Areta mandò una lettera a Cesare, con doni e una corona d’oro del valore di molti talenti; la lettera accusava Silleo di essere un cattivo servitore, di avere ucciso Obada col veleno, di avere esercitato potere regale quando Obada era ancora vivo, di sedurre le donne degli Arabi e di farsi imprestare denari per impadronirsi del trono. 297 Cesare, tuttavia, non prestò alcuna attenzione a queste accuse e rimandò via gli inviati senza accettare doni. Così gli affari della Giudea e dell’Arabia andavano di male in peggio, parte a motivo dei disordini e parte perché non c’era alcuno che se ne interessasse mentre le cose si deterioravano. 298 Poiché dei due re, uno non era ancora sicuro sul trono, perciò era incapace di tenere a freno i ribelli, ed Erode era incorso nella collera di Cesare perché troppo presto aveva risposto alle rappresaglie e così era costretto a sopportare tutti gli atti illegali commessi contro di lui. 299 Ma constatando che non avevano mai fine le disavventure che lo circondavano, decise di mandare a Roma un’altra amba­sciata, nella speranza che potesse trovare una accoglienza più favorevole tramite i suoi amici, facendo anche appello allo stesso Cesare. E così Nicola di Damasco partì alla volta di Roma.

300 – X, I. – Appunto in quel periodo le vicende familiari di Erode si trovavano in gravi disordini, e le relazioni con i suoi figli si erano inasprite di molto. Veramente anche prima – a un semplice sguardo – era impossibile non scorgere che il regno era minac­ciato dalla Fortuna con gravissime e pessime infermità umane, aumentate e divenute sempre più gravi per la seguente ragione. 301 Vi era un certo Euricle dei Lacedemoni uomo di un qualche nome nella sua patria, ma di cattivo carattere, esperto in piaceri raffinati, dispensiere di adulazioni senza lasciar intendere a chi erano dirette; venuto a rendere visita a Erode, gli offrì regali e da lui ne ricevette di maggiori: con sottile abilità e destrezza di tratto fece in modo di divenire uno dei più stretti amici del re. 302 Albergava in casa di Antipatro, ma aveva anche accesso e familiarità con Alessandro, poiché si vantava di godere della stima di Archelao, re della Cappadocia; 303 perciò simulava grande onore per Glafira ed era molto attento, in segreto, a osservarli tutti annotando sempre quanto era detto e fatto, per potere fabbricare calunnie a suo vantaggio. 304 In breve, verso ognuno si comportava come se fosse un amico e nei rapporti con gli altri si comportava come se avesse interesse soltanto al loro vantaggio. Fu così che conquistò il giovane Alessandro e lo persuase di potere parlare con lui apertamente, senza alcun timore, delle sue pene, ma con nessun altro. 305 Nella sua angoscia, Alessandro gli rivelò quanto suo padre si era allontanato da lui, gli raccontò quanto era accaduto a sua madre, come Antipatro li avesse esclusi dal loro posto di onore ed ora fosse onnipotente. 306 Nessuna di queste cose, disse, era sopportabile, giacché suo padre era giunto a odiarli così tanto che egli non sopportava parlare con essi a un convito o in altri raduni. Egli parlò delle sue pene in questi termini, così era naturale. Ed Euricle riferì le parole ad Antipatro, affermando che così faceva non tanto per riguardo a lui, ma perché colpito dall’onore dimostratogli da Antipatro e per la gravità della materia. E lo esortò a guardarsi da Alessandro che aveva parlato di tutto questo con una grande emozione, e nelle sue parole traspariva una reale possibilità di assassinio. 307 In conformità di queste affermazioni, Antipatro credette di trovarsi davanti un buon consigliere al quale in ogni occasione avrebbe dato regali di valore, e finalmente lo persuase a riferire a Erode i discorsi di Alessandro. 308 Quando Euricle gli fece presente la slealtà di Alessandro, che affermò avere appreso dalle sue stesse parole, non gli fu opposta molta incredulità, ma rese esitante il re con parole tortuose e lo condusse a tal punto da essere pieno di implacabile odio. 309 E questo lo mostrò subito, poiché senza indugio donò a Euricle un regalo di 50 talenti. Ricevuta questa somma, andò da Archelao, re di Cappadocia, e cantò le lodi di Alessandro e si vantava di essergli stato molto utile nella riconciliazione col padre. 310 Dopo avere ricevuto soldi anche da Archelao se ne andò via prima che venisse scoperto il suo ignobile inganno. E anche a Sparta Euricle esercitò il suo mestiere di mascalzone, e per i suoi numerosi crimini fu bandito dalla sua patria. 311 – 2. Intanto il re dei Giudei non si comportava più come prima verso Alessandro e Aristobulo quando udiva qualche accusa contro di loro; ora a motivo del suo odio, induceva altri, se nessuno lo faceva; 312 spiava le loro azioni, faceva ricerche ed era sempre pronto ad ascoltare chiunque avesse qualcosa contro di essi … Euarato di Coo aveva cospirato con Alessandro. Questo diede a Erode il piacere più grande che potesse immaginare. 313 – 3. Ma una sventura ancora maggiore si abbattè sui giovani: a motivo delle calunnie che continuamente li insidiavano, e si era creato un ambiente nel quale tutti facevano a gara, per così dire, per riportare qualsiasi cosa fosse a loro sfavorevole, e la cui conoscenza paresse vantaggiosa per la salute del re. 314 Erode aveva due guardie del corpo, Giocondo e Tiranno, molto considerati per la forza e per la statura. Quando questi due, per un bisticcio furono dal re licenziati, iniziarono a cavalcare con Alessandro e i suoi amici, e godevano di molta stima per la loro bravura atletica, e ricevevano oro e altri regali. 315 Presto il re iniziò a sospettare di loro e li sottopose alla tortura; essi resistettero a lungo con molta costanza e alla fine dissero che Alessandro aveva cercato di convincere a uccidere Erode, allorché durante la caccia inseguiva le bestie, poiché poteva apparire che fosse caduto da cavallo e rimanere ucciso con le sue stesse frecce. Un accidente del genere gli era capitato già prima. 316 Indicarono anche l’oro che era stato sepolto in una cella e accusarono il capocaccia di avere provvisto di lance regie e di armi i servi di Alessandro per ordine suo. 317 – 4. Dopo queste persone furono esaminate e il comandante della fortezza Alessandreion fu torturato. Era accusato di avere promesso di accogliere i giovani nella guarnigione e dare loro rifornimenti con il denaro del re conservato in quella fortezza. 318 Egli personalmente non confessò nulla; si fece però avanti sua figlia e disse che ciò era vero e consegnò una lettera, presumibil­mente scritta dalla mano di Alessandro del seguente tenore: “Quando con l’aiuto di Dio, avremo ottenuto tutto quanto abbiamo progettato di fare, verremo da voi. Ma guardate di accoglierci nella fortezza, come avete promesso”. 319 Letta questa lettera, Erode non ebbe più dubbi sulla congiura che i suoi figli ordivano contro di lui. Alessandro, però, disse che lo scriba Diofanto aveva contraffatto la sua scrittura e che quello scritto era una fraudolenta trovata di Antipatro. Questo Diofanto, a quanto pare, era molto abile in simili cose, e in seguito dichiarato colpevole di simili crimini contro altri e fu messo a morte. 320 – 5. Il re, dunque, a Gerico, trasse davanti alla folla, le persone che erano state torturate affinché accusassero i suoi figli; e il popolino le uccise con una tempesta di sassi. 321 Alessandro e suo fratello avrebbero fatto la stessa fine, ma il re allontanò la folla con l’aiuto di Tolomeo e di Ferora; i giovani però erano sotto buona guardia e sotto custodia: nessuno aveva accesso a loro. Ogni loro azione, ogni loro detto era attentamente esaminato, subivano esattamente la stessa sorte, sentivano la stessa paura che condanna i criminali. 322 Uno dei due, Aristobulo, per l’abbatti­mento nel cuore, cercò di indurre sua zia e suocera a compiangere le sue disgrazie, e a odiare l’uomo che aveva acconsentito a cose del genere: “Non è in pericolo anche la tua vita, diceva, di fronte all’accusa che ti viene fatta che per la speranza di nozze, riferisci a Silleo tutto quanto qui accade?”. 323 Salome riportò subito questa affermazione a suo fratello, ed Erode, che più non controllava se stesso, ordinò che i giovani fossero incatenati e separati l’uno dall’altro, e che quando fosse compilata la lista di tutte le ingiurie che avevano fatto contro il loro padre, fosse inviata a Cesare. 324 I giovani, tuttavia, quando ricevettero quest’ordine, scrissero che non avevano architettato né organizzato alcuna congiura contro il padre, ma avevano pensato di fuggire e avevano compiuto questo soltanto per necessità, perché le loro vite erano diventate piene di sospetti e angustie. 325 – 6. All’incirca in quel tempo, venne dalla Cappadocia come ambasciatore di Archelao un certo Mela, uno dei principi di quel re. Erode, volendo dimostrare che Archelao gli era ostile, convocò Alessandro dalla sua prigione e lo interrogò nuovamente a proposito della loro fuga: dove e come avevano deciso di fuggire. 326 Alessandro rispose che era da Archelao, il quale aveva promesso di mandarli, in seguito, dalla sua corte a Roma, ma che essi non avevano concepito alcun piano oltraggioso o ingiurioso contro il loro padre, e che non v’era nulla di vero nelle accuse inventate dalla malizia dei loro avversari. 327 Essi avrebbero desiderato che Tiranno e i suoi amici fossero ancora vivi affinché loro potessero essere esaminati meglio, più accuratamente, e non fossero messi a morte così presto per consiglio di Antipatro che aveva messo dei suoi amici tra la folla. 328 – 7. Allorché Alessandro parlò in tal modo, Erode ordinò che ambedue, Mela e Alessandro, fossero condotti da Glafira, figlia di Archelao, e le fosse domandato se era a conoscenza che fosse stato fatto qualcosa che risultasse parte di un complotto contro Erode. 329 Non appena giunsero da lei, Glafira, visto Alessandro in catene, si percosse il capo e, fuori di sé, proruppe in un grande e doloroso lamento; versò lacrime anche il giovane; e per i circostanti fu uno spettacolo tanto penoso che per un lungo lasso di tempo non poterono dire o fare nulla di quello per cui erano venuti. 330 Finalmente, Tolomeo, al quale era stato comandato di condurlo, gli ordinò di domandare se mai sua moglie fosse a conoscenza dei suoi atti, egli rispose: “Come poteva non essere a conoscenza di essi, quando lei mi è cara più della mia vita ed è la madre dei miei figli?”. 331 A queste parole, sua moglie disse gridando di non essere a conoscenza di nulla di oltraggioso compiuto da lui, ma se per salvare lui era necessario che lei mentisse accusando se stessa, era pronta a confessare ogni cosa. Alessandro, tuttavia, disse: “Nulla di poco filiale, e certamente non quello che essi sospettano, mai io l’ho pensato, né tu hai saputo nulla al di fuori di quanto abbiamo deciso, di andarcene da Archelao, e di lì a Roma”. 332 Quando anche lei confessò la stessa cosa, Erode, giudicando pienamente provata l’ostilità di Archelao verso di lui, consegnò una lettera a Olimpo e Volumnio ordinando che, approdati nel loro viaggio a Eleusa della Cilicia, consegnassero ad Archelao lettere riguardanti tali cose, rimproverandogli di avere sostenuto il complotto architettato dai suoi figli; e di là poi navigassero a Roma. 333 E disse ancora, se avessero trovato che Nicola aveva avuto un qualche successo in maniera che Cesare non fosse più sdegnato con lui, dovevano consegnargli la lettera e con essa le prove che Erode aveva preparato contro i giovani e gli aveva mandato. 334 A propria difesa Archelao disse di avere promesso di accogliere i giovani in quanto sarebbe stato vantaggioso sia a loro sia al padre loro per prevenire che egli, in collera, compisse ulteriori passi contro la loro faziosa opposizione visto che i sospetti cadevano su di loro. Tuttavia egli non li avrebbe inviati a Cesare, disse, e non aveva stretto alcun accordo con i giovani per fare qualcosa di ostile a Erode. 335 – 8. Quando gli inviati sbarcarono a Roma, ebbero l’opportu­nità di consegnare la lettera a Cesare che trovarono ormai riconciliato con Erode, perché la missione di Nicola era stata portata avanti nel modo seguente. 336 Giunto a Roma e visitata la corte, per prima cosa decise di non occuparsi soltanto dell’affare per il quale era giunto, ma anche di accusare Silleo. Vi furono scontri tra loro, prima del suo incontro con loro. 337 Gli Arabi che avevano abbandonato Silleo ed erano andati da Nicola, l’informarono di tutti i crimini di Silleo e gli fornirono chiare prove dello sterminio di gran parte degli amici di Obada. Vi erano, infatti, delle lettere di lui da essi sottratte allorquando si allontanarono da lui e per mezzo loro lo convinsero. 338 Nicola vide, in questo, un tratto di buona fortuna che gli si offriva, e se ne servì per i suoi futuri disegni, impaziente com’era di riconciliare Cesare ed Erode; egli sapeva che qualora avesse cercato di scagionare gli atti di Erode non avrebbe avuto abilità sufficiente; se invece si trattava di accusare Silleo, avrebbe avuto una opportunità di parlare in favore di Erode. Così, quando le due parti erano d’accordo di confrontarsi l’una con l’altra, avrebbero fissato un giorno per l’udienza. 339 Alla presenza di Areta, Nicola accusò Silleo di un buon numero di delitti, tra gli altri lo accusò della morte del re e di molti altri Arabi, 340 e di essersi fatto imprestare denaro per scopi scellerati; lo dimostrò reo di adulterio, non solo con donne d’Arabia, ma anche di Roma; e aggiunse l’accusa più grave: Silleo aveva ingannato Cesare raccontandogli null’altro che falsità sulle attività di Erode. 341 Giunto a questo punto, Cesare lo interruppe domandandogli che a proposito di Erode gli bastava che gli dicesse unicamente se aveva condotto l’esercito in Arabia, se aveva ucciso 125 persone, preso dei prigionieri e saccheggiato la regione. 342 A questo, Nicola rispose che certamente egli aveva qualcosa di interessante da dire a proposito di queste accuse: nessuna di esse era vera, “come tu l’hai sentita” o, almeno non tale da meritare molta indignazione. 343 A tale sorprendente affermazione, Cesare prestò tutta la sua attenzione, e Nicola parlò dei 500 talenti e del contratto stipulato in base al quale, giunto il tempo convenuto, Erode aveva il diritto di riavere tutta intera la somma imprestata dall’intero paese di Silleo; la spedizione militare non era in realtà una spedizione militare, disse, ma una giusta riscossione del suo denaro. 344 E anche allora non procedette subito e in modo affrettato, come il contratto avrebbe permesso, ma più volte andò da Saturnino e Volumnio governatori della Siria; finalmente a Berito, in loro presenza, Silleo giurò per la fortuna di Cesare, che entro trenta giorni avrebbe restituito il denaro e coloro che erano fuggiti dai domini di Erode. 345 Siccome Silleo non aveva adem­piuto alcuna di queste cose, Erode ricorse nuovamente ai governatori, e quando gli dettero il permesso di riavere il denaro a lui dovuto, anche allora fu con riluttanza che uscì con quelli che aveva con sé. 346 “E così “la guerra”, come costoro teatralmente la chiamano, e la spedizione furono di tale natura. Come poteva essere una guerra, quando i tuoi governatori l’avevano permessa, quando era prevista dall’accordo e quando tu, il tuo nome, Cesare, fu profanato insieme a quello degli altri dèi? 347 Dobbiamo parlare ora dei prigionieri. Si trattava di alcuni briganti che abitano nella Traconitide, inizialmente una quarantina, poi aumentati e fuggiti dalle mani di Erode che voleva punirli; (briganti) che avevano fatto in Arabia la base delle loro operazioni. Silleo accolse questi uomini e li manteneva per lo sterminio di tutti gli uomini; a essi diede un territorio ove abitare e lui stesso traeva profitto dai loro latrocini. 348 Ma con lo stesso giuramento si era convenuto che sarebbero stati consegnati insieme alla restituzione del prestito. Fino a oggi non può mostrare che alcuno, all’infuori di questi briganti, sia stato allontanato dal territorio arabo; 349 e neppure costoro sono stati presi tutti, ma solo quanti egli non riuscì a nascondere. E’ chiaro che l’affare dei prigionieri non è altro che una maliziosa calunnia. la più grande finzione e falsità messa insieme da lui, o Cesare, per provocare la tua collera. 250 Io sostengo che solo quando la forza araba ci attaccò e cadde uno o due uomini di Erode, egli prese semplicemente a difendere se stesso e cadde Nakebo, loro comandante e circa 25 di loro in tutto. Silleo lo moltiplicò per cento ognuno di costoro asserendo che i morti furono 2.500”. 351 – 9. Queste affermazioni scossero Cesare ancora di più e pieno d’ira si rivolse a Silleo chiedendogli quanti arabi erano stati uccisi; Silleo esitante rispose che era stato ingannato da altri. Frattanto furono letti i contratti del prestito, le lettere dei governatori e il numero delle città che si lamentavano dei latrocini. 352 Finalmente la cosa andò tanto oltre che Cesare condannò a morte Silleo e si riconciliò con Erode, e si rammaricò delle aspre maniere usate scrivendogli sotto l’influsso di calunnie; e si lagnò con Silleo che con le sue affermazioni l’aveva indotto ad agire in modo ingiusto con un amico. 353 In conclusione Silleo fu rinviato in patria a pagare la sua punizione, a soddisfare i suoi creditori e ad essere punito di conseguenza. Areta tuttavia, non era ben visto da Cesare perché era salito sul trono da solo, senza alcun riferimento a lui; aveva perciò deciso di dare l’Arabia a Erode, ma ne fu dissuaso dalle lettere che gli furono mandate da lui. 354 Quando Olimpo e Volumnio seppero che Cesare era nuovamente ben disposto subito ritennero che era meglio inviargli le lettere con le accuse contro i suoi figli che Erode aveva incaricato di far proseguire. 355 Ma quando Cesare le lesse, credette che non era bene aggravare di un nuovo regno un uomo anziano e così tormentato con i figli; invece, ricevuti gli ambasciatori di Areta, lo rimproverò di essere stato troppo sconsiderato nel non avere atteso di ricevere il regno da Cesare: accolse, comunque, i suoi doni e lo confermò sul trono. 356 – XI, I. – Dopo essersi riconciliato con Erode, Cesare gli scrisse di essere angosciato a motivo dei suoi figli, e se essi erano stati così sconsiderati da attentare un crimine contro natura, egli li doveva punire come parricidi – questo potere, infatti, gli era concesso -, ma se essi progettavano di fuggire, egli doveva semplicemente ammonirli e non infliggere loro un castigo irrepa­rabile. 357 Inoltre lo avvertì di stabilire e convocare un consiglio a Berito, ove dimoravano i Romani, prendere i governatori, Archelao, re della Cappadocia, e molte altre persone che giudicava evidentemente amichevoli o importanti e determinare col loro consiglio ciò che era da fare. Queste furono le istruzioni date da Cesare. 358 Quando questa lettera fu consegnata, Erode fu subito lieto della riconciliazione avvenuta, felice pure che gli fosse dato pieno potere sui suoi figli. 359 E come prima – quando i suoi affari non andavano bene – si mostrava severo ma non avventato né precipitoso contro i figli, ora che gli affari andavano meglio e aveva la libertà di azione, ostentava il suo odio e il suo potere. 360 Inviò, dunque, le lettere invitando al consiglio quanti ritenne idonei, ad eccezione di Archelao. Costui non fu giudicato idoneo a essere presente o perché lo odiava o perché pensava che avrebbe interferito sui suoi piani. 361 – 2. Quando i governatori e le persone invitate da varie città giunsero a Berito, egli trattenne i suoi figli, perché non ritenne opportuno portarli davanti al consiglio, in un villaggio dei Sidoniani chiamato Platana, vicino alla città di Berito per essere in grado di produrli qualora fossero chiamati. 362 Si presentò, dunque, tutto solo davanti a 150 persone, si sedette e diede inizio all’accusa, che non fu tanto compassionevole per le inevitabili sciagure, quanto molto invero­simile che un padre parlasse contro i suoi figli. Era, infatti, violento ed emotivo nel presentare le loro colpe e dava chiari segni di furia e ferocia. 363 Non acconsentì ai membri del consiglio di esaminare le prove, ma offrì come argomento in difesa di esse il fatto che era una vergogna per un padre servirsene contro i suoi figli. Quando lesse ad alta voce le lettere scritte da loro, non trapelava alcuna congiura né traspariva slealtà, ma si parlava unicamente del loro piano di fuga, e alcuni tratti erano ingiuriosi verso Erode in quanto manifestavano la sua insoddisfa­zione verso di loro. 364 Quando giunse a questi tratti gridò ancora più forte esagerando il carattere eccessivo del loro linguaggio in una confessione di congiura formata dai suoi figli contro di lui, giurando che avrebbe preferito perdere la vita piuttosto che sentire parole del genere. 365 In fine disse che e la natura e la concessione di Cesare gli davano l’autorità di agire; ma aggiunse anche che nella sua patria c’era una legge che ordinava che qualora il genitore di un uomo, dopo averlo accusato, gli ponesse le mani sul capo, gli astanti dovevano lapidarlo e così ucciderlo. 366 Disse che questo era preparato a farlo nella sua patria e nel suo regno, ma aspettava il loro giudizio. Perciò essi non erano venuti tanto per essere giudici di evidenti crimini dei suoi figli, che egli aveva quasi fatalmente tollerato, ma affinché avessero l’opportu­nità di essere partecipi del suo sdegno, poiché è conveniente che anche i più lontani non restino indifferenti di fronte a complotti così gravi. 367 – 3. Dopo che il re aveva parlato così, senza che fossero introdotti i giovani, neppure per il tempo necessario per difen­dersi, i membri del consiglio si trovavano in una posizione nella quale era impossibile calmarlo od ottenere una riconciliazione, ratificarono la sua autorità. 368 Per primo parlò Saturnino, uomo consolare di grande autorità, ed espresse un’opinione moderata che teneva conto delle circostanze. Disse, infatti, che mentre condannava i figli di Erode, non riteneva giusto metterli a morte, perché anch’egli aveva dei figli, e una simile condanna era troppo grande anche ammesso che tutte le sue disgrazie fossero dovute soltanto a loro. 369 Dopo le parole di Saturnino, i suoi figli, ce n’erano tre che lo accompagnavano come legati, espressero la stessa opinione. Volumnio al contrario affermò che si doveva uccidere figli così empi verso il padre, e con gli stessi termini l’uno dopo l’altro si espresse la maggioranza dei presenti, sicché parve che il verdetto non poteva essere altro che la condanna a morte dei giovani. 370 Di là Erode si recò subito a Tiro, menando loro con sé, e quando Nicola giunse da Roma per incontrarlo, dopo avergli detto quello che era accaduto in Berito, Erode gli domandò che cosa ne pensavano dei suoi figli gli amici di Roma. 371 Di Nicola rispose che mentre ritenevano che le intenzioni dei suoi figli verso di lui non erano filiali, tuttavia egli doveva semplicemente imprigionarli e mantenere in prigione. 372 “E se proprio hai risolto di punirli in una diversa maniera, non appaia che tu segua la via della collera piuttosto che quella della ragione. Se, invece, scegli di assolverli, non lasciare che la tua infelice posizione non abbia un rimedio. Questo è il parere della maggior parte dei tuoi amici di Roma”. Erode, allora, dopo un meditato silenzio, ordinò a Nicola di salire sulla nave con lui. 373 – 4. Allorché giunse a Cesarea, subito tutti iniziarono a parlare dei suoi figli, e il regno era in attesa, aspettando di vedere che cosa ne sarebbe stato di loro. 374 Una paura terribile colse tutti quanti avevano partecipato alla lunga disputa delle due parti, giunta ormai alla tragica fine; ed erano angosciati per la sofferenza dei giovani. Tuttavia non era possibile dire qualcosa liberamente o udirla detta da altri, senza pericolo: ognuno teneva ben chiusa in se stesso la propria compassione, ed essi portavano così la loro profonda sofferenza con pena, ma allo stesso tempo senza parlarne. 375 Ma un vecchio soldato, di nome Tiro, aveva un figlio della stessa età di Alessandro, suo amico, parlò liberamente di tutte le cose che gli altri sentivano segretamente ma dissimulavano in silenzio. 376 Di frequente era costretto a gridare, in presenza della folla, dicendo, senza dissimulazione, che tra gli uomini la verità era abolita, la giustizia spenta, mentre prevalevano menzogna e malizia distese su tutte le cose come una nebbia, tanto che neppure le sofferenze più grandi erano visibili agli uomini traviati. 377 Questa libertà di parola era guardata da tutti come pericolosa, eppure non c’era uditore che non fosse mosso dalla ragionevolezza dei suoi lamenti e lo considerasse come l’incontro con un vero uomo. 378 Per tale motivo ognuno era lieto di ascoltarlo dire quelle cose che egli pure avrebbe detto, e mentre tutti se ne stavano in guardia, in silenzio, per propria sicurezza, cionono­stante approvavano la sua franchezza, poiché l’attesa tragedia obbligava tutti a parlarne. 379 – 5. Con il più grande coraggio, Tiro si spinse fino in presenza del re e chiese di parlargli da solo a solo; quando il re glielo concesse, egli disse: “Siccome, o re, io sono incapace di sopportare questo grande affanno, per la mia salvezza, ho preferito questa ardita libertà, libertà di parola necessaria e vantaggiosa per te, se ne farai buon uso. 380 Dove se ne andò il tuo senno? Dov’è la tua mente sovrana che compì molte e grandi opere? Perché questa completa assenza di amici e congiunti? 381 Questi che vedo qui presenti non li credo né amici né congiunti, poiché in uno stato una volta così felice, sostengono che alligni tanto disordine, e tu non apri gli occhi per conoscere ciò che fai? 382 Toglierai la vita a due giovani avuti da una moglie che era regina, e modello di ogni virtù? Nella tua età avanzata ti affiderai a un unico figlio che male ha ripagato la speranza che hai riposto in lui e ai tuoi congiunti che tante volte hai condannato a morte? 383 E non comprendi che anche se tace, la folla vede il tuo errore e aborre il tragico evento, che tutto l’esercito con i suoi capi ha cominciato a sentire pietà per gli sfortunati giovani e detestano gli autori di tutte queste cose?”. 384 Sulle prime il re sentiva tali asserzioni non del tutto malvolen­tieri, ma è appena necessario aggiungere che quando Tiro toccò apertamente i tragici eventi e l’insuccesso della fiducia nella propria famiglia, egli ne fu profondamente turbato. 385 Quando però Tiro sempre più nella sua mancanza di moderazione e di schiettezza militare, perché la sua assenza di educazione lo portava al di là di quanto richiedeva l’occasione, Erode rimase costernato, 386 parendogli di venire rimproverato più che sentire espressioni gratificanti; e quando seppe dei soldati scontenti e di comandanti indignati, diede ordine che tutti fossero indicati per nome, fossero messi in catene e tenuti in prigione, compreso lo stesso Tiro. 387 – 6. Fatto questo, un certo Trifone, uno dei barbieri del re, colse l’occasione per farsi avanti e dire che Tiro aveva spesso tentato di persuaderlo a tagliare la gola al re, mentre col rasoio gli faceva la barba, e gli aveva detto che sarebbe diventato uno dei migliori amici di Alessandro, e ne avrebbe ricevuto una grande quantità di regali. 388 Dopo questa affermazione, Erode ordinò l’arresto dell’uomo; in seguito presero a torturarli ambedue, Tiro e suo figlio, ed anche il barbiere. 389 Tiro sopportò il tormento con coraggio, ma il figlio, vedendo ora suo padre in uno stato terribile, senza alcuna speranza di sopravvivere, e prevedendo dalla penosa sofferenza del padre quello che gli sarebbe capitato, disse che avrebbe rivelato al re la verità, perché a sua volta Erode liberasse lui e suo padre dalla tortura e dallo strazio. 390 Quando il re diede la sua parola che avrebbe fatto così, il giovane disse che c’era stata un’intesa che Tiro avrebbe assassinato il re, perché a lui sarebbe stato facile avvicinarlo quando sarebbero stati soli; e se, compiuta l’impresa, Tiro avesse avuto da soffrirne, com’era da aspettarsi, il servizio reso ad Alessandro, sarebbe stato un nobile servizio. 391 Con queste dichiarazioni, il giovane liberò suo padre dallo stato disperato in cui si trovava, ma non è chiaro se disse la verità sotto costrizione, oppure se giudicava che questa confessione avrebbe posto fine alle sofferenze di suo padre e alle proprie. 392 – 7. Intanto, se Erode aveva prima qualche perplessità a mettere a morte i suoi figli, nell’animo non rimase più spazio per questo; allontanò qualsiasi cosa fosse stata capace a fargli cambiare idea per un migliore consiglio; ormai non si curava d’altro che di eseguire il suo piano. 393 Portò davanti all’assemblea 300 capi che erano sotto accusa, e Tiro con suo figlio e il barbiere che li avevano denunciati, e addusse le accuse contro di loro. 394 E la folla uccise questi uomini colpendoli con tutto ciò che veniva loro in mano. Allora Alessandro e Aristobulo furono condotti a Sebaste e per ordine del loro padre, vennero uccisi con strangolamento. Durante la notte i loro corpi furono portati nell’Alessandreion dove erano sepolti il loro nonno materno e la maggioranza dei loro antenati. 395 – 8. A taluno non paia fosse strano che un odio nutrito da molto tempo sia cresciuto poi così tanto e si sia esteso così profondamente da affogare i sentimenti della natura. Ma si può ragionevolmente esitare se decidere di biasimare i giovani perché avevano fornito esca all’ira paterna e comandare del tempo l’avevano amareggiato in modo così inguaribilmente ostile a se stessi, 396 oppure se biasimare lui, per la sua insensibilità, per lo smodato desiderio di regnare e di assaporare altre forme di gloria che non doveva lasciare intentate, tanto da apparire invincibile in tutto quello che voleva, 397 o ancora se lamentare la Fortuna il cui potere è maggiore di qualsiasi prudente riflessione. Per tale motivo, siamo persuasi che le azioni umane sono preordinate ad avere luogo da una assoluta necessità, che noi chiamiamo Fato, perché non v’è nulla che si compia senza di esso. 398 Ora io penso che basterà confrontare questa dottrina con quella secondo la quale noi attribuiamo a noi stessi una parte della causa, e manteniamo noi stessi non responsabili per le differenze nel nostro comportamento, come è stato discusso filosoficamente prima di noi nella Legge. 399 Per le altre due cause si possono rimproverare i figli di Erode, perché con giovanile baldanza e la boria regale prestavano orecchio ai calunniatori del padre, erano critici impietosi di quanto fatto durante la sua vita, erano maligni nei loro sospetti, e intemperante nel parlare: in ambedue questi aspetti caddero facili prede di quanti li stavano osservando per informare il re contro di essi e propiziarsene la benevolenza. 400 Tuttavia il loro padre non era degno di rispetto a motivo della sua slealtà verso di loro, tutt’altro che paterna, giacché senza avere ottenuto alcuna chiara evidenza della loro slealtà o senza essere riuscito a provare che preparavano un attacco contro di lui, ebbe il coraggio di uccidere persone generate da lui, fisicamente perfette e care agli stranieri, non inesperte negli esercizi di caccia e militari e nel parlare degli affari correnti. 401 Erano abili in tutto ciò, in particolare modo Alessandro, il più anziano. Poiché per Erode sarebbe stato sufficiente, anche se condannati, tenerli vivi in prigione, o mandarli fuori del regno: egli era abbastanza difeso e sicuro del grande potere di Roma, per cui non era possibile che avesse da subire qualcosa come un attacco o un’azione violenta. 402 Ucciderli subito, fu, dunque, per lui un assecondare la passione che lo possedeva, fu il segno di uno spirito non religioso che era al di là di ogni scusa, specialmente perché commise un crimine così grande in età avanzata. 403 Invero il suo ritardo e il suo temporeggiare non gli fornirono alcuna scusante. Poiché colui che disperato e sotto una grave emozione si accinge a compiere qualcosa di atroce è una evenienza comune, anche se è arduo da sopportare; ma fare questo dopo averci pensato a lungo, dopo frequenti e decise partenze e altrettanto frequenti arresti ed esitazioni, e finalmente passare all’azione, questo è l’atto di un omicidio: male dal quale non è più possibile ritrarsi. 404 Anche nelle sue ultime azioni Erode manifestò gli stessi tratti, non risparmiando neppure i restanti suoi carissimi amici; nel loro caso, tuttavia, la giustizia li fece rimpiangere meno per la loro eliminazione, sebbene egli abbia dimostrato una uguale crudeltà non risparmiandoli. Di questo tratteremo ampiamente al suo luogo nella narrazione seguente.

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Antichità GiudaicheLibro XVII

Libro XVII:1 – I, I. – Benché Antipatro si fosse liberato dei suoi fratelli coinvolgendo suo padre nel più empio dei crimini ed esponen­dolo alla vendetta divina, le sue speranze per il proprio futuro non corrispondevano ancora ai suoi disegni. Poiché, sebbene fosse libero dal timore di avere da dividere il potere con i fratelli, trovò più difficile e meno sicura l’impresa di ottenere il trono, a motivo dell’ampiezza raggiunta dall’odio popolare verso di lui. 2 A questa difficoltà che gli dava una non piccola noia, gli si aggiunse una inquietudine ancora maggiore, cioè l’ostile attitu­dine delle forze armate, poiché tutta la sicurezza di un re è nelle loro mani, ogni qual volta la sua nazione aspira a novità. A così grande pericolo lo condusse la morte dei suoi fratelli. Ciò nonostante egli era almeno co-regnante con suo padre, non diversamente dal re. 3 Egli inoltre aveva la confidenza di Erode in misura ancora più grande, avendo trovato il modo di ottenere la sua benevolenza, ma in una maniera che sarebbe stata causa della sua caduta, poiché dava a vedere di essere stato lui ad accusare i suoi fratelli per mettere al sicuro la salvezza di Erode e non per inimicizia verso di loro e prima di loro verso suo padre. 4 Tali erano le pazzie che lo invasavano. Tutto ciò serviva ad Antipatro come una via tortuosa per attaccare Erode, giacché vedeva se stesso libero da chi poteva scoprire le sue intenzioni, ed Erode privo di chi potesse aiutarlo, quando Antipatro gli si fosse dichiarato apertamente nemico. 5 Era dunque per odio verso il padre che tese insidie ai suoi fratelli. Allora si sentì più che mai animato a non abbandonare l’impresa, poiché se moriva Erode, il regno sarebbe stato suo senza contrasti; ma se a Erode fosse capitato di prolungare la vita, sarebbe stato continuamente a confronto col pericolo della rivelazione del crimine da lui ideato, obbligando perciò suo padre a diventare suo nemico. 6 Per questo motivo era generoso di favori per i seguaci di suo padre, cercando, con grandi ricompense di distogliere da sé l’odio che ognuno gli portava, e specialmente di guadagnarsi la benevolenza degli amici romani, inviando loro sontuosi regali, in particolare a Saturnino, legato di Sirio. 7 Sperava pure di conquistare il fratello di Saturnino con i grandi doni che gli stava facendo e usava lo stesso metodo con la sorella del re, che era sposata a uno dei principali seguaci di Erode. 8 Era molto scaltro nel fingere leale amicizia e riusciva a ottenere fiducia da tutti e, con sottile artifizio, sapeva nascondere l’odio che provava verso tutti; non giunse, però, a ingannare la zia che da molto tempo conosceva le sue intenzioni e non era tale da essere raggirata perché aveva preso ogni possibile precauzione contro i cattivi artifizi; 9 nonostante ciò, lo zio materno di Antipatro aveva sposato la figlia di lei, ed era stato un progetto e un maneggio di Antipatro se aveva preso la giovane donna che prima era stata sposa di Aristobulo. L’altra figlia di Salome fu data in matrimonio al figlio di suo marito Callea; ma quest’unione matrimo­niale non fu una barriera per il cattivo carattere di lei, non meno di quanto lo fosse stata la prima relazione per il suo odio. 10 Quantunque Salome fosse desiderosa di sposare l’arabo Silleo, per il quale aveva una passione, Erode la obbligò a diventare moglie di Alessa: a questa situazione cooperò anche Giulia, che persuase Salome a non rifiutare il matrimonio altrimenti sarebbe esplosa tra loro una inimicizia, perché Erode aveva giurato che non sarebbe stato in armonia con Salome, se lei non avesse accettato di sposare Alessa; lei accolse il consiglio di Giulia, sia perché era moglie di Cesare sia perché in altre occasioni le avrebbe dato suggerimenti molto vantaggiosi. 11 In questo tempo anche Erode rimandò a suo padre la figlia del re Archelao che era stata moglie di Alessandro, con la dote sborsata dal proprio denaro per evitare che insorgessero motivi di contrasto. 12 – 2. Lo stesso Erode allevò presso di sé i nipotini con molta cura: Alessandro ebbe due maschi, da Glafira; e Aristobulo tre maschi e due femmine, da Berenice, figlia di Salome. 13 Un giorno presentò i ragazzi a un raduno di suoi amici e, dopo avere pianto la sventura dei suoi figli, pregò che non dovesse mai accadere una sventura del genere ai loro figli, che anzi, cresciuti in valore e giustizia, lo ripagassero dell’educazione che dava loro. 14 Egli destinò pure loro in matrimonio, quando avessero raggiunto l’età, la figlia di Ferora per il primo figlio di Alessandro, la figlia di Antipatro per il figlio di Aristobulo, assegnò una figlia di Aristobulo come sposa del figlio di Antipatro; un’altra figlia di Aristobulo la assegnò al proprio figlio Erode che gli era nato dalla figlia del sommo sacerdote; da noi, infatti, è usanza avita avere più mogli contemporaneamente. 15 A concludere questi matrimoni il re fu indotto dalla pietà che sentiva per quegli orfani e indusse Antipatro ad avere sentimenti benevoli verso di loro a motivo del vincolo matrimoniale. 16 Ma Antipatro non mutò i propri sentimenti verso i figli dei suoi fratelli, come verso i loro padri; e la cura di suo padre per loro, gli diede da pensare prevedendo che sarebbero venuti più potenti dei suoi fratelli, specialmente quando fossero diventati uomini con Archelao, personalità regia che avrebbe sostenuto i suoi nipoti e Ferora, ora anche tetrarca, che avrebbe sostenuto (il figlio di Alessandro) in procinto di sposare sua figlia. 17 Gli dava da pensare, infine, il fatto che tutta la gente aveva compassione degli orfani e aveva in odio lui che non aveva esitato ad andare alle estreme conseguenze contro i suoi fratelli. Perciò cercava il modo di sconvolgere i disegni decisi da suo padre, pensando che in seguito, per lui, sarebbe stato pericoloso averli così vicini nella partecipazione a un così grande potere. 18 Erode, perciò, cam­biando il suo disegno, si piegò alle istanze di Antipatro, e così Antipatro doveva sposare la figlia di Aristobulo, e suo figlio la figlia di Ferora. In tal guisa si stravolsero le convenzioni matrimoniali contro i desideri del re. 19 – 3. A questo tempo il re Erode aveva nove mogli: la madre di Antipatro e la figlia del sommo sacerdote dalla quale gli era nata una figlia dello stesso nome; poi c’era la figlia di suo fratello, sposata a lui, e una cugina, dalla quale non ebbe prole; 20 tra le sue mogli vi era pure una samaritana di nascita: fu madre di Antipa, di Archelao e della figlia Olimpia, che in seguito sposò Giuseppe, nipote del re; Archelao e Antipa furono allevati a Roma da un certo giudeo; 21 un’altra moglie era Cleopatra, nativa di Gerusa­lemme, dalla quale ebbe due figli, Erode e Filippo, pure allevati a Roma; tra queste sue mogli vi era pure Pallade che gli diede un figlio di nome Fasaele; poi ancora Fedra ed Elpide, dalle quali ebbe due figlie, Rossana e Salome. 22 Le sue figlie maggiori, che ebbero la stessa madre di Alessandro e Aristobulo, che Ferora aveva rifiutato di sposare, le diede in matrimonio, una ad Antipatro, figlio della sorella del re, e l’altra a Fasaele che era figlio di un fratello di Erode. Questa era, dunque, la famiglia di Erode.

23 – II, I. – Era, circa, questo il tempo nel quale Erode volendo assicurarsi da attacchi dei Traconiti, decise di edificare, tra loro e i Giudei, un villaggio non inferiore, in grandezza, a una città, per rendere difficile l’invasione del suo territorio, e anche per disporre di un luogo dal quale fare sortite contro il nemico vicino e colpirlo con improvvise incursioni. 24 Quando seppe che un Giudeo dalla Babilonia aveva passato l’Eufrate con 500 arcieri a cavallo e un gruppo di congiunti che raggiungeva il centinaio, si erano sistemati ad Antiochia vicino a Dafne in Siria, perché Saturnino, allora governatore della Siria, aveva dato loro un luogo ove abitare di nome Ulatha, 25 mandò da lui e da tutta la banda che lo seguiva con la promessa di dargli terra nella toparchia chiamata Batanea ai confini della Traconitide perché voleva porre un argine all’irruenza dei vicini; e promise che questa terra sarebbe stata esente da tasse, ed essi esenti da qualsiasi forma di tributi, perché egli avrebbe permesso loro di abitare nella terra senza alcun obbligo. 26 – 2. Persuaso da questa offerta il Babilonese venne a prendere possesso della terra e vi edificò delle fortezze e un villaggio al quale diede il nome Bathira. Quest’uomo fu uno scudo sia per gli abitanti esposti ai Traconiti, sia per i Giudei che da Babilonia venivano a sacrificare in Gerusalemme: costoro li custodivano affinché non venissero assassinati dal brigantaggio dei Traconiti. Vennero da lui, da ogni parte, anche molti uomini che erano devoti alle ancestrali usanze dei Giudei. 27 Questa terra divenne molto popolata, a motivo della sua immunità da ogni tassazione; questo stato di cose durò finché visse Erode; quando nel comando gli succedette suo figlio Filippo li assoggettò alla tassazione, tuttavia non grave e per breve tempo. 28 Ma Agrippa il Grande e il figlio che portava lo stesso nome li oppressero pesantemente; non vollero però togliere loro la libertà. E i Romani che succedettero nel comando a questi re, mantennero loro lo stato di uomini liberi, ma con l’imposizione del tributo li schiacciarono completamente. Di questa materia tuttavia, tratterò più compiutamente nel corso della narrazione. 29 – 3. Quando Zamari, il Babilonese, che da Erode aveva ottenuto questa terra, dopo una vita virtuosa morì, lasciò dei figli virtuosi. Uno di essi, Jacimo, di gran valore, organizzò i Babilonesi a lui soggetti in un corpo di cavalieri; una truppa di questi uomini serviva i re come guardia del corpo. 30 E quando Jacimo, ormai vecchio, morì, lasciò un figlio di nome Filippo che era uomo di grande forza e dotato di altre virtù, tanto da poter reggere assai bene il confronto con qualsiasi altro. 31 Per questo tra lui e il re Agrippa ci fu sempre fedele amicizia e costante benevolenza, e fu sempre lui il maestro delle truppe che il re poteva mantenere e le guidava ovunque se ne presentava bisogno.

32 – 4. Trovandosi Erode nella situazione descritta, tutti gli affari venivano sbrigati da Antipatro. Egli non rifiutava di usare la sua autorità per ratificare tutto quanto voleva, perché suo padre aveva lasciato ogni cosa a lui, a motivo della fiducia che aveva nella sua lealtà e fedeltà. Ed era diventato ancora più audace nella ricerca di far valere la sua autorità sugli altri, perché i suoi cattivi disegni erano celati al padre che aveva la più grande fiducia in tutto ciò che diceva; 33 era temuto da tutti, non tanto per la sua autorità quanto a motivo della sua lungimirante malizia. Ferora, in particolare, lo corteggiava e a sua volta era corteggiato perché Antipatro, molto abilmente, lo aveva irretito, e aveva formato le donne sul modo di comportarsi con lui. 34 In verità Ferora era diventato uno schiavo di sua moglie e di sua madre e sorella, anche se egli odiava queste creature per la loro arroganza verso le sue figlie vergini. Ciononostante egli era paziente con loro e non sapeva fare nulla senza queste donne che avevano circondato il pover uomo e in ogni cosa concordavano agendo lealmente in reciproca armonia, 35 sicché Antipatro le aveva sotto il suo completo controllo, sia grazie alla propria azione, sia grazie all’azione di sua madre, tanto che queste quattro donne erano l’espressione di un unico pensiero. Le divergenze tra Ferora e Antipatro sorsero da cose di nessun rilievo; 36 ma il freno alla loro azione comune fu opera della sorella del re che da tempo stava osservando ogni cosa e, avvenutasi, che la loro amicizia mirava alla rovina di Erode, non ebbe difficoltà a informarlo contro di esse. 37 Saputo che questa loro amicizia era odiosa per il re, in quanto macchinava la sua rovina, si accordarono di non fare più conoscere i loro incontri e, qualora si presentasse l’occasione di trovarsi, si accordarono di dirsi villanie e dimostrarsi nemiche l’una dell’altra, specialmente in presenza del re o di chi potesse riferirlo a lui; ma segretamente strinsero ancora più fortemente la loro intesa. E questo è quanto fecero. 38 Ma Salome ignorava tutte queste cose, né all’inizio quando formarono il progetto, né in seguito quando non erano lontane dal mandare ad effetto il loro disegno; lei frugava dappertutto e in fine rivelò ogni cosa a suo fratello, cioè che si tenevano adunanze segrete, cene, riunioni tenebrose e oscure che, lei diceva, non sarebbero state sottratte alla pubblica conoscenza, se non aves­sero avuto un motivo contro di lui. 39 Ora queste, che in pubblico si dimostravano l’un l’altra discordi e usavano tra loro parole ingiuriose in ogni occasione, lei diceva che in realtà nascondevano la loro amicizia dalla vista del pubblico e ogni qualvolta erano insieme da sole si trovavano concordi a combattere contro coloro dai quali ebbero a soffrire per nascondere la benevolenza che sentivano l’una per l’altra. 40 Salome, dunque, frugava su tali cose e andava a riferirlo dettagliatamente a suo fratello, il quale pur avendone già trovate da solo, non osava fare nulla perché gli era venuto il sospetto che le accuse della sorella fossero false. 41 C’era anche un gruppo di Giudei che si vantava di una consuetudine ereditaria e di una scrupolosa osservanza delle leggi approvate dalla Divinità, e da questi uomini, chiamati Farisei, erano dirette le donne; costoro erano molto adatti per aiutare il re a motivo della loro preveggenza, e tuttavia erano ovviamente diretti a combatterlo e ingiuriarlo. 42 Almeno dopo che il popolo giudaico si era obbligato, con giuramento, a essere leale verso Cesare e verso il governo del re; più di 6mila di costoro si rifiutarono di giurare, e quando il re li punì con una multa, la moglie di Ferora pagò la multa in loro vece. 43 In cambio della sua amicizia, essi predissero – avevano fama di prevedere il futuro grazie ad apparizioni di Dio – che per decreto divino a Erode sarebbe stato tolto il trono sia da lui stesso che dai suoi discendenti, e il potere regio sarebbe andato a lei e a Ferora e a ogni figlio avuto da loro. 44 Queste cose non rimasero ignote a Salome: furono riferite al re e così la notizia che i Farisei avevano corrotto alcuni dei suoi cortigiani. Il re, dunque, mise a morte i Farisei più biasimati, l’eunuco Bagoa e un certo Caro che era il più preminente dei suoi contemporanei per la sua insuperabile bellezza ed era amato dal re; uccise anche tutti quei suoi domestici che approvavano quanto detto dai Farisei. 45 Per colpa loro Bagoa era stato elevato a grandi speranze con l’assicurazione da parte loro che sarebbe stato chiamato padre e benefattore di colui che un giorno sarebbe posto sopra il popolo col titolo di re, perché tutto il potere sarebbe andato a lui ed egli avrebbe dato a Bagoa la facoltà di sposarsi e generare figli veramente suoi. 46 – III, I. Puniti i Farisei che erano stati considerati colpevoli con tali accuse, Erode raccolse un consiglio di suoi amici e fece accuse contro la moglie di Ferora; all’audacia di questa donna ascrisse l’oltraggioso trattamento delle vergini e ascrivendo come colpa del marito il motivo della lagnanza, 47 accusandola di aver, come un promotore di gare, suscitato una lotta tra lui e suo fratello e di avere pure fatto, con la parola e con i fatti quanto era in suo potere per proseguire questa lotta innaturale. L’ammenda poi, da lui imposta era stata evasa grazie ai pagamenti fatti da lei, e che al presente non si faceva niente senza di lei. 48 “Onde, se agissi saggiamente, o Ferora, senza una mia richiesta, senza che io esprima il mio pensiero, spontaneamente dovresti ripudiare questa donna, essendo l’unica fomentatrice di discordie tra te e me; ora se ci tieni alla mia parentela, manda via tua moglie, poiché in tal modo resterai mio fratello e non muterai il tuo amore verso di me”. 49 Ma, Ferora, pur profondamente commosso da queste parole, disse che per lui non era giusto offendere né l’attaccamento a suo fratello né la devozione a sua moglie, e che avrebbe preferito la morte piuttosto che vivere senza la moglie a lui tanto cara. 50 Erode, benché trattenesse la collera che a quelle parole gli sorse spontanea contro Ferora, sebbene avesse volentieri risposto con una ritorsione, proibì ad Antipatro e a sua madre di associarsi a Ferora e che in avvenire si guardassero dall’incontrarsi con le donne. 51 Promisero, certo, di ubbidire; ma ovunque se ne presentava l’opportunità, Ferora e Antipatro si incontravano e gozzovigliavano insieme; e correva voce che la moglie di Ferora fosse in intimità con Antipatro e la madre di Antipatro si prestasse a tenerli insieme. 52 – 2. Ora guardava suo padre con sospetto e temeva che il suo odio andasse aumentando; scrisse perciò agli amici in Roma sollecitandoli a scrivere quanto prima ad Erode di inviare Antipatro da Cesare al più presto possibile; 53 e questo fu fatto. Erode inviò Antipatro e con lui preziosissimi doni e anche un testamento nel quale designava Antipatro suo successore al trono; in caso che egli morisse prima di lui, sarebbe diventato re Erode, il figlio natogli dalla figlia del sommo sacerdote. 54 Ora Silleo, l’Arabo, che non aveva eseguito alcuno degli ordini di Cesare, navigò nello stesso tempo di Antipatro. E Antipatro lo accusò davanti a Cesare degli stessi crimini dei quali prima lo aveva accusato Nicola. Silleo era anche accusato da Areta di avere ucciso, contro la sua volontà, molti uomini notabili di Petra, in special modo Soemo, uomo molto stimato per la sua grande virtù, e di aver fatto fuori Fabato, servo di Cesare. 55 A Silleo venivano fatte anche le seguenti accuse. Erode aveva una guardia del corpo di nome Corinto che godeva di tutto il credito del re. Con ingenti somme di denaro, Silleo cercò di persuadere quest’uomo a uccidere Erode, ed egli si accordò di farlo. Ora, quando Fabato venne a conoscenza di questo dalla bocca stessa di Silleo, lo riferì al re. 56 Erode perciò arrestò Corinto, lo sottopose alla tortura e così gli si svelò; arrestò anche due arabi denunziati da Corinto: uno era capotribù, l’altro amico di Silleo. 57 Anche costoro confessarono, il re infatti li aveva messi alla tortura, che erano venuti per incitare Corinto a non mostrarsi debole, affermando che qualora fosse necessario avrebbero dato una mano all’uccisione. Quando Saturnino fu informato di tutto da Erode, li spedì a Roma. 58 – 3. Siccome Ferora perseverava più che mai nell’amore della moglie, Erode gli ordinò di ritirarsi nel suo territorio. Così, di buon grado, si ritirò nella sua tetrarchia, con giuramento solenne di non ritornare più indietro finché non avesse udito la morte di Erode. Così anche quando il re divenne malato e fu chiesto a Ferora di ritornare per ricevere certe istruzioni confidenziali, dato che si riteneva che il re stesse per morire, egli rifiutò per il giuramento. 59 Ma Erode, in questo, non seguì il suo esempio e prese anticipatamente la sua decisione; quando, più tardi, si ammalò suo fratello Ferora, egli andò a trovarlo anche se non era stato chiamato. E quando Ferora morì egli lo preparò per il funerale e lo fece trasferire a Gerusalemme dove provvide un luogo per la sepoltura e decretò un lutto solenne.

60 Di qui trassero origine le sventure di Antipatro, benché fosse già andato a Roma; Dio, infatti, lo puniva per l’assassinio dei suoi fratelli. Ne esporrò qui tutta la storia affinché sia esempio e avvertimento al genere umano a praticare la virtù in ogni circostanza. 61 – IV, I. – Allorché Ferora morì e fu sepolto, due liberti, che erano stati molto stimati da lui andarono da Erode e lo pregarono di non lasciare invendicata la morte di suo fratello, ma di esaminare la sua inesplicabile e infelice morte. 62 Allorché Erode dimostrò interesse alle loro asserzioni che gli parevano credibili, proseguirono dicendo che il giorno prima di cadere malato Ferora aveva cenato con sua moglie e aveva mangiato una sostanza servitagli in una specie di cibo al quale non era abituato e per questo morì. Perciò quella sostanza, portata da una donna dell’Arabia, apparentemente per stimolare le sue sensazioni erotiche, era chiamata filtro erotico, in realtà era per ucciderlo. 63 Ora le donne dell’Arabia sono le più abili di tutte nell’uso di droghe e la donna da loro accusata di questo atto era conosciuta come innamorata di Silleo. Per indurla a vendere la droga erano andate in quella regione la madre e la sorella della moglie di Ferora e con essa erano ritornate il giorno avanti la cena. 64 Acceso di sdegno da questa notizia, il re sottopose alla tortura le serve delle donne e alcune liberte, ma l’affare restava oscuro perché nessuno voleva parlare. Alla fine una delle donne, sopraffatta dal dolore, parlò: null’altro disse se non un’invocazione a Dio affinché mandasse uguali tormenti alla madre di Antipatro che era stata, disse, la causa del male che opprimeva tutte loro. 65 Queste parole spinsero Erode a una disamina più accurata; con torture fece in modo che dalle donne fosse portata alla luce l’intera storia. Esse parlarono di bagordi, di incontri segreti e, quello che è più, della rivelazione, fatta da Ferora, alle donne di cose che egli aveva detto soltanto a suo figlio, poiché Erode aveva incaricato Antipatro di nascondere il regalo di 100 talenti fatto sotto la condizione che non ne parlasse a Ferora. 66 Esse parlarono pure dell’odio di Antipatro verso suo padre, delle lamentele che faceva con sua madre della vita troppo lunga del padre, e come anche lui si era ormai accostato alla vecchiaia, onde neppure il regno, quando fosse giunto ad averlo, gli avrebbe dato molta consolazione; tanto più si lagnava che si allevassero alla succes­sione un gran numero di fratelli e figli che non gli lasciavano più la sicura speranza di ottenere il trono. 67 E anche ora, diceva, se gli fosse capitata una disgrazia, Erode piuttosto che a suo figlio, avrebbe lasciato il regno a suo fratello; accusava il re di eccessiva crudeltà e dell’uccisione dei suoi figli; e aggiungeva che per timore di disavventura Erode e Ferora astutamente avevano fatto un piano secondo il quale lui sarebbe andato a Roma e Ferora nella sua tetrarchia. 68 – 2. Queste asserzioni concordavano con quelle di sua sorella, e contribuirono largamente a eliminare le esitazioni di Erode sulla loro credibilità. E, convinto che Doris, madre di Antipatro, fosse coinvolta nella sua malvagità, il re le tolse tutti i suoi abiti vistosi che avevano il valore di molti talenti, poi la mandò via e fece pace con le donne di Ferora. 69 Quello però che più fece salire lo sdegno del re contro il figlio fu un samaritano di nome Antipatro, agente del figlio del re, Antipatro; tra le cose che costui rivelò sotto tortura, ci fu che aveva preparato un veleno fatale e lo aveva dato con l’avvertenza di darlo a suo padre durante l’assenza di Antipatro dal paese, in modo che restasse il più a lungo possibile esente da ogni sospetto sull’affare. 70 E il veleno era stato portato dall’Egitto da Antifilo, uno degli amici di Antipatro, ed era stato inviato a Ferora per mezzo di Teudione, zio materno di Antipatro, figlio del re; in tale modo il veleno era venuto nelle mani della moglie di Ferora, perché il marito glielo aveva dato da custodire. 71 Quando il re la interrogò la moglie confessò ogni cosa e corse come per portarlo e si gettò dal tetto; ma non morì perché cadde in piedi. 72 Quando la rivide promise l’immunità a lei e ai suoi, qualora avesse scritto accuratamente la verità; ma qualora lei si rifiutasse, lui l’avrebbe fatta passare tra i più terribili tormenti; lei così giurò che avrebbe rivelato ogni cosa come era avvenuta e la maggioranza afferma che disse veramente ogni cosa: 73 “Il veleno fu portato dall’Egitto da Antifilo, al quale era stato dato da suo fratello, che è un medico, e Teudione lo portò da noi. Dopo fu preparato da Antipatro per usarlo contro di te; io lo ricevetti da Ferora, e io stesso l’ho custodito. Libro XVII:74 Quando Ferora si ammalò, tu avesti premura verso di lui e ti curasti di lui; egli vide la tua gentilezza, il suo spirito ne fu scosso, mi mandò a chiamare e mi disse: “Mia cara moglie, Antipatro ha fatto di me uno stupido a proposito di suo padre, che è anche mio fratello, architettando piani per la sua uccisione e provvedendo, per questo scopo, il veleno da somministrargli. 75 Ma ora che mio fratello ha dimo­strato verso di me una bontà non inferiore a quella del passato e io non penso di prolungare oltre i miei giorni, deh, provvedi tu che io non discenda ai miei antenati con la vendetta di un fratricidio, disonorandoli, ma porta il veleno e brucialo sotto i miei occhi”. Senza indugio lei lo portò ed eseguì così gli ordini del marito. 76 Lei diede alle fiamme la parte maggiore del veleno, conservandone però un tantino affinché, dopo la morte di Ferora, qualora il re l’avesse trattata male, con esso avrebbe posto fine alla propria vita evitando così la tortura. 77 Detto tutto questo, trasse un bossolo che conteneva il veleno; e un fratello di Antifilo e sua madre, sotto crudeli tormenti e torture, dissero le stesse cose e identificarono il bossolo. 78 In queste accuse venne coinvolta anche la figlia del sommo sacerdote, che era moglie del re, perché, consapevole di ogni cosa, non aveva voluto dire nulla. Per questo motivo Erode divorziò da lei e cancellò la parte del testamento nella quale suo figlio era nominato suo successore al trono; depose inoltre il sommo sacerdote Simone, suo suocero, figlio di Boeto, e al suo posto designò Mattia, figlio di Teofilo, nativo di Gerusalemme. 79 Nel mentre giunse da Roma Batillo, liberto di Antipatro, e, sottoposto a tortura, si scoprì che aveva portato un veleno da consegnare alla madre di Antipatro e a Ferora affinché, qualora il primo veleno non avesse sortito sul re l’effetto voluto, lo si potesse uccidere con quest’altro. 80 Dagli amici di Roma giunsero lettere a Erode, scritte per suggestione di Antipatro, nelle quali non si faceva altro che accusare Archelao e Filippo perché di continuo sparlavano del loro padre, come assassino di Aristobulo e di Alessandro, e perché sembrava avessero pietà per se stessi, poiché erano stati richiamati dal padre e tale chiamata, a quanto si diceva, non aveva altro motivo che la condanna a morte. 81 Con queste lettere gli amici aiutavano Antipatro a ottenere grandi somme di denaro. Anche Antipatro scrisse a suo padre dei più gravi crimini dei giovani e attribuiva loro altre affermazioni, scusandoli per la giovane età. Egli poi era intento a portare avanti la sua relazione con Silleo, era tutto preso ad accattivarsi la benevolenza delle persone influenti, e si era assicurato, con 200 talenti, un immobile sontuoso. 82 Ci si può stupire come mai non avesse sentore dei gravi torbidi che già da sette mesi si erano levati in Giudea contro di lui. La ragione di questo era, in parte, la grande diligenza con cui si guardavano le strade e in parte l’odio che tutti avevano per Antipatro, onde non v’era alcuno che si mettesse in pericolo per la salvezza di Antipatro. 83 – V, I. – Allorché Antipatro gli scrisse informandolo che aveva concluso ogni cosa che aveva da fare e avrebbe compiuto il ritorno quanto prima, Erode dissimulò il suo sdegno e rispose ordinandogli di non ritardare il suo rientro, affinché durante la sua lontananza non avesse a capitare qualcosa di sinistro a suo padre; faceva qualche lagnanza di poco conto su sua madre, promettendogli che avrebbe analizzato queste lagnanze all’arrivo di Antipatro. 84 Gli dava tutte le prove possibili della sua benevolenza, per timore che avesse avuto qualche sospetto e, invece di rientrare a casa, differisse la sua permanenza a Roma e organizzasse qualche complotto contro il trono di Erode, e nel fare questo riuscisse eventualmente a fare qualche danno. 85 Questa lettera la ricevette nella Cilicia; prima, a Taranto, aveva ricevuto la lettera che gli annunziava la morte di Ferora. Rimase molto colpito da questa notizia, non per amore di Ferora, ma perché era morto senza avere condotto a conclusione le promesse che gli aveva fatto, cioè di mettere a morte suo padre. 86 Quando giunse a Celenderi in Cilicia, cominciò a dubitare se avesse da proseguire la navigazione verso casa, oltremodo dolente che avesse mandato via sua madre. E alcuni suoi amici gli dissero di fermarsi in qualche luogo vicino e aspettare di vedere ciò che poteva accadere, altri invece lo consigliavano di non rinviare il viaggio di ritorno a casa, poiché con il suo ritorno avrebbe dissolto ogni accusa contro di sé; come stavano adesso gli affari, l’unica forza di cui disponevano i suoi accusatori, era la sua assenza. 87 Persuaso da questi argomenti, Antipatro proseguì la navigazione e attraccò al porto di Sebaste fabbricato da Erode con grandi spese e nominato Sebaste in onore di Cesare. 88 Allora finalmente Antipatro aprì gli occhi e riconobbe le disgrazie che gli si preparavano: poiché nessuno gli si avvicinò, nessuno gli rivolse buone parole di saluto, e gentili espressioni di augurio, come era avvenuto alla sua partenza; al contrario vi era chi non si astenne dall’accoglierlo con maledizioni, pensando che egli era là per scontare le pene che gli spettavano per i crimini contro i suoi fratelli. 89 – 2. In quel tempo si trovava a Gerusalemme Quintilio Varo che era stato mandato in Siria per succedere a Saturnino come governatore della Siria, giunto da Erode, a sua richiesta, perché lo consigliasse sulla presente situazione. 90 Mentre sedevano entrambi a consulta, sopraggiunse Antipa­tro che non era stato informato di nulla ed era entrato nel palazzo indossando l’abito di porpora. L’usciere lo ammise, ma trattenne fuori i suoi amici. 91 Chiaramente iniziò ad accorgersi a qual punto erano giunte le cose, e rimase sgomento; specialmente allorché, avvicinatosi per abbracciare suo padre, questi lo respinse denun­ciandolo come parricida e come orditore di un complotto per eliminare il padre dalla vita, aggiungendo che il giorno appresso Varo avrebbe sentito tutta la storia e lo avrebbe giudicato. 92 Il colpo di questa grande disgrazia capitatagli così all’improvviso, lo stordì. Fu allora incontrato da sua madre e dalla moglie, la quale era figlia di Antigono, che era stato re dei Giudei prima di Erode: da esse venne a conoscenza di tutta la storia, e si preparò per la lotta giudiziaria. 93 – 3. Il giorno appresso si riunirono a consiglio Varo ed Erode, e furono introdotti gli amici di ambo le parti, i congiunti del re e la sorella Salome, e tutti gli altri che dovevano denunziare le trame segrete, quanti erano stati torturati, anche alcuni schiavi della madre di Antipatro, arrestati poco prima del suo arrivo: essi, infatti, recavano una lettera, il cui contenuto era, in sintesi, questo: egli non doveva ritornare a casa poiché suo padre era al corrente di tutte le trame e l’unico suo rifugio per riuscire a non cadere nelle mani di suo padre era Cesare. Libro XVII:94 Antipatro si prostrò ai piedi del padre supplicandolo di non volere decidere la causa prima della conoscenza dei fatti e di volere ascoltarlo perché poteva sostenere la propria innocenza rispetto a suo padre. Erode però diede ordine che fosse introdotto in giudizio, e iniziò a commise­rare se stesso per avere avuto figli che gli addossavano tali disgrazie: giacché, prima di riprendersi dall’infelicità causatagli dagli ultimi figli, ora, nella sua tarda età, era precipitato nell’infelicità a causa di Antipatro; e proseguì parlando dell’educazione e degli ammaestramenti che aveva dato loro, delle abbondanti ricchezze spese in ogni tempo per qualsiasi cosa desiderassero. 95 Nessuno di tali benefici era valso ad assicurargli la vita allorché complottarono contro di lui per togliergli empia­mente il potere regio prima che il loro padre lo lasciasse per legge naturale e lo consentisse il suo volere e la giustizia. 96 A proposito di Antipatro, disse che non riusciva a capire quale speranza l’avesse gonfiato tanto da renderlo così audace al punto da spingerlo così lontano; infatti lo aveva designato per iscritto a succedergli sul trono in pubbliche scritture; anzi persino vivente suo padre, Antipatro non era in alcun modo inferiore a lui né per l’altezza del posto, né per l’ampiezza di autorità; gli aveva assegnato una rendita di 50 talenti e per il suo viaggio a Roma aveva ricevuto la somma di 300 talenti. 97 Gli rimpro­verò di avere addotto accuse contro i suoi fratelli, dicendo che se essi erano realmente colpevoli, egli ne aveva seguito l’esempio e se no, egli aveva innalzato simili calunnie a parenti così stretti senza alcuno scopo. 98 Perché, seguitò, era soltanto da lui che gli erano venute le informazioni, da nessun altro, all’infuori di lui e ogni cosa fatta ai suoi figli fu compiuta per consiglio di lui. Adesso, divenuto erede del loro parricidio, li assolveva da ogni malvagità. 99 – 4. Così dicendo, scoppiò in lacrime e fu incapace di proseguire. A Nicola, amico del re e suo quotidiano compagno, familiare alla sua maniera di regolare gli affari, il re domandò di proseguire il discorso; egli perciò espose tutto quanto era necessario dall’evidenza e dalle prove. 100 Antipatro si volse a suo padre per giustificare se stesso, ricordò tutti gli esempi di benevolenza che Erode gli aveva dimostrato e addusse gli onori che gli erano venuti. Questi, disse, mai gli sarebbero stati dati, se egli non li avesse meritati con la sua virtuosa condotta verso suo padre. 101 Poiché tutto quanto era stato necessario provvedere, Antipatro l’aveva progettato con saggezza, e quanto aveva richiesto l’uso delle sue mani, l’aveva portato a termine con le sue fatiche. Non era verosimile che dopo avere salvato suo padre dai complotti orditi da altri, egli stesso diventasse un cospiratore contro di lui e distruggesse la virtù dimostrata con questi atti, per opera della malvagità che gli sarebbe stata attribuita per un’azione del genere. 102 Inoltre, quale futuro successore del re, non gli fu impedito di godere degli onori che al presente da ciò gli provenivano. E ancora, non era verosimile che colui che possiede metà del regno senza alcun rischio personale e la coscienza pulita, impugnasse tutto con infamia e rischio personale nell’incertezza se avesse o meno successo, dopo essere stato testimone della punizione dei suoi fratelli, dopo esserne stato denunziatore e accusatore quando avevano ancora la possibilità di sfuggire alla detenzione, e punitore allorché apparvero malvagi cospiratori contro il loro padre. 103 E le lotte sostenute contro di loro erano indice dell’affetto sincero col quale agiva verso suo padre. Quanto alla sua condotta a Roma, Cesare ne era testimone, ed era proprio difficile ingannarlo come anche Dio. 104 Prova di questo è la lettera inviata loro da Cesare che giustamente non doveva avere meno valore delle diffamazioni di quanti seminano discordie, essendo la maggior parte di queste diffamazioni composte durante la sua assenza che fornì ai suoi nemici una opportunità che non avrebbero avuto se egli fosse stato presente. 105 Egli denunziò pure le torture come guide a false dichiarazioni perché le estreme sofferenze, per loro natura, portano le vittime a dire molte cose che piacciono a quelli che su esse hanno potere. Allora si offrì spontaneamente alla tortura. 106 – 5. Queste parole introdussero nel consiglio un movimento di simpatia; sentivano grande pietà per Antipatro vedendolo piangere e scorgendo le contorsioni del viso, tanto che si mossero a compassione anche i suoi nemici, e persino Erode mostrava segni di un certo cambiamento dei suoi propositi pur trattenen­dosi per non essere visto, e Nicola iniziò con le stesse parole usate dal re, ma riassumendo ripeteva le stesse cose e concluse con l’evidenza delle accuse risultanti dalle torture e dalle deposizione dei testimoni. 107 In particolare si diffuse lungamente sulle beneme­renze del re per l’educazione e l’allevamento dei figli e nel sottolineare come da tutto ciò non ne avesse tratto alcun giovamento perché fu avvolto in intrighi a catena. 108 Non si meravigliava, disse per la sconsideratezza dei primi, in quanto erano molto giovani e corrotti da malvagi consiglieri che tolsero dall’animo loro ogni giusta esigenza della natura, con il voglioso desiderio di giungere quanto prima al trono, 109 ma giustamente stupiva l’orribile crimine di Antipatro, poiché il suo spirito non risultava raddolcito dai benefici ricevuti dal padre, e anzi, si era comportato come uno dei serpenti più velenosi, sebbene questi possano venire calmati in maniera che non nuocciano ai loro benefattori, ma egli, neppure dopo avere avuto davanti agli occhi l’infelice destino dei suoi fratelli, si trattenne dall’imitare la loro crudeltà. 110 “Eppure, soggiunse, tu, o Antipatro, fosti tra coloro che denunziarono i tuoi fratelli per la loro condotta temeraria, tu hai indagato sulle prove, tu li hai puniti quando furono trovate. Noi qui non condanniamo lo sdegno col quale tu non lasciasti impuniti i loro delitti, ma ci stupisce la temerarietà con la quale hai imitato la loro condotta. Giacché noi troviamo le tue azioni non dirette a trarre dal pericolo tuo padre, ma a rovinare i tuoi fratelli, e dimostrando odio per la loro malvagità e attestandoti come figlio affettuoso essere così nella posizione di elevarti iniquamente contro di lui con la più grande impunità. Questo è quanto tu hai dimostrato con le tue azioni. 111 Sicché, mentre tu dimostrasti la colpevolezza dei tuoi fratelli adducendone le prove, allo stesso tempo tu non hai indicato i loro complici dando così a vedere a tutti di esserti fatto l’accusatore dei tuoi fratelli dopo avere stretto un patto con i complici contro tuo padre, 112 perché avevi bisogno del loro complotto parricida per essere il solo ad approfittarne, e da due tentativi diversi ne provenisse un vantaggio degno di te: il primo diretto apertamente contro i tuoi fratelli e questo ti sei rallegrato come se fosse una tua grandissima impresa, e sarebbe stato giusto, se tu non fossi stato peggiore (di essi); l’altro tentativo che tu progettavi contro tuo padre, era segreto. 113 Se tu odiavi i tuoi fratelli, non era necessario complottare contro tuo padre: non saresti caduto in un simile delitto, ma lo hai fatto perché essi avevano un diritto maggiore del tuo alla successione al trono. 114 E tu, dopo i tuoi fratelli, volevi uccidere tuo padre, affinché non venissero troppo presto in luce le tue calunniose menzogne contro di loro, e l’infelice tuo padre andasse soggetto a quella pena della quale eri degno tu. E il parricidio che tu progettavi non era un parricidio comune, ma un parricidio d’un genere mai menzionato nella storia. 115 Poiché pur essendo suo figlio, non solo tu hai complottato contro tuo padre, ma contro un padre amoroso e benefico, e facevi questo mentre tu eri suo socio effettivo nel regno e designato suo successore, e non eri in alcun modo inferiore e anticipatamente godevi del piacere dell’autorità e da tuo padre avevi avuto assicurazione scritta che in futuro la tua speranza sarebbe stata una realtà. 116 Tu non procedevi in maniera conforme alla virtù di Erode, ma procedevi conforme alla tua cupidigia spogliando tuo padre, che ti compiacque in ogni tuo desiderio facendoti anche partecipe del potere che aveva, della parte che gli restava cercando di togliere la vita a colui che con le parole pretendeva di volere salvare; 117 e non solo agivi come un furfante, ma hai invasato tua madre con i tuoi disegni, hai intorpidito con contrasti l’amore filiale dei tuoi fratelli, hai osato chiamare tuo padre col nome di bestia, tu che covavi uno spirito più crudele di qualsiasi serpente contro il tuo più stretto congiunto e più grande benefattore, tu con l’assistenza di guardie e trucchi, di uomini e donne ti sei protetto contro un vecchio quasi che tu stesso non fossi abbastanza forte per sfogare quell’odio che covavi in cuor tuo. 118 E ora, dopo le torture di uomini liberi e di domestici, e le denunzie di uomini e donne tuoi compagni nella cospirazione, vieni qui in fretta a contraddire la verità. Tu sei pienamente preparato a eliminare tuo padre da questo mondo ma anche ad annullare la legge scritta contro di te, la rettitudine di Varo e la stessa natura della giustizia. 119 Veramente nella tua sfacciataggine osi chiedere di essere sottoposto alla tortura e asserire che sono false le confessioni tratte da quelli già torturati, di modo che le confessioni di coloro che hanno salvato tuo padre, siano respinte da te come non veritiere, mentre le parole pronunciate da te sotto la tortura possano essere accolte come veritiere? 120 Quando mai, o Varo, libererai il re dagli eccessi dei suoi congiunti? Non distruggerai questa bestia selvaggia, la cui pretesa di affetto per suo padre era diretta alla eliminazione dei suoi fratelli e allorché fu sicuro di ottenere, in breve tempo, il trono per sé, si rivelò, più di tutti gli altri, una minaccia mortale per suo padre? Tu sai che il parricida è un malfattore contro la natura e contro l’umanità e che non appena è scoperto non meno di quando congiura, colui che non lo punisce, offende anch’egli la natura”. 121 – 6. Dopo tutte queste cose aggiunse altre osservazioni che la madre di Antipatro si era lasciata sfuggire come pettegolezzi femminili: azioni divinatorie e sacrifici rivolti contro il re, azioni licenziose di Antipatro con le donne di Ferora sotto forma di libagioni ed eccessi erotici, interrogatori sotto tortura e testimonianze date. Cose numerose e di ogni genere, in parte preparate e in parte inventate lì per lì per dare informazioni e per confermare quanto era stato detto. 122 Poiché molti si erano interessati dei fatti di Antipatro, ma per timore di lui se ne stavano in silenzio; ma ora che lo vedevano accusato da perso­nalità di primo piano e che la grande Fortuna che palesemente lo aveva favorito, ora lo gettava in mano dei nemici, questi potevano sfogare il loro implacabile odio contro di lui. 123 A sospingerlo nel precipizio non fu tanto l’inimicizia di quanti avevano incominciato ad accusarlo, quanto invece enormi audacie di malvagità da lui escogitate e il suo malanimo contro il padre e contro i fratelli, poiché aveva riempito la casa di reciproci dissensi e mutue distruzioni; nel suo odio non agiva con giustizia, né con lealtà nell’amicizia, ma si comportava in un modo che giovava soltanto a lui. 124 Molti già da gran tempo avevano osservato questo, specialmente coloro che nel giudizio sugli affari sono per natura inclini ad attenersi a una misura morale, poiché decidono le questioni non mossi dalla collera. All’inizio queste persone non erano mosse da lamentele, ma alla prima occasione che si prestò di potere agire impunemente, misero in luce quanto sapevano; 125 e vennero fuori ogni sorta di prove dei suoi crimini che non potevano in alcun modo essere attaccate come menzogne; perché la maggior parte non parlava per benevolenza verso Erode né per timore dei pericoli che il loro silenzio sulle cose che avrebbero potuto rilevare potesse essere biasimato, ma perché considera­vano malvagi gli atti di Antipatro e lo ritenevano meritevole di punizione non a motivo della protezione di Erode, ma per la sua stessa malvagità. 126 Da molte parti venivano accuse contro di lui, anche se non se ne faceva ricerca, al punto che Antipatro, anche se espertissimo nell’architettare menzogne, non ebbe il coraggio di alzare la voce negando. 127 Quando Nicola terminò di parlare e concluse la sua argomen­tazione, Varo ordinò ad Antipatro di procedere a difendersi dalle accuse addotte contro di lui, se era preparato a dimostrare di non essere colpevole; perché, disse Varo, “egli sperava, e sapeva per certo che anche suo padre sperava, che Antipatro non sarebbe stato dichiarato colpevole di alcuna infrazione. 128 Antipatro intanto giaceva bocconi in uno stato di collasso, scongiurò Dio e gli astanti che gli fossero testimoni che lui non aveva fatto nulla di male, e di mostrare con chiari segni che egli non aveva complottato contro suo padre. 129 Coloro, infatti, che non hanno coraggio, quando commettono qualche scelleratezza, sogliono agire seguendo i loro capricci, come se la Divinità non fosse ovunque presente; ma quando sono colti sul fatto e si vedono nel pericolo di essere puniti, cercano di demolire ogni testimonianza contro di loro e invocano il Suo aiuto. 130 Tale era, appunto, il caso di Antipatro. Aveva portato avanti i suoi disegni come se non esistesse alcuna autorità divina; quando però si sentì stretto da ogni parte dalla giustizia e abbandonato da ogni altro mezzo di giustifica­zione atto a dileguare le accuse, ancora una volta insultò la virtù divina scongiurandola di attestare che egli era stato respinto quando rivelava quanto aveva fatto con coraggio per poter esporre a tutti ciò che aveva coraggiosamente affrontato per la salvezza di suo padre. 131 – 7. Quando Varo, dopo ripetute domande fatte ad Antipatro, non ricavava altro che invocazioni a Dio, e vedendo che la pratica non avrebbe avuto più fine, ordinò che alla presenza di tutti fosse portato il veleno per vedere quale coraggio avesse ancora. 132 Allorché fu introdotto, un prigioniero, condannato a morte per ordine di Varo, ne bevette e cadde morto all’istante. Varo allora si alzò dal consiglio e il giorno appresso partì per Antiochia, ove aveva residenza ordinaria, perché era la capitale della Siria. 133 Erode allora mise subito suo figlio in catene, ma i più non sapevano che cosa Varo gli avesse detto sul caso, né che cosa avesse detto sulla sua partenza. La maggioranza del popolo, tuttavia, supponeva che quanto Erode aveva fatto ad Antipatro, era per suggerimento di Varo. Dopo averlo messo in catene, Erode mandò su di lui una lettera a Cesare, a Roma, e inviò anche alcuni uomini per informarlo a viva voce della malvagità di Antipatro.

134 Durante questi stessi giorni venne intercettata una lettera diretta ad Antipatro scritta da Antifilo; quando il re l’aprì, trovò che conteneva quanto segue: “Ti ho mandato la lettera di Acme, senza pensare al rischio della mia vita; poiché tu ben sai che se fossi scoperto, sarei nuovamente in pericolo da due famiglie. 135 La Fortuna, intanto, ti sia favorevole in questo affare”. Tale era il tenore della lettera. Il re allora si diede alla ricerca dell’altra lettera, ma non si trovava; e il servo di Antifilo, latore della lettera appena letta protestava di non averne ricevuta un’altra. 136 Il re rimase dubbioso, non sapendo che fare: ma uno dei suoi amici osservò che sulla parte interna della tunica del servo vi era una toppa cucita, egli indossava due tuniche, e suppose che in quella piega fosse nascosta una lettera. 137 E così, infatti, era. Presero dunque la lettera, nella quale era scritto quanto segue: “Acme ad Antipatro. Ho scritto a tuo padre la lettera che bramavi; e fatta una copia della lettera di Salome alla mia padrona, da me composta. E so che lui, appena l’avrà letta punirà Salome come cospiratrice contro di lui”. 138 Ora questa lettera scritta sotto il nome di Salome, a giudicare dal contenuto, era scritta sulla base di suggerimenti di Antipatro, ma era composta nello stile di Salome; 139 il contenuto era come segue: “Acme al re Erode. Mi sta a cuore moltissimo che tu sia al corrente delle cose che si stanno facendo contro di te. Venutami, dunque, nelle mani una lettera spedita da Salome alla mia padrona, io la copiai e te la inviai. Per me, questo è pericoloso, ma è per il tuo bene. Questa lettera fu scritta da Salome perché voleva sposare Silleo. Ora straccia questa lettera affinché anch’io non sia in pericolo di perdere la vita”. 140 Ad Antipatro aveva già scritto informandolo che, seguendo le sue istruzioni, aveva scritto a Erode per fargli credere che Salome stesse accanitamente intessendo ogni genere di congiure contro di lui; lei gli aveva mandato anche copia della lettera che fingeva scritta da Salome alla sua padrona. 141 Questa Acme era una giudea di nascita, ma serva di Giulia moglie di Cesare, e faceva tutte queste cose per amicizia verso Antipatro, perché corrotta da lui con una grossa somma di denaro datale affinché lo assistesse nei suoi piani contro suo padre e sua zia. 142 – 8. Stordito per l’enormità della scelleratezza di Antipatro, Erode ebbe l’impulso di liberarsi subito di lui, sia come fomentatore di pericolosi torbidi, sia per avere complottato non solo contro di lui, ma anche contro sua sorella e corrotto la stessa casa di Cesare. A fare questo lo stimolava pure Salome, batten­dosi il petto e pregandolo, che qualora fosse trovata così gravemente colpevole da rendere credibili le accuse, la condan­nasse a morte. 143 Ora Erode, chiamato a sé il figlio, gli disse che, se aveva qualcosa da contrapporre in sua discolpa, parlasse liberamente; siccome Antipatro rimase muto, Erode gli disse che, visto che si trovava assediato da ogni parte, almeno non fosse restio a svelare i nomi dei complici. 144 Egli allora rovesciò tutta la colpa su Antifilo, e non denunziò alcun altro. Perciò Erode, colpito acerbamente, era pronto a inviare suo figlio da Cesare, a Roma, affinché rendesse conto di queste macchinazioni; 145 ma in seguito, temendo che con l’aiuto degli amici Antipatro trovasse la via per sfuggire al pericolo, lo trattenne in prigione come prima, e inviò un’ambasciata con le lettere che accusavano suo figlio e affinché dicesse tutto quanto aveva fatto Acme come sua complice nel crimine; diede agli ambasciatori anche le copie delle lettere. 146 VI, I. Gli ambasciatori si affrettarono verso Roma con le lettere e ben informati sulle risposte che avevano da dare alle domande.

[4 a. C.] Intanto il re cadde infermo e fece testamento dando il regno al figlio più giovane a causa dell’odio che aveva per Archelao e Filippo, sorto dalle calunnie di Antipatro. A Cesare lasciò una somma di 1.000 talenti e a Giulia, moglie di Cesare, ai figli, amici e liberti di Cesare lasciò 500 talenti. 147 Ripartì tra i suoi figli e nipoti i denari, le rendite e le terre; arricchì notevolmente Salome, sua sorella, che gli era rimasta sempre leale in ogni circostanza e mai si era avventurata a fargli del male. 148 Ma avendo perso la speranza di guarire, toccava allora l’età di settanta anni, divenne selvaggiamente imbestialito e trattava tutti in maniera incontrollata con rabbia e durezza. E motivo di tale comportamento era la convinzione di essere abbandonato e che la nazione fosse lieta delle sue sfortune, in special modo quando certe figure popolari si alzarono contro di lui per i seguenti motivi. 149 – 2. Giuda, figlio di Sarifeo, e Mattia, figlio di Margaloto, erano i più istruiti dei Giudei, e gli impareggiabili interpreti delle leggi ancestrali e uomini specialmente cari al popolo perché educavano la gioventù, poiché tutti coloro che bramavano acquistare la virtù passavano con essi un giorno dopo l’altro. 150 Quando questi vennero a conoscenza che la malattia del re non poteva essere guarita, sollevarono la gioventù affermando di poter distruggere tutte le opere che il re aveva edificato contro le leggi dei loro padri e ottenere così dalla Legge la ricompensa delle loro pie opere. Poiché, dicevano, era proprio a queste cose audaci fatte in spregio della Legge, che si devono attribuire tutte le sfortune capitategli e con le quali aveva raggiunto una familiarità veramente non comune per un essere umano, specialmente con questa malattia. 151 Si diffondeva la voce che Erode, avendo compiuto certe cose contrarie alla Legge, era per questo rimpro­verato da Giuda, da Mattia e dai loro seguaci. Il re, infatti, sulla porta maggiore del tempio aveva innalzato una grande aquila d’oro di notevole pregio, nonostante che la Legge, a quanti vogliono vivere in conformità di essa, proibisca di fare e innalzare immagini di viventi di qualsiasi creatura. 152 Così quei maestri ordinarono di gettare giù l’aquila, anche se, così facendo, avrebbero messo gli altri in pericolo di morte poiché la preservazione e la salvaguardia del modo di vita dei loro padri, conquistato da loro con la morte, sembrava molto più vantaggioso del piacere di vivere perché guadagnerebbero fama e gloria per sé, sarebbero lodati dai viventi e lascerebbero un ricordo perenne della loro vita alle generazioni future. 153 Perciò, dicevano, come coloro che vivono lontano dai pericoli non possono scansare la sfortuna, così quanti lottano per la virtù fan bene ad accettare il loro destino con lode e onore quando lasciano questa vita. 154 La morte è molto più facile quando corriamo dietro ai pericoli per una causa nobile, e nello stesso tempo otteniamo per i nostri figli e parenti, uomini e donne, il beneficio della gloria da noi conquistata. 155 – 3. Con queste parole agitavano la gioventù, e quando giunse una voce che il re era morto, diventarono ancora più palesi le parole dei maestri. Perciò a mezzogiorno i giovani salirono, gettarono giù l’aquila e la frantumarono con asce davanti a una folla che si era radunata nel tempio. 156 Ma l’ufficiale del re, al quale fu presto riferito l’attentato, pensando che ci fosse implicato qualcosa di più serio di quanto era stato fatto, salì con una forza sufficiente per affrontare la folla di persone intente ad abbattere l’immagine che era stata innalzata. Improvvisamente si gettò su di loro, poiché, contrariamente al metodo che si suole seguire con la folla, considerarono questo gesto audace come un folle capriccio, senza prendere prima delle precauzioni erano dunque in disordine, non avevano guardato prima a una via di salvezza personale. 157 Afferrò non meno di 40 giovani che, con coraggio, avevano aspettato il suo attacco, mentre il resto della moltitudine fuggiva; catturò anche Giuda e Mattia istigatori dell’impresa temeraria che insegnavano che fuggire in tale incontro fosse un’azione ingloriosa, e li portò dal re. 158 Giunti alla presenza del re, egli domandò se avevano avuto la temerarietà di gettare giù il dono votivo eretto da lui, essi risposero: “Si, ma i pensieri da noi avuti e le imprese da noi compiute hanno il più alto grado di eccellente virilità. Perché siamo venuti ad aiutare una causa affidataci da Dio perché Egli ci ha insegnato che per noi è sacro e degno di profondo rispetto obbedire alla Legge. 159 Non desta affatto sorpresa che noi crediamo che sia meno importante l’osservanza dei tuoi decreti che le leggi che Mosè ci ha lascito scritte da lui come Dio gli dettò e gli insegnò. E con gioia noi sosterremo la morte e qualsiasi altra pena tu ci potrai infliggere, perché saremo coscienti che la morte cammina con noi non a motivo di qualche nostro misfatto, ma a motivo della nostra devota pietà”. 160 Parlarono così tutti d’accordo, mostrando di avere avuto non meno ardimento nelle parole di quanto ne ebbero nel mandarle a effetto. Il re perciò li fece legare e li mandò a Gerico, ove convocò gli ufficiali giudei; 161 quando giunsero li radunò nell’anfiteatro e stando su di un giaciglio, giacché non poteva reggersi, iniziò a narrare tutti gli sforzi compiuti a favore di loro 162 e parlò delle grandi spese sostenute per la costruzione del tempio, mentre gli Asmonei erano stati incapaci di costruire qualcosa di così grande per l’onore di Dio nei centoventicinque anni del loro regno; 163 disse pure di averlo ornato di offerte di grande pregio, e per tali motivi nutriva la speranza che anche dopo morto avrebbe lasciato una buona memoria di sé e un nome illustre. A questo punto esclamò che neppure mentre era ancora vivo, alcuni non si erano trattenuti dall’oltraggiarlo e in pieno giorno davanti alla folla avevano messo le mani oltraggiando le offerte sacre, fino a gettarle giù; con l’intenzione di insultare lui, mentre, esaminata con diligenza, la loro azione era sacrilega. 164 – 4. Essi allora temendo la sua crudeltà e per paura che la sua collera si inasprisse contro le loro persone punendole, protestarono che queste cose erano avvenute senza la loro approvazione e anzi ritenevano che gli esecutori non dovevano essere lasciati impuniti. Erode si raddolcì alquanto con costoro, tuttavia allontanò il sommo sacerdote Mattia dal suo ufficio sacerdotale, in quanto parzialmente responsabile di quanto era accaduto, e in sua vece designò al sommo sacerdozio il fratello di sua moglie Joazar. 165 Il sommo sacerdote era Mattia, ma durante il suo pontificato avvenne che fu nominato un altro sacerdote per un solo giorno, quello nel quale i Giudei osservavano il digiuno; ed ecco il motivo. 166 Nella notte precedente quel giorno, Mattia sognò di avere un contatto intimo con una donna; perciò, a motivo di questa esperienza, non era più adatto a compiere il servizio sacerdotale e al suo posto il servizio lo eseguì Giuseppe, un suo parente, figlio di Ellem. 167 Erode, dunque, depose Mattia dal sommo pontificato. Quanto all’altro Mattia, quello che sollevò la sedizione, lo bruciò vivo assieme ad alcuni suoi aderenti. E quella stessa notte ci fu un’eclisse di luna.

[3 a. C.] 168 – 5. Intanto la malattia di Erode divenne sempre più acuta, Dio, infatti, gli infliggeva questa punizione come castigo per la sua empietà. La febbre che aveva era leggera e al tocco non rivelava i sintomi dell’infiammazione prodotta dal male interno. 169 Aveva anche un fortissimo desiderio di grattarsi e per questo era impossibile non assecondarlo; aveva un’ulcerazione delle viscere e pene intestinali che erano particolarmente acute e le suppurazioni ai piedi erano visibili. Soffriva pure di disturbi addominali; le sue parti intime generavano vermi; aveva grande difficoltà di respiro per il dolore nell’esalazione sgradevole del fiato e per il continuo affanno della sua cospicua palpitazione. Aveva inoltre spasimi in ogni parte che erano di una gravità insopportabile. 170 Da uomini di Dio e da coloro la cui saggezza portava a pronunciarsi in questa materia, si diceva che si trattava del castigo con il quale Dio ripagava il re per la sua grande empietà. 171 Benché straziato da forti e insopportabili dolori, si lusingava nella speranza di guarirne fidando nei medici che chiamava, e nei rimedi che suggerivano e che lui mai ricusava. Quindi, passato il Giordano, si bagnò nelle sorgenti calde di Calliroe, che, oltre alle virtù di cui sono fornite contro ogni male, sono anche buone da bere. Queste acque sfociano nel cosiddetto lago asfaltoforo. 172 Allorché i suoi medici decisero di riscaldare quivi il suo corpo e lo fecero sedere in una tinozza piena d’olio, a tutti pareva che morisse; ma le alte grida funebri della sua servitù lo fecero ritornare in se stesso; e persa orinai ogni speranza di sopravvivere e riprendere salute, ordinò che a ogni soldato fossero distribuite 50 dracme. 173 Diede pure somme considerevoli ai loro ufficiali e ai suoi amici. Poi si recò nuovamente a Gerico; quivi lo colpì una nera malinconia, che lo inasprì contro tutti, tanto che sul punto di morire decise il seguente piano. 174 Ai Giudei notabili era stato ordinato di recarsi da lui da ogni parte della nazione: vi si recarono molti poiché era stata convocata tutta la nazione, e tutti avevano obbedito a questo ordine, poiché ne sarebbe andata la vita in caso di inadempienza di questo ordine scritto; e il re era furioso in egual modo con tutti, sia verso gli innocenti quanto verso coloro che erano considerati colpevoli; 175 rinchiuse tutti nell’ippodromo, mandò a chiamare sua sorella Salome e il marito di lei Alessa e disse loro che in breve sarebbe morto poiché pene e dolore lo affliggevano in ogni parte del corpo; la morte, in sé, è sopportabile e sperimentabile da tutti gli uomini, ma che egli se ne andasse senza le lamentazioni e senza il cordoglio usuali alla morte di un re, era una cosa che riteneva estremamente penosa. 176 Non era cieco verso i sentimenti dei Giudei e ben conosceva le loro preghiere per la sua morte e quanto fosse il piacere che essa porterebbe loro, poiché durante la sua vita anelavano la ribellione e mostravano disprezzo per i suoi progetti. 177 In questa situazione era loro responsabilità l’adozione di qualche piano che alleviasse la tristezza dei suoi sentimenti; se essi ricusavano di accettare il suo piano, egli lo considerava comunque un grande funerale quale non ebbe mai nessun re: vi sarebbe cordoglio per tutta la nazione, cordoglio corrispondente al lamento che vera­mente si sprigionava dall’animo, non una presa in giro, non un contegno ridicolo verso di lui. 178 Allorché, dunque, si accorsero del suo ultimo spregio, circon­darono l’ippodromo di soldati ancora ignari della sua morte, poiché non si doveva rendere pubblica prima che eseguissero i passi seguenti: ordinarono di abbattere tutti quanti vi erano dentro, poiché abbattendoli in questa maniera, non avrebbero mancato di farlo felice per due motivi: cioè eseguire le sue istruzioni date in punto di morte e onorarlo con un cordoglio pubblico. 179 In lacrime egli li aveva implorati di agire, appellandosi all’amore delle loro famiglie e alla loro fede in Dio, e incaricandoli di non lasciarlo privo di onore. Essi, allora, promisero di non lasciare inattesi i suoi voleri. 180 – 6. Anche se uno inizialmente approva il comportamento di Erode e dei suoi congiunti come dettati dall’amore alla vita; ma poi, se guarda le sue ultime istruzioni, vede che il carattere dell’uomo non aveva nulla di umano che lo raccomandasse; 181 e questa conclusione è inevitabile se, quando egli stava per lasciare questo mondo, ebbe cura di abbandonare la nazione, tutta intera, in uno stato di completo cordoglio per la perdita dei propri cari, dando ordine di eliminare un membro per ogni famiglia, sebbene non avessero fatto nulla di male, non l’avessero offeso in alcun modo, non fossero accusati di alcun crimine; e sebbene, come è usuale per ogni uomo che non ha alcun amore per la virtù, in tale momento dimentica gli odii anche se sono diretti contro coloro che egli, giustamente considera come nemico. 182 – VII, I. – Mentre dava queste istruzioni ai suoi congiunti, gli giunse una lettera dagli ambasciatore inviati a Roma da Cesare; e mentre leggeva, la sostanza del contenuto era come segue: Acme era stata messa a morte dalla collera di Cesare perché aveva aiutato Antipatro nelle sue azioni criminali; quanto ad Antipatro, Cesare lo lasciava al giudizio di Erode, suo padre e suo re, sia che lo volesse mandare in esilio, sia che preferisse ucciderlo. 183 Sentendo queste notizie, lo spirito di Erode in breve si riprese per la gioia che gli dava il contenuto della lettera: esultava per la morte di Acme e per l’autorità che gli era data di punire il figlio. Ma allorché si acutizzarono i dolori, si sentì totalmente infelice e rifiutò qualsiasi cibo, chiese una mela e un coltello, da tempo aveva l’abitudine di pelare personalmente la frutta e tagliarla in piccoli pezzi per mangiarla; 184 quando gli si diede il coltello si guardò attorno con l’intenzione di uccidersi, e l’avrebbe fatto se suo cugino Achiab non gli avesse trattenuto la mano destra prima che potesse fare così; Achiab elevò un grido il cui suono di lamento riempì il palazzo, e ci fu una costernazione grande come se il re fosse morto. 185 E Antipatro, credendo che la vita di suo padre fosse realmente alla fine, iniziò ad assumere un tono imperioso e sicuro, quasi che ora fosse libero da qualsiasi legame e potesse prendere il trono senza contrasto; e prese a trattare la questione della sua liberazione promettendo ricche ricompense per il presente come per l’avvenire, come se, per lui, ormai fosse giunto il tempo di interessarsi di questi problemi. 186 Ma il carceriere non solo rifiutò di assecondare Antipatro, ma manife­stò le sue intenzioni al re aggiungendo molti particolari di sua iniziativa. 187 Erode, che prima di ora era stato lungi dall’essere sopraffatto dall’affezione verso suo figlio, sentite le nuove dal carceriere, alzò un grido e picchiò la testa, sebbene fosse sul punto di morte, e, alzandosi sulle braccia, chiamò una delle sue guardie del corpo e gli ordinò di andare senza alcun indugio a uccidere Antipatro, e subito seppellirlo nell’Ircania, senza alcuna cerimonia. 188 – VIII, I. – Verificatosi il cambiamento, egli mutò subito nuovamente il testamento: Antipa, designato suo successore nel trono, lo creò tetrarca della Galilea e Perea; ad Archelao concesse il regno; 189 Gaulanitide, Traconitide, Batonea e Panea, sotto il titolo di “tetrarchia”, le lasciò a Filippo, suo figlio e fratello di Archelao; Jamnia, Azoto e Fasaele furono da lui assegnate alla sorella Salome con 500mila dramme d’argento coniato. 190 Pensò a tutti gli altri suoi congiunti e lasciò loro una ricchezza con doni in denaro e assegnando loro rendite. A Cesare lasciò 10 milioni di dramme d’argento coniato, vasi d’oro e d’argento, e vesti preziosissime, mentre alla moglie di Cesare, Giulia, e ad alcuni altri, lasciò 5 milioni. 191 Fatto questo, morì cinque giorni dopo avere fatto uccidere il figlio Antipatro. Regnò per 34 anni dal tempo in cui mise a morte Antigono e per 37 anni dal tempo in cui era stato dichiarato re dai Romani. Fu uomo ugualmente crudele verso tutti, facile all’ira, incurante della giustizia. 192 Favorito quant’altri mai dalla fortuna: da uomo comune quale era, fu fatto re, passò attraverso pericoli innumerevoli, si ingegnò per superarli tutti, e visse fino a un’età molto avanzata. Negli affari domestici e nelle relazioni con i figli, almeno a suo modo di vedere godette una grande fortuna in quanto non andò bene per quelli che egli considerò suoi nemici: ma a mio modo di vedere fu totalmente sventurato.

193 – 2. Prima che si divulgasse la notizia della morte del re, Salome e Alessa liberarono quelli che erano stati radunati nell’ippodromo: li mandarono a casa loro dicendo che il re aveva ordinato che andassero ai loro villaggi e badassero ai propri interessi; da questo atto derivò il più grande beneficio per la nazione. 194 Da allora la morte del re diventò di pubblica conoscenza, Salome e Alessa, convocato l’esercito nell’anfiteatro di Gerico, prima lessero ad alta voce la lettera scritta da Erode ai soldati per ringraziarli della loro fedeltà e benevolenza verso di lui, e chiedendo loro di offrire lo stesso aiuto a suo figlio Archelao che aveva designato loro re. 195 In secondo luogo Tolomeo, nelle cui mani era affidato il sigillo reale, lesse ad alta voce le sue volontà, che tuttavia diventarono effettive solo dopo l’esame di Cesare; subito dopo s’alzò un grido dagli uomini che acclamarono Archelao loro re, avanzarono le compagnie dei soldati e dei loro ufficiali, promettendogli benevolenza e sollecitudine e invocarono l’aiuto di Dio. 196 – 3. Si accinsero, in seguito, per la preparazione dei funerali del re. Archelao provvide affinché il funerale di suo padre fosse il più splendido possibile e portò fuori tutti i suoi ornamenti per accompagnare la processione del defunto. 197 Fu posto su di una lettiga d’oro tempestata di perle preziose e molteplici gemme di diversi colori e una coperta di porpora; anche il morto era vestito con un abito di porpora, portava un diadema sul quale era sistemata una corona d’oro, sul lato destro giaceva il suo scettro. 198 Attorno alla lettiga erano disposti i figli e una quantità di suoi congiunti, dopo di essi veniva l’esercito disposto secondo le varie nazionalità e denominazioni; erano sistemati nell’ordine seguente: prima le sue guardie del corpo, poi i Traci, seguivano i Germani, poi venivano i Galli: tutti questi uomini erano in assetto di guerra. 199 Dietro costoro veniva tutto l’esercito, che marciava come in guerra al comando dei capitani e degli ufficiali subalterni; dietro costoro vi erano 500 servi portanti aromi. Essi percorsero otto stadi fino all’Herodion: questo infatti era il luogo ove avvenne, per sua disposizione, la sepoltura. Questa, dunque, fu la maniera in cui avvenne la morte di Erode.

. . .

ma quale è stato dunque l’anno della morte di Erode? Giuseppe Flavio dice che morì a 70 anni e, dal contesto, si capisce che lo ritiene nato nel 73 a.C. (a parte un errore di calcolo quando afferma che nel 48 a.C. aveva 15 anni – ma in realtà 25); quindi nessun dubbio dovrebbe esserci sul fatto che, secondo lui, essa sia avvenuta nel 3 a.C..

vi è però un problema: poco prima della sua morte vi sono tumulti popolari nel corso dei quali viene abbattuta un’aquila d’oro che Erode ha fatto collocare all’ingresso del tempio, considerata blasfema dagli integralisti ebrei, perché viola il divieto di raffigurazione contenuto nella legge mosaica; Erode fa arrestare 40 giovani promotori dell’azione e li condanna a morte, bruciando vivo il loro capo, ma depone anche il sommo sacerdote Mattia, considerandolo parzialmente responsabile dei disordini; E quella stessa notte ci fu un’eclisse di luna. 17, 167.

però nell’anno 3 a.C. in Palestina non ci fu nessuna eclisse di luna: ce ne fu una il 13 marzo del 4 a.C., e potrebbe essere quella a cui si riferisce Giuseppe Flavio; la morte di Erode sarebbe allora avvenuta qualche tempo dopo, e non essere così immediatamente successiva a questa vicenda, come parrebbe dalla lettura del suo racconto.

lo conferma una considerazione banale: che, tra la data di questa eclisse del 13 marzo e la Pasqua ebraica della grande rivolta successiva alla morte di Erode non c’è tempo sufficiente, mi pare, per tutti gli avvenimenti che vengono raccontati dopo questa data, siccome la Pasqua cade nel primo plenilunio dopo il 21 marzo, e quindi tra il 22 marzo e il 20 aprile, quindi fra 9 e 38 giorni disponibili, al massimo: aggravamento della malattia di Erode (A.G. 167), suo tentativo di cura alle sorgenti di Calliroe oltre il Giordano, ritorno a Gerico (171) e speranza di Erode di guarire, tentativo di suicidio sventato (184), uccisione del figlio Antipatro e cambiamento del testamento (187-188), sua morte dopo 5 giorni (191), annuncio pubblico della morte (194), lettura pubblica del testamento (195), in seguito solenni cerimonie funebri (196); successivo lutto di 7 giorni del figlio e successore designato Archelao (200), festa successiva per la fine del lutto (201), udienza ai capi della rivolta montante (208), tumulti popolari in occasione della Pasqua e violenta repressione di Archelao con 3mila morti (218).

distribuendo invece questi avvenimenti nell’arco di un anno circa, si ottiene, secondo me, una tempistica più realistica.

secondo calcoli miei, sulla cui esattezza però non giuro, il primo plenilunio dopo il 21 marzo nell’anno 4 a. C. sarebbe caduto il 16 aprile, quindi vi sarebbero in tutto 34 giorni per lo svolgimento di tutti questi fatti.

le date alternative proposte del 5 a.C. oppure dell’1 a.C. contrastano irrimediabilmente con gli altri elementi di giudizio che lo storico mette nella sua narrazione.

quindi nel 4 a.C. Erode reprime la rivolta, destituisce il sommo sacerdote e si svolge l’eclisse di luna; in seguito la sua malattia si aggrava e lui muore l’anno successivo, non prima di avere ammazzato, 5 giorni prima dell’ultimo respiro, per la terza volta uno dei suoi figli, che era anche il suo primogenito ed erede designato del trono.

questa differenza di data, che può sembrare trascurabile, avrà invece una rilevanza notevole per cogliere il significato esatto di un fatto successivo.

. . .

risolto in questo modo spiccio, ma spero non irragionevole il dibattito sull’anno esatto della sua morte, resta da considerare il ruolo che la figura di Erode ha nei quattro vangeli canonici, trascurando anche quelli apocrifi, in cui di Erode il Grande non si parla proprio; l’Erode Antipa che compare nel processo a Gesù è un altro, un suo figlio ed erede di una parte del suo regno.

Erode il Grande non è citato né nel Vangelo secondo Giovanni e tantomeno nel suo nucleo originario che ho chiamato Annuncio del Nuovo Regno, né in quello considerato più antico dei quattro, cioè il Vangelo secondo Marco, e neppure nella cosiddetta Fonte Q, antecedente, così come oggi possiamo ricostruirla.

compare invece nella più tarda manipolazione dell’originario Vangelo secondo Matteo, scritto prima in aramaico, e che noi possediamo nella più tarda versione greca, così come nel Vangelo secondo Luca, gli unici due che si occupano della nascita e dell’infanzia di Gesù, ricostruendole molto fantasiosamente.

. . .

del Vangelo secondo Luca sappiamo che esisteva una versione diversa da quella che ne abbiamo ora.

i cristiani osservanti più tardi, che ne parlano, dicono che era una versione abbreviata dell’eretico Marcione; ovviamente l’ipotesi più probabile, ma non presa in considerazione dalla critica osservante, è che Marcione, poco prima della metà del secondo secolo, abbia prodotto la prima versione di questo vangelo, e che questa sia stata poi ampliata e normalizzata per renderla compatibile con l’ortodossia.

mi pare altrettanto probabile che i racconti sull’infanzia di Gesù siano parte di questo ampliamento e risalgano quindi almeno alla metà del secondo secolo.

naturalmente anche queste sono tesi eretiche, visto che la critica ufficiale si è messa d’accordo nel dire che il vangelo risale all’incirca al 70 d.C., ignorando del tutto che Papia, che scrive poco prima della metà del secondo secolo, e fa una rassegna dei testi cristiani circolanti allora, ignora l’esistenza di questo vangelo.

ad un periodo non troppo diverso, cioè al secondo secolo, risale, credo, anche la versione attuale del Vangelo secondo Matteo; in questo caso Papia conosce un Vangelo secondo Matteo, ma ne parla come di una semplice raccolta di detti.

non rientra neppure negli interessi della critica ufficiale che cerca di affermare a tutti costi la storicità dei vangeli considerare un secondo importante indizio del carattere tardo del Vangelo secondo Matteo: coinvolge appunto anche Erode il Grande, e di cui dirò tra poco.

stabilire che rapporto esiste tra queste due versioni diverse della nascita di Gesù, quella di Luca e quella di Matteo, intendo, non è affatto facile; l’unica cosa che si può dire è che sono in polemica fra loro, come risulta quanto meno dal fatto che presentano due genealogie di Gesù completamente diverse; ma anche i motivi occulti di questa fondamentale divergenza ci sfuggono.

. . .

veniamo allora al Vangelo secondo Matteo, 2

1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

la citazione è del profeta Michea, e non è letterale, ma liberamente rimaneggiata:

«E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti.»

il testo del vangelo continua:

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
9Udito il re, essi partirono.

il racconto riprende più avanti:

 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

il significato originario della profezia è completamente diverso, in quanto la parola figlio è riferita all’intero popolo di Israele

Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Osea 11. 1

tornando al racconto:

16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più
.

il testo originale della profezia di Geremia, 31,15, si differenzia questa volta di poco:

15Così dice il Signore:
«Una voce si ode a Rama,
un lamento e un pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli,
e non vuole essere consolata per i suoi figli,
perché non sono più».

ed ecco il seguito:

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

si noti anche la totale assurdità della spiegazione data della decisione di andare a vivere in Galilea: perché nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, e questo spaventava il padre di Gesù; la Galilea non era forse governata da Erode Antipa? e quest’altro figlio di Erode, fratellastro del precedente doveva fare meno paura? e perché?

peccato anche che non non esiste nessuna profezia nella bibbia ebraica che affermi quello che si dice qui, che il messia sarebbe stato detto Nazareno.

d’altra parte l’aggettivo usato qui, in greco, Ναζωραῖος, Nazoraios, non è affatto certo che significhi abitante di Nazaret, Ναζαρέτ in greco, potrebbe significare aderente al voto di nazireato: era uno specifico voto, normalmente temporaneo, di consacrazione a Dio, che comportava l’obbligo di seguire alcuni precetti di vita particolarmente rigidi, fra i quali di non bere vino e di lasciarsi crescere i capelli e il divieto di accostarsi a un cadavere; si trattasse anche di suo padre, di sua madre, di suo fratello e di sua sorella, non si contaminerà quindi per loro alla loro morte. (a qualcuno potrebbe venire in mente un passo famoso: “Gesù disse: seguimi. E costui rispose: Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre. Gesù replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio”.

La confusione è possibile in greco, ma non in ebraico: in Ebraico infatti Nazireo e Nazoreo/ Nazaret contengono due consonanti diverse, “z” e “tz”, entrambe translitterate in greco come “z”. Quindi in ebraico, a seconda della presenza della “z” o della “tz”, il significato cambia radicalmente”.

. . .

tutto questo passo ha l’intento evidente di rispondere ad alcune osservazioni fatte all’idea che Jeshuu potesse essere il messia atteso dagli ebrei:

era nato forse a Betlemme? risposta: sì, anche se i suoi genitori erano di Nazarét.

ma se veniva dall’Egitto! risposta ci era stato soltanto pochissimo tempo, da bambino, per sfuggire ad Erode.

era forse un nazireo o un esseno della scuola dei nazareni? ma no, si chiamava Ναζωραῖος perché era vissuto a Ναζαρέτ (ma questa spiegazione era accettabile soltanto per chi non conosceva più l’ebraico).

sembra quasi una risposta diretta ad alcune critiche di cui si fece portavoce Celso nel suo Discorso vero, probabilmente del 180 d.C., ma che circolavano certamente da tempo tra glie ebrei non convinti della natura di messia di Jeshuu.

. . .

ma non è questa l’osservazione più importante. dobbiamo rilevare due cose: la prima è la collocazione cronologica della nascita di Gesù al tempo di Erode, poco prima della sua morte.

dato il contesto totalmente leggendario di tutto il racconto, questo elemento di per sé è poco determinante, ma non può neppure essere respinto con leggerezza.

la seconda osservazione è che di questa tremenda strage di 2mila bambini di Betlemme fino a due anni di età – un numero palesemente sproporzionato rispetto alla consistenza del borgo – non troviamo nessuna traccia in Giuseppe Flavio, lo storico del regno di Erode, il quale certamente ha compiuto ogni sorta di delitti, ma non questo; ed un silenzio dello storico su un fatto così drammatico non è giustificabile in alcun modo.

dunque, si tratta di una totale invenzione, ma questo è anche un secondo indizio preciso del carattere tardo di questo racconto: la leggenda non poteva essere diffusa come vera in tempi nei quali il ricordo di quello che aveva fatto effettivamente Erode era ancora vivo e chiunque avrebbe potuto obiettare di no averne mai sentito parlare.

. . .

anche il Vangelo secondo Luca colloca la nascita di Gesù 5Al tempo di Erode, re della Giudea, ma aldilà di questo riferimento molto generico non c’è altro; inoltre questo testo ignora completamente le tremende e anche incredibili vicende narrate dal Vangelo secondo Matteo.

in realtà le due narrazioni della nascita di Gesù sono profondamente diverse e per molti aspetti incompatibili fra loro.

la mia impressione è che Luca in questa parte sia precedente a Matteo e che questo presenti l’ultima versione della storia, quella peraltro destinata ad affermarsi e a condizionare tutti i relativi racconti, anche pittorici e visivi nei secoli futuri, fino al Pasolini del Vangelo secondo Matteo.

ma simili versioni leggendarie potevano essere accolte soltanto in un contesto oramai molto lontano geograficamente e cronologicamente da quei fatti, di cui non si conservava più concreta memoria, salvo il ricordo molto generico di questo re sanguinario e terribile.

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