verso la conclusione di questa introduzione all’analisi del Vangelo secondo Giovanni, o meglio del testo in esso contenuto e rielaborato che l’ha originato, l’Annuncio del Nuovo Regno, siamo dunque ancora davanti al problema irrisolto della storicità della figura di Gesù, come ci viene consegnata dalla tradizione cristiana.
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questa venne codificata nei suoi punti essenziali in un vero e proprio documento ufficiale, il Credo niceno-costantinopolitano, o Symbolum Nicaenum Costantinopolitanum, approvato nel primo concilio di Nicea del 325 ed integrato nel primo concilio di Costantinopoli del 381.
Credo […] in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre +prima di tutti i secoli+, [cioè della sostanza del Padre]: Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create, [quelle del cielo e quelle della terra]. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese +dal cielo+ e +per opera dello Spirito Santo+ si incarnò +nel seno della Vergine Maria+ e si fece uomo. +Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,+ patì +e fu sepolto+. Il terzo giorno risuscitò, +secondo le Scritture,+ salì al cielo, +e siede alla destra del Padre. Di nuovo+ verrà, +nella gloria,+ per giudicare i vivi e i morti +e il suo regno non avrà fine+.
(in corsivo il testo originario del 325 e tra parentesi quadre le parti di questo testo cancellate nel 385; in caratteri normali le parti aggiunte nel 381; quindi, leggendo le sole parti in corsivo, si vede il primo testo; leggendolo omettendo le parti tra parentesi quadre, la versione definitiva del 381.)
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la trasformazione dell’uomo storico Jeshuu in una oscura entità teologica è chiarissima, ma, per il fine più limitato di questa ricerca, si deve notare che nel periodo tra il 325 e il 381 divenne imperativo fissare come articolo di fede che il Gesù del quale si parla fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato.
perfino la precisazione del nome dell’autorità romana che lo avrebbe crocifisso, in un documento che vorrebbe avere un altissimo spessore teologico, divenne elemento caratterizzante della fede cristiana.
questo farebbe dubitare che l’argomento stesso fosse diventato oggetto di contestazione, oppure che dietro la precisazione si nascondesse la consapevolezza di qualcosa di oscuro legato a questa notizia fondamentale della tradizione.
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col Simbolo o Credo di Nicea-Costantinopoli si afferma dunque la coesistenza della dimensione teologica assoluta di Gesù, come articolazione personale trinitaria dell’essenza divina, e dell’uomo storico, del quale si afferma che venne crocifisso […] sotto Ponzio Pilato.
fatto storico presunto, che peraltro non risulta da nessun’altra fonte storica che non stia semplicemente riferendo le affermazioni dei suoi seguaci cristiani, per sentito dire e prendendole per vere.
peggio, i contemporanei e chi visse immediatamente dopo la data della sua presunta crocifissione non sanno nulla di lui, non lo nominano mai, la sua esistenza stessa gli risulta del tutto sconosciuta.
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ma qui innesto una breve divagazione su un testo che quasi ci fa dubitare di questa affermazione e lascia aperto un enigma.
leggiamolo, prima di tutto, in questo passaggio chiave per il nostro discorso:
1, 16 Ma gli empi invocano su di sé la morte con le opere e con le parole; / ritenendola amica, si struggono per lei /e con essa stringono un patto, / perché sono degni di appartenerle.
2, 1 Dicono fra loro sragionando: / «La nostra vita è breve e triste; / non c’è rimedio quando l’uomo muore, / e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. / 2 Siamo nati per caso / e dopo saremo come se non fossimo stati: / è un fumo il soffio delle nostre narici, / il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore, / 3 spenta la quale, il corpo diventerà cenere / e lo spirito svanirà come aria sottile. / 4 Il nostro nome cadrà, con il tempo, nell’oblio / e nessuno ricorderà le nostre opere. / La nostra vita passerà come traccia di nuvola, / si dissolverà come nebbia / messa in fuga dai raggi del sole / e abbattuta dal suo calore. / 5 Passaggio di un’ombra è infatti la nostra esistenza / e non c’è ritorno quando viene la nostra fine, / poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. / 6 Venite dunque e godiamo dei beni presenti, / gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza! / 7 Saziamoci di vino pregiato e di profumi, / non ci sfugga alcun fiore di primavera, / 8 coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano; / 9 nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. / Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere, / perché questo ci spetta, questa è la nostra parte. / 10 Spadroneggiamo sul giusto, che è povero, / non risparmiamo le vedove, / né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato. / 11 La nostra forza sia legge della giustizia, / perché la debolezza risulta inutile. / 12 Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo / e si oppone alle nostre azioni; / ci rimprovera le colpe contro la legge / e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. / 13 Proclama di possedere la conoscenza di Dio / e chiama se stesso figlio del Signore. / 14 È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; / ci è insopportabile solo al vederlo, / 15 perché la sua vita non è come quella degli altri, / e del tutto diverse sono le sue strade. / 16 Siamo stati considerati da lui moneta falsa, / e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure. / Proclama beata la sorte finale dei giusti / e si vanta di avere Dio per padre. 17 Vediamo se le sue parole sono vere, / consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. / 18 Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto / e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. / 19 Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, / per conoscere la sua mitezza / e saggiare il suo spirito di sopportazione. / 20 Condanniamolo a una morte infamante, / perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà. / 21 Hanno pensato così, ma si sono sbagliati; / la loro malizia li ha accecati. / 22 Non conoscono i misteriosi segreti di Dio, / non sperano ricompensa per la rettitudine / né credono a un premio per una vita irreprensibile. / 23 Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, / lo ha fatto immagine della propria natura. / 24 Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo / e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.
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la citazione è presa dal Libro della Sapienza o Sapienza di Salomone o semplicemente Sapienza, un testo scritto in greco, attribuito in origine a Salomone, in maniera totalmente arbitraria.
agli antichi appariva chiaro che la lingua greca in cui era composto aveva qualche chiara inflessione tipica di Alessandria d’Egitto, dopo che era diventata una città ellenistica; tanto è vero che Girolamo, che lo tradusse in latino, pensò bene di attribuirlo a Filone di Alessandria, un intellettuale e filosofo ebreo vissuto in quella città fin verso il 45 d.C.; ma anche questa attribuzione non regge: le idee di questo testo sono troppo lontane da quelle che Filone espone nelle sue opere.
gli ebrei non lo considerarono mai parte della loro Bibbia, ma in ogni caso questo libro entrò a far parte dei testi dell’Antico Testamento che i cristiani consideravano ispirati da Dio (solo Lutero, con la Riforma preferì escluderlo), ed è sicuramente il testo più recente tra quelli raccolti lì; in sostanza, questo è un testo che considerano ispirato da Dio e parte della Bibbia ebraica soltanto i cristiani e, dopo la Riforma protestante, soltanto i cattolici e gli ortodossi.
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va poi aggiunto un ulteriore problema, che è legato al carattere stratificato dei testi considerati sacri nel mondo ebraico: la manipolazione e rielaborazione successiva dei testi originari, sulla base di nuove esigenze storiche oppure dello sviluppo successivo del pensiero religioso, era un fatto assolutamente normale nel mondo ebraico, e fu una tradizione che si trasmise allo stesso modo anche nel mondo cristiano.
per cui la datazione di un testo non esclude la possibilità che parti di questo testo siano state scritte ed aggiunte successivamente.
qui la cosa è resa ancora più probabile dal carattere composito del testo, che non segue una precisa linea argomentativa globale, ma accosta liberamente in blocchi eterogenei considerazioni diverse.
in particolare un’analisi interna porta distinguere due blocchi:
il primo, nell’ordine attuale dell’esposizione, 1,1 – 6,21, è rivolto ai reggitori di popoli, perché ispirino la loro azione ai principi della Sapienza;
la seconda parte, 6,22-19, 22, è un discorso generale sulla Sapienza, attribuito Salomone, che viene fatto parlare in prima persona, e, attraverso continui riferimenti ai racconti biblici, contrappone la vera fede al culto degli idoli, in un serrato confronto polemico fra gli ebrei, portatori della verità, e gli egiziani, traviati da un culto assurdo di dei plasmati da mano umana e spesso perfino con materiali di scarto.
sembrano in realtà due testi scritti anche da mani differenti ed accostati e fusi semplicemente per l’analogia dell’argomento.
la seconda parte, così legata alla cultura ebraica, potrebbe essere più antica;
la prima parte potrebbe essere stata aggiunta in seguito e da qualcuno che già ha un rapporto meno stretto con l’ebraismo.
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ma quando fu scritto esattamente il testo citato all’inizio? sia esso parte dell’originario oppure aggiunta successiva…
qualcuno ha voluto vedere delle allusioni all’imperatore Caligola (37-41 d.C.) in alcune affermazioni del successivo cap. 14, che attacca il culto degli idoli e dà una spiegazione della sua origine: vi si parla di un padre, distrutto dalla perdita prematura di in figlio, che ne fa fare un ritratto e lo onora come fosse l’immagine di un dio, ordinando ai suoi sottoposti di fare altrettanto, e dà così origine all’empia tradizione di onorare come dei i sovrani.
17 Alcuni uomini, non potendo onorarli di persona perché distanti, / avendo riprodotto le sembianze lontane, / fecero un’immagine visibile del re venerato, / per adulare con zelo l’assente, come fosse presente./ 18 A estendere il culto anche presso quanti non lo conoscevano, / spinse l’ambizione dell’artista. / 19 Questi infatti, desideroso senz’altro di piacere al potente, / si sforzò con l’arte di renderne più bella l’immagine; / 20 ma la folla, attratta dal fascino dell’opera, / considerò oggetto di adorazione / colui che poco prima onorava come uomo. / 21 Divenne un’insidia alla vita il fatto che uomini, / resi schiavi della disgrazia e del potere, / abbiano attribuito a pietre o a legni il nome incomunicabile. / 22 Inoltre non fu loro sufficiente errare nella conoscenza di Dio, / ma, vivendo nella grande guerra dell’ignoranza, / a mali tanto grandi danno il nome di pace. / 23 Celebrando riti di iniziazione infanticidi o misteri occulti / o banchetti orgiastici secondo strane usanze, / 24 non conservano puri né la vita né il matrimonio, / ma uno uccide l’altro a tradimento o l’affligge con l’adulterio. / 25 Tutto vi è mescolato: / sangue e omicidio, furto e inganno, / corruzione, slealtà, tumulto, spergiuro, / 26 sconcerto dei buoni, dimenticanza dei favori, / corruzione di anime, perversione sessuale, / disordini nei matrimoni, adulterio e impudicizia. / 27 L’adorazione di idoli innominabili / è principio, causa e culmine di ogni male. / 28 Infatti coloro che sono idolatri vanno fuori di sé nelle orge o profetizzano cose false / o vivono da iniqui o spergiurano con facilità. / 29 Ponendo fiducia in idoli inanimati, / non si aspettano un castigo per aver giurato il falso. / 30 Ma, per l’uno e per l’altro motivo, li raggiungerà la giustizia, / perché concepirono un’idea falsa di Dio, rivolgendosi agli idoli, / e perché spergiurarono con frode, disprezzando la santità. / 31 Infatti non la potenza di coloro per i quali si giura, / ma la giustizia che punisce i peccatori / persegue sempre la trasgressione degli ingiusti.
sotto Caligola, proprio ad Alessandria d’Egitto, il culto della sua persona come divina, preteso da lui in quanto imperatore, aveva dato origine a una tensione gravissima nella comunità ebraica della città e a veri e propri scontri con la popolazione greca, come racconta Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche, 18:
257 – VIII, I. – In quel tempo scoppiò, in Alessandria, una guerra civile tra gli abitanti giudei e i greci. Furono eletti tre delegati, uno per ogni fazione, perché si presentassero davanti a Gaio. Uno dei delegati alessandrini era Apione, che insultò i Giudei con linguaggio scurrile asserendo tra l’altro che trascuravano di rendere gli onori dovuti all’imperatore. 258 Poiché mentre tutti i popoli sudditi dell’impero romano avevano dedicato altari e templi a Gaio e gli avevano dato, sotto ogni aspetto, la stessa attenzione che avevano verso gli dei, solo questo popolo disdegnava di onorarlo con statue e di giurare in suo nome. 259 Apione pronunciò molte parole piene di ira con le quali sperava di muovere Gaio, come si poteva aspettare. Filone che era a capo della delegazione giudaica, uomo di grandissimo onore, fratello dell’alabarca Alessandro e non inesperto in filosofia, si preparava a intervenire in difesa contro le accuse. 260 Ma Gaio tagliò corto, e gli disse di uscire, e colmo di collera diede chiaramente a vedere che aveva qualche pessima risoluzione contro di loro. Filone, trattato in maniera così ingiuriosa, uscì dalla sala dicendo ai Giudei che l’accompagnavano di farsi coraggio, perché la collera di Gaio era solo questione di parole, in realtà impegnava Dio contro se stesso. 261 – 2. Sdegnato di essere trattato così soltanto dai Giudei, Gaio inviò Petronio come suo legato in Siria perché succedesse a Vitellio in questo ufficio. I suoi ordini furono di portare in Giudea una grande forza e, se i Giudei acconsentissero ad accoglierlo, innalzasse un’immagine di Gaio nel tempio di Dio; se, invece, si ostinassero contro di lui, li sottomettesse con le armi.
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trascuro gli ulteriori sviluppi in Palestina, molto gravi, che del resto ho già riportato in precedenza, e mi soffermo sulla fallita mediazione dell’autorevole Filone di Alessandria, che venne cacciato da Caligola, che non volle neppure ascoltarlo nella difesa delle ragioni ebraiche nel rifiutare il suo culto.
Filone compose un’opera su questa vicenda e lì lascia testimonianze molto aspre sul nuovo bizzarro e lunatico imperatore: Non passò molto tempo e l’uomo che era stato considerato benefattore e salvatore […] si trasformò in essere selvaggio o piuttosto mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera (Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium, 22).
certo, Filone rappresenta il punto di vista ebraico, come dimostra anche il ritratto non certo positivo che traccia del praefectus Pilato, che era stato allontanato dalla sua carica proprio per la sua eccessiva durezza: Era di natura intransigente, spietato nella sua impertinenza, iracondo e rancoroso; Filone parla di insulti al popolo, atti di rapina e di violenza. La gente si lamentava delle continue vessazioni, delle esecuzioni di prigionieri senza condanna né processo e della sua crudeltà infinita e disumana. ibid. 302
(Filone critica dunque aspramente Pilato, ma non trova modo di ricordare quello che sarebbe stato un suo pesante atto come la condanna a morte di Jeshuu, uomo saggio, secondo la manipolazione precoce delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio; afferma anzi addirittura che faceva eseguire condanne a morte senza processo, il che rende assolutamente inverosimile che si fosse dato briga di ascoltare un facinoroso come Jeshuu, colto sul fatto mentre preparava qualche azione clamorosa contro Gerusalemme; che poi avesse cercato di discutere con lui su che cosa fosse la veritàn e avesse perfino cercato di salvarlo supera di gran lunga la dimensione di quello che è storicamente verosimile!)
ma mi limito qui a riflettere se nel passo della Sapienza sopra citato si debba avvertire un preciso riferimento a questo momento storico.
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rispondere è molto difficile: il culto degli idoli viene visto qui come la premessa della degradazione e relativizzazione della morale, quindi la critica è collocata in un contesto più vasto, nel quale non è difficile vedere lo scandalo degli ebrei osservanti per i costumi e gli usi pagani.
mancano tuttavia riferimenti precisi a fatti che possano dare maggiore sostanza all’ipotesi e in particolare si nota che la diffusione del culto del re venerato è attribuita più alle ambizioni dell’artista e alle cattive predisposizioni degli uomini che a una vera e propria imposizione imperiale.
inoltre vi è una allusione alla divinizzazione del figlio precocemente defunto di un re. potrebbe essere decisiva per l’individuazione del periodo di composizione dell’opera; però non riesco a trovare un riscontro preciso in quegli anni.
tutti elementi che portano a pensare che ci si riferisca invece al culto di qualche sovrano ellenistico in epoche precedenti: in effetti era stato Alessandro Magno a pretendere per primo, tra i greci, di essere venerato come un dio, e i suoi successori avevano continuato sulla stessa linea, come del resto era perfettamente tradizionale in Oriente, anche prima della formazione delle monarchie ellenistiche.
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detto questo, si deve però notare anche che il problema era diventato stringente nel mondo ebraico, sia quello in patria, sia quello della diffusa emigrazione nell’impero romano, solo da quando il dominio romano, che lo aveva inglobato in un primo momento con Pompeo nel 63 d.C., ne aveva ripreso il controllo diretto nel 6 d.C., qualche anno dopo la morte di Erode il Grande, sotto il quale si era creata un forma di parziale autonomia romano.
il culto dell’imperatore, avviato da Cesare, era tuttavia ammesso a Roma solamente in riferimento ad imperatori defunti, e in questo senso lo regolamentò anche Augusto, che lo ammise, come culto del genius dell’imperatore, solamente nella parte orientale dell’impero, dove era più consono alle tradizioni locali.
un vero e proprio culto dell’imperatore vivente, come quello che qui Giuseppe Flavio attesta che era preteso da Caligola, ed altre fonti lo confermano, sembra appunto una innovazione tutta sua, e neppure particolarmente fortunata, visto che Caligola venne ucciso poco dopo e in questo modo ebbe anche salva la vita il praefectus Petronio, che aveva disobbedito all’ordine imperiale di imporlo anche agli ebrei di Gerusalemme.
è dunque abbastanza probabile, in effetti, che questo succedersi di fatti avesse stimolato la particolare sensibilità sul tema che questo testo dimostra.
l’esclusività della pretesa di Caligola di essere venerato come un dio anche da vivo, ed è il primo imperatore romano a farlo, indurrebbe allora a considerare questo testo, oppure questa parte del testo, scritta in effetti dopo la sua morte, cioè dopo il 41, se esso appartiene al periodo romano.
e tuttavia va ricordato che, forse proprio per il gravissimo scontro avvenuto all’inizio del suo regno, Caligola si era deciso a ricostituire un autonomo regno di Giudea sotto Erode Agrippa nel 39 d.C.: esperienza che venne interrotta soltanto dalla prematura ed improvvisa morte di questi nel 44 d.C.; e dunque questo rende meno probabile una polemica che si riferisca ai fatti di Gerusalemme.
in conclusione la ricerca di una risposta si aggira tra indicazioni contraddittorie ed è irrisolvibile: è possibile tanto che si tratti di un testo del secondo o primo secolo a.C. quanto di un testo composto dopo il 40 d.C., ma difficilmente immediatamente dopo, così come è anche possibile che questa datazione vada riferita esclusivamente a qualche sezione del testo: nessuna certezza ci è data.
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ma torniamo allora al punto di partenza: se fosse plausibile questa datazione a dopo il 41 – 44 d.C. del primo passo che abbiamo citato, questo potrebbe indurci a leggere anche il passo del Libro della Sapienza, 1,16 – 2,24 come scritto dopo questo stesso periodo, sulla base dell’ipotesi che esso sia stato aggiunto successivamente, come abbiamo proposto sopra?
ne uscirebbero delle conseguenze dirompenti per la nostra ricerca: una datazione di quel passo alla metà circa del primo secolo d.C., non potrebbe che farci dire che abbiamo trovato un secondo documento storico, che parla di Jeshuu (anche senza nominarlo…), scritto qualche anno dopo, ma probabilmente prima della guerra giudaica e della distruzione di Gerusalemme.
rileggiamo allora il passo alla luce di questa ipotesi…
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in primo luogo, dobbiamo identificare gli empi descritti all’inizio del passo, portatori di una visione nichilista dell’esistenza, descritta con accenti efficaci e direi quasi toccanti, pur se sdegnosamente respinta; chi pensa al materialismo epicureo, a mio parere sbaglia: la polemica diventa più comprensibile se la collochiamo all’interno del mondo ebraico.
a mio parere in questi empi va riconosciuta la corrente dei sadducei, filo-romani, negatori dell’immortalità dell’anima, sostenuta dai farisei, e portatori di una visione fortemente pessimista dell’esistenza, la cui autorevolezza peraltro è testimoniata dal fatto che il testo che ha dato meglio voce a questa disamorata visione del mondo, il Qoelet o Ecclesiaste, è entrato a far parte della Bibbia ebraica (a differenza di questo testo che lo contesta), anche se propone una visione decisamente materialistica della vita umana.
la polemica della Sapienza con l’Ecclesiaste è talmente diretta, da diventare quasi ripresa di espressioni letterali.
ma allora, se l’autore della Sapienza sta polemizzando con i sadducei, che erano allora l’ala dominante del sacerdozio ebraico e controllavano il Sinedrio, a che cosa può riferirsi la descrizione del loro attivarsi contro il giusto?
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qui sono davvero impressionanti le analogie tra la situazione del giusto e quel che si dice di Gesù in alcune versioni del primo cristianesimo sulla sua fine.
rileggiamo la Sapienza, come descrive l’atteggiamento nei suoi riguardi di coloro che abbiamo visto essere i sadducei
16 Siamo stati considerati da lui moneta falsa, / e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure. / Proclama beata la sorte finale dei giusti / e si vanta di avere Dio per padre. 17 Vediamo se le sue parole sono vere, / consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. / 18 Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto / e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. / 19 Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, / per conoscere la sua mitezza / e saggiare il suo spirito di sopportazione. / 20 Condanniamolo a una morte infamante, / perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà. / 21 Hanno pensato così, ma si sono sbagliati; / la loro malizia li ha accecati. / Sapienza, 2
ed ora i vangeli sinottici:
29 Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30 salva te stesso scendendo dalla croce!». 31 Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 32 Il messia, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Marco 15
dal Vangelo secondo Marco derivano direttamente anche gli altri due sinottici:
39 Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo 40 e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». 41 Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: «Sono Figlio di Dio»!». 44 Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. Matteo, 27
35 Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il messia di Dio, l’eletto». 36 Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37 e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38 Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il messia? Salva te stesso e noi!». Luca, 23
queste analogie sono così stringenti che lasciano spazio solamente a due ipotesi: o il resoconto dei vangeli sinottici contiene dei riferimenti espliciti alle tesi del Libro della Sapienza, perché queste considerazioni generiche erano diventate senso comune e gli autori le conoscevano; oppure la redazione di questa parte di quel libro è effettivamente avvenuta tra gli anni Cinquanta e Sessanta del primo secolo d.C. e si sta parlando proprio di Jeshuu.
ed allora qui dobbiamo riconoscere necessariamente una mano cristiana, di un cristianesimo originario che non aveva ancora divinizzato Jeshuu, ma lo considerava ancora un uomo particolarmente giusto o saggio, come di lui si dice nella prima probabile interpolazione cristiana inserita nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio.
per questo motivo il testo, pur se considerato dai cristiani in seguito ispirato da Dio, venne da loro inserito ancora nel Vecchio Testamento, nella Bibbia ebraica, secondo la versione cristiana, per evitare l’imbarazzante osservazione che i primi cristiani consideravano Jeshuu semplicemente un uomo, per quanto straordinario.
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ancora una volta eccoci nel mezzo di un campo irrimediabilmente ipotetico, che non può superare il livello della possibilità, della probabilità, della plausibilità.
forse la Sapienza è stata scritta in due momenti diversi ed è la fusione di due opere in origine distinte;
forse la più antica di queste, che è oggi la sua seconda parte, venne composta come reazione agli scontri che devastarono Alessandria attorno al 39 d.C. per la pretesa di Caligola di imporre anche agli ebrei il culto di lui come imperatore Dio;
forse la parte che oggi è la prima, sotto forma di esortazione ai governanti, venne composta dopo questo periodo, ma prima della guerra giudaica, e contiene dei riferimenti precisi alla vicenda di Jeshuu, che difende dalla sarcastica critica degli ebrei osservanti e dei sadducei dominanti che non era stato salvato da Dio, e dunque non poteva essere il messia che diceva.
allora, forse, abbiamo trovato un testo cristiano o vicino al cristianesimo, molto antico, che ci testimonia che per i suoi primi seguaci Jeshuu era il messia, ma pur sempre soltanto un uomo straordinario.
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però non deve sfuggire un ulteriore dettaglio che scende, come la tessera giusta di un puzzle, a comporre il quadro:
se Jeshuu viveva in Egitto, l’anno che aveva visto lo scoppio della guerra civile tra ebrei e greco-egiziani ad Alessandria, il 39 ca. d.C., poteva essere proprio quello giusto per lui per abbandonare quel paese e tornare nella sua terra d’origine.
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ma siamo nel campo della storia o del romanzo, sia pure un romanzo storico, e meno inverosimile dei racconti miracolistici che hanno fondato la tradizione cristiana?
non lo sappiamo: e in questa contraddizione apparentemente irrisolvibile sta la contraddizione tipica del cristianesimo.
noi non siamo costretti entro questo dubbio, per esempio, per quanto si ricava dal Corano sul fondatore dell’islam; qui è certamente vero storicamente quel che vi si legge e che non ha un chiaro e presunto carattere sovrannaturale; la fuga di Mohammed da Medina è un fatto storicamente avvenuto; invece, per fare un altro esempio, l’attacco di Gesù ai mercanti del tempio lo raccontano i vangeli, ma nessuna altra fonte storica ne sa nulla; dunque dubitiamo che possa essere storico.
è il dilemma che vede la ricerca oscillare tra chi accetta che le narrazioni dei suoi seguaci abbiano un carattere sicuramente storico, pur in mancanza di qualunque prova di questo, e chi, quasi per reazione, in una logica astrattamente coerente, è arrivato ad affermare che allora il personaggio stesso è totalmente inventato e non è neppure mai esistito.
eppure i racconti che lo riguardano conservano alcuni tratti tipici e caratteristici che li rendono esclusivi e innumerevoli dettagli non trovano una spiegazione adeguata in nessuna tradizione antecedente.
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la verità non sta preferenzialmente nel mezzo, come si suol dire, anzi risulta semmai una sua preferenza per qualche sede appartata e negletta dove possa sopravvivere nell’oscurità quasi completa.
quindi non è per questo che dico che la tesi del carattere del tutto simbolico e inventato della vita di Jeshuu non regge.
però questa convinzione non può portarci neppure a prendere per vero gli elementi non chiaramente miracolistici e favolistici di quel che si racconta di lui: e sono molti di più di quanto la tradizione cristiana sia disposta ad ammettere, condizionando del resto anche gli studi storici.
accettare la storicità di Jeshuu non definisce affatto il limite dove cominciano le invenzioni che lo riguardano.
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pur convinti che Jeshuu sia realmente vissuto, siamo arrivati a supporre addirittura che non per questo sia stato crocifisso dai romani, e tantomeno sotto Ponzio Pilato, con buona pace di quell’antico Credo, che si sentì in dovere di imporre a tutti i cristiani di farne atto di fede.
il confine tra l’invenzione e la storia non è fissato a priori e una volta per tutte, va indagato e analizzato con pazienza e volta per volta, come appunto continueremo a fare.
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