come ho già scritto, chi se la piglia col merito e non con la meritocrazia, se la piglia con la Costituzione, che considera il merito un valore positivo.
art. 34: c. 3. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
ma che cosa intende la Costituzione parlando di merito?
il diritto di studiare oltre al livello obbligatorio è attribuito a tutti coloro che sono nello stesso tempo capaci e meritevoli, le due qualità sono egualmente indispensabili.
e questo diritto non può essere limitato in alcun modo, né da mancanza di mezzi economici né da altre forme di discriminazione, perché la scuola è aperta a tutti, come detto in premessa.
occorre un rapido sguardo alla storia, per capire meglio che cosa si intende.
. . .
meno di un decennio prima erano state approvate le leggi razziali, che escludevano gli ebrei dagli studi.
inoltre con la riforma di Gentile, il ministro fascista dell’istruzione, o meglio il ministro dell’istruzione fascista, nel 1923, le donne erano escluse da alcuni tipi di studi e le tasse scolastiche erano raddoppiate per le studentesse, per scoraggiarne la frequenza.
si vietava alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie, l’insegnamento di lettere e filosofia nei licei, ed altre materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie.
Gentile aveva perfino inventato la scuola professionale femminile, con lo scopo di preparare le giovinette all’esercizio delle professioni proprie della donna e al buon governo della casa, e un Liceo Femminile, che dava una licenza inutilizzabile a livello professionale e non consentiva il passaggio all’Università.
questi licei avevano per fine d’impartire un complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirino né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale; le materie d’insegnamento erano lingue e letteratura italiana e latina, storia e geografia, filosofia, diritto ed economia politica; due lingue straniere, una obbligatoria e l’altra facoltativa; storia dell’arte; disegno; lavori femminili; musica e canto; uno strumento musicale; danza.
furono un totale fallimento; ma in ogni caso la Costituzione si preoccupava prima di tutto di sbarrare la strada a tentativi di ripetere altre discriminazioni in campo scolastico.
. . .
questa premessa era necessaria per cogliere il significato storico di questo principio costituzionale, e cioè il diritto confermato di studiare per tutti coloro che ne sono capaci e meritevoli.
chiedo scuso se adesso farò un paio di analisi che sembreranno troppo sottili.
prima di tutto qui sta scritto: i capaci e meritevoli, non: i capaci e i meritevoli; ma neppure i capaci meritevoli.
capacità e merito sono due concetti distinti, che possiamo ricondurre la prima alla categoria delle attitudini e la seconda a quella dell’impegno.
per continuare a studiare oltre l’obbligo, secondo la Costituzione, non basta la capacità soltanto, cioè l’attitudine, ma neppure il semplice merito, cioè l’impegno: capacità e merito devono sostenersi a vicenda.
e il merito, dimostrato dall’impegno nello studio, è un concetto che rimanda quasi a quello di lavoro, centrale nella nostra Costituzione:
il merito si conquista con la fatica dell’apprendimento, che esige attenzione, concentrazione, esercizio.
il sapere non è regalato.
. . .
quindi, eccoci al punto centrale: per merito la Costituzione non intende le capacità e neppure le competenze, ma l’impegno nello studio.
chi parla oggi di meritocrazia usa la parola merito in un altro senso, rispetto a quello costituzionale, cioè come sinonimo di competenza.
indubbiamente le competenze si acquistano con lo studio, che esige capacità e merito, ma il merito dato dall’impegno non è sufficiente per acquistarle, se mancano le capacità.
. . .
quindi in nessun modo la meritocrazia può trovare un supporto nel concetto costituzionale di merito, perché allora dovremmo intenderla come il potere dato a chi si impegna soltanto, i cosiddetti secchioni nel linguaggio popolare, anche se gli mancano le capacità e dunque non hanno neppure le competenze.
sarebbe come dire: il potere agli stupidi, purché si applichino.
si dovrebbe allora parlare piuttosto di necessario predominio dei competenti, più che dei meritevoli; e qui la questione si allarga.
discussione oziosa, la mia? non tanto.
. . .
da tempo, e anche recentemente, la Cina critica l’Occidente proprio sulla questione della meritocrazia, o meglio delle competenze, facendo leva anche sulla millenaria tradizione confuciana che ha sempre selezionato con cura la classe dirigente sulla base di un rigoroso sistema di esami.
non è un caso isolato in Asia e va visto alla luce della prevalenza in quelle culture dell’identità collettiva rispetto all’individualismo occidentale, ribadita anche di recente, nel 2012, con l’adozione della Carta Asiatica dei Diritti Umani, adottata dall’ASEAN, Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, a cui aderiscono 10 stati.

la Costituzione di Singapore, ad esempio, stabilisce che per diventare deputati si deve dimostrare un grado di competenza sufficiente per partecipare attivamente ai lavori del Parlamento, e prevede un apposito organo, con rango costituzionale e super partes, per sorvegliarne la attuazione, la Public Service Commission.
ma qualcosa di simile, in un campo più ristretto, è presente anche in Germania, dove, ad esempio, può candidarsi a sindaco soltanto chi è iscritto ad un apposito albo di abilitati a svolgere la funzione, sulla base di esami rigorosi sulle loro competenze specifiche (cosa che permette lì di risparmiarsi poi la figura del Segretario Comunale, inutile costoso doppione).
. . .
insomma, la nostra Costituzione non legittima in nessuna forma la meritocrazia, anche se parla di merito; anzi, la esclude alla luce di altri fondamentali articoli, ribadendo l’assoluta eguaglianza dei cittadini nell’esercizio dei diritti politici, ad esempio.
però nel mondo esistono punti di vista anche radicalmente diversi.
accanto al modello iper-individualista occidentale fondato sull’uguaglianza politica di tutti i cittadini, sta diventando sempre più evidente un’idea diversa di organizzazione politica, che non esclude la democrazia, ma la reinterpreta alla luce di una valorizzazione delle competenze.
sono quelle competenze, che noi poi chiamiamo merito, forse per attribuire loro dei privilegi particolari, e ci costruiamo sopra una teoria della meritocrazia, che poi viene giustamente contrastata.
. . .
però la meritocrazia è la prospettiva occidentale individualistica del problema,
in una visione più sociale della questione, così ampiamente diffusa nelle culture asiatiche, non è di merito individuale che si deve parlare, ma di competenze, che vanno valorizzate nell’ottica della loro migliore efficacia sociale.
e in questa chiave non c’è nessun dubbio possibile che le cose vanno fatte fare a chi le sa fare; e non agli incompetenti.
È strana questa discussione, forse ci stiamo dimenticando come eravamo fino a poco tempo fa, ed è un male. C’era una valutazione oggettiva del capace e meritevole: il risultato scolastico. Quando ho chiesto la borsa di studio per l’università occorreva aver raggiunto una votazione che mi sembra fosse almeno 48/60, e il reddito dei genitori fosse sotto una soglia che non ricordo. Io poi abbandonai dopo due lezioni e la borsa di studio non la richiesi nemmeno; ma ho diversi amici che sono andati avanti a borse di studio perché altrimenti non si sarebbero potuti permettere gli studi. Dovevano rimanere in linea con l’anno accademico e mantenere una certa media. Stessa cosa nel passaggio dalle medie alle superiori: avevo degli sconti per i mezzi, un buono per i libri, e questo perché alle medie ero uscito con un ottimo risultato. E questo andò avanti fino al diploma: oggi non è più così? E se non è più così, perché? Chi ritiene che non sia giusto secondo me sbaglia, era un sistema che permetteva l’ascensore sociale, però non dava soldi a cani e porci. Se uno era un somaro era un somaro! E se la famiglia poteva pagargli gli studi non aveva bisogno dell’aiuto dello Stato, che doveva garantire il buon funzionamento delle scuole.
"Mi piace""Mi piace"
tutto buon senso andato, caro Giò.
ora il pezzo di carta finale è un diritto soggettivo, occorre darlo a tutti, e se non significa più niente, meglio, perché chi è ricco si farà strada più facilmente con le amicizie di famiglia e la copertura di un titolo di studio che non si dovrebbe negare più a nessuno
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ultimamente ci sono tante di quelle cose che non capisco più a questo mondo. Io credo che lo Stato debba cercare, debba tendere, di mettere tutti i cittadini in grado di studiare. Di fare partire tutti dallo stesso livello, non con tante corse ad handicap… Tanti miei amici, e mia moglie stessa, sono dovuti andare a lavorare a quattordici anni perché semplicemente le famiglie non potevano permettersi altrimenti, avevano bisogno di uno stipendio in più per tirare avanti. Ecco, questo in un paese civile non dovrebbe mai più succedere, quando ci si riempie la bocca di famiglia famiglia.. Diverso è che tutti debbano studiare anche se sono mediocri: è vero che lo sviluppo è diverso per ognuno, ma secondo me se non si mette una barriera, una asticella, non c’è nemmeno l’incentivo… torno sempre alla mia esperienza: un mio amico lavorava nei campi col padre fin da bambino, andava a scuola e mentre magari noi andavamo a giocare a pallone, o a suonare, si metteva a studiare perché altrimenti la borsa di studio non l’avrebbe avuta: ma quella tenacia se l’è portata dietro tutta la vita, e gli è servita per arrivare ad alti livelli della sua professione, dove altri invece si sono accontentati. Poi certo che nessuno deve restare indietro, come diceva don Milani, ma non è obbligatorio che tutti debbano laurearsi ..
"Mi piace"Piace a 1 persona
io mi trovo d’accordo con questa analisi della deriva di una sinistra che ha perso se stessa e si divide tra due fazioni ugualmente perdenti e marginali: i servi sciocchi del neo-liberismo, che credono nella cosiddetta democrazia liberale (come se la democrazia stessa non fosse la patria della libertà; ma si dice liberale forse per non dire parlamentare, aggettivo che la rende già meno presentabile), e e i negazionisti della realtà che trasformano le giuste esigenze della giustizia sociale e del rispetto personale in un delirio nominalistico:
“Il perduto senso del reale, sostituito da una ideologia nominalistica, ha prodotto il ribaltamento dei fatti: si pretende di considerare il merito un privilegio, col risultato di favorire il suo contrario”.
ma, se il merito è la fatica dell’applicazione, come pensa la Costituzione e io ho cercato di confermare qui sopra, è abbastanza evidente che non può essere considerato un privilegio.
ed è evidente. come dice lo stesso autore della frase citata, che chi è contrario al merito, inteso così, sta tifando per il demerito e preferisce che gli incarichi di responsabilità siano dati a chi non è capace di svolgerli.
perché in questa ottica, il centro del mondo sono i diritti dell’individuo e non il buon funzionamento della società.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Analisi interessante, mi hai riportato sui banchi di scuola dove gia allora si vedevano queste differenze fra noi studenti , divisi fra capaci e merit evoli.
DElla mia classe nessuno ha fatto un granchè di esaltante nella vita professionale, forse appunto perchè non vi erano i “capaci e meritevoli” ma solo o gli uni o gli altri.
Poi nel mondo del lavoro ne ho incontrati molti di capaci e meritevoli, cioè di persone dotate che si applicavano moltissimo, ma questo è appunto il mondo del lavoro dove la selezione è rigorosa.
"Mi piace""Mi piace"
sì, si siamo.
ma la cosa più interessante è che noi in Occidente affrontiamo il problema del merito esclusivamente in una chiave individuale, come lesione ai diritti del singolo.
in Oriente invece l’approccio critico è diverso e ci si chiede quale modello sociale è il più vantaggioso per la collettività, perché la comunità viene prima del singolo.
forse anche noi in occidente ci dovemmo ricordare che soltanto la società può garantire le libertà individuali, e quindi non dovremmo usarle come serpe in seno alla collettività.
"Mi piace""Mi piace"