che cosa si prova a vivere in un paese in uno stato di sfacelo autodistruttivo, rendendosene conto?
gli studi classici della giovinezza portano a interrogare continuamente gli scritti sopravvissuti dallo sfacelo della civiltà antica, ma non ne viene altro che il vago conforto delle sofferenze condivise.
l’intera civiltà occidentale è a rischio e questo significa anche che forse stiamo assistendo al crollo della civiltà tecnologica mondiale costruita negli ultimi due secoli, che seguirà necessariamente a ruota.
ma con la prospettiva più inquietante della rapida scomparsa della specie umana dalla Terra, oppure del suo ritorno a condizioni di vita precarie e primordiali.
così l’Italia sembra l’avanguardia di un processo che, dopo di noi, sta progressivamente investendo il pianeta.
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nasce, per noi, dal combinato disposto di crisi climatica e demografica.
sulla prima, lasciando da parte ogni possibile disquisizione sulle cause, non ci sono dubbi che stiamo assistendo ad un rapido innalzamento delle temperature accompagnato da una siccità crescente ed oramai devastante.
per il pubblico beota che pensa che la carne, il latte, la pasta nascano nei supermercati non è un problema, ma non è una fantasia da scrittori di fantascienza distopica la prospettiva di arrivare a breve a nutrirci di cibo sintetico, prodotto artificialmente in fabbriche-laboratorio, dato diventerà troppo raro e costosissimo il cibo naturale della nostra storia, prodotto nei campi bagnati dalla pioggia ed irrigati.
diventerà una merce d’élite, riservata ad uno strato ristretto di ricchi.
ma la quantità di investimenti necessari per questa rapida trasformazione sarà poi gestibile?
e comunque questo non risparmierà l’invivibilità progressiva dei luoghi dove viviamo oggi.
abbiamo chiuso gli occhi sugli effetti del riscaldamento globale in paesi climaticamente più esposti del nostro, come il Medio Oriente; ma ora toccherà noi vivere l’esperienza della distruzione di ogni agricoltura possibile e della trasformazione in una massa di profughi.
così non ci rendiamo conto quanto sia vitale sia per l’Occidente sia per la Cina la battaglia per la distruzione della Russia e la conquista della Siberia, che potrebbe essere tra vent’anni l’unica zona coltivabile del pianeta.
prima del collasso finale previsto per fine secolo, quando nel Mediterraneo ci saranno le temperature del centro del Sahara di vent’anni fa.
vent’anni fa, appunto, feci il mio ultimo viaggio in Tunisia, tra dicembre e gennaio, e avevo trovato la neve nei paesi dell’interno, attorno ai 600 metri di altezza; il che significa che il clima era un poco più freddo di quello che verifico oggi su altitudini simili, ai confini settentrionali della Val Padana.
non è poi così difficile immaginare che cosa succederà, e che il processo continui, probabilmente accelerando, anche nei prossimi vent’anni.
e poi il riscaldamento globale si auto-alimenta, non esiste una bacchetta magica per fermarlo: nessuno osa guardare oltre.
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in questo quadro si colloca il crollo demografico dell’Italia.
nel paesino in cui vivo la scuola primaria raccoglie poco più di una ventina di bambini in due pluriclassi; ho partecipato ad un recente incontro con i loro nonni, più o meno coetanei miei, e ai loro tempi, quando i comuni in zona erano ancora due, le due scuole elementari avevano ciascuna 5 classi distinte con almeno 25 bambini ciascuna; siamo dunque passati, nell’arco di due generazioni, da 250 bambini circa a 25.
ma che futuro può avere un paese di 900 abitanti, prevalentemente anziani, dove nascono 25 bambini in cinque anni?
e dove non c’è quasi immigrazione, ma piuttosto emigrazione?
nessuno.
e questo non è un caso isolato, ma simboleggia bene la situazione del nostro paese.
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per sopravvivere, in condizioni simili, una società dovrebbe augurarsi che vi sia una potente immigrazione e costruire una strategia di integrazione culturale e linguistica dei nuovi arrivati.
è quello che sta facendo la Germania, pure se lì la crisi demografica non è ancora così potente: ad esempio, con la Merkel che in un anno e mezzo ha accolto un milione e mezzo di profughi siriani qualificati.
noi invece consideriamo una iattura da combattere l’unica possibile salvezza e cerchiamo di tenere lontana l’immigrazione, condannandoci al suicidio collettivo.
gli idioti megafoni politici e mediatici, che parlano continuamente di aumento del PIL, come fatto vitale per la sopravvivenza economica, saprebbero spiegarci come può aumentare il PIL in un paese dove la popolazione ha cominciato a diminuire al ritmo di un milione in meno ogni due o tre anni, e da dove, oltretutto, i giovani scappano appena possono?
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bene, e allora torno alla domanda iniziale: che effetto fa vivere in un paese che tra un paio di generazioni potrebbe non esistere più di fatto, sia perché spopolato, sia perché travolto da temperature insostenibili?
scrivere in una lingua che sarà presto una lingua morta?
cercare di lasciare ai propri discendenti quel tanto che ci sembra di avere capito della vita, ora che volge al termine?
vale la pena di pensare al futuro, se un futuro non ci sarà?
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certo, forse qualcosa si salverà lo stesso della civiltà umana e anche di quella occidentale, come nei secoli bui di mille e cinquecento anni fa, ma non sappiamo dire né come né dove; forse trasmigreremo virtualmente in cyborg capaci di vivere anche quando la temperatura supera i 60 gradi.
forse vivremo, o meglio vivranno, in capsule climatizzate, grazie alla scoperta di qualche infinita fonte di energia, continuamente annunciata come prossima.
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tuttavia, anche negli scenari meno pessimisti, difficilmente tra cinquant’anni esisterà ancora una cultura che si chiamerà Italia.
e allora, è inutile lanciare allarmi e preoccuparsi del nostro crollo demografico suicida, invocare dai nostri politici che la smettano di cercare di farci litigare sulle cazzate e che cerchino invece di definire una strategia di sopravvivenza, in fretta, perché non c’è più tempo.
ma no! il suicidio dell’Italia è benefico, provvidenziale, razionalissimo; non se ne preoccupi il New York Times.
stiamo togliendo il disturbo a poco a poco, in punta di piedi, senza sofferenza alcuna, nel più saggio dei modi.
siamo o non siamo il popolo più furbo e intelligente del mondo?
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è l’alba di una mattina invernale, attorno ai giorni della merla, i più freddi dell’anno, una volta, e il meteo annunciava possibili nevicate nel weekend.
apro la finestra della mia camera su un cielo ferocemente limpido e rosato, con sparse vaghe nuvolette baciate dal sole che sorge e qualche residua traccia di neve sui monti più alti in fondo al paesaggio.
è la nostra alba, dove la bella giornata, come l’avremmo definita un tempo nel quale sarebbe stata eccezionale, è invece l’ultima per oggi di una lunga serie: livida e ostile e la bellezza del cielo è una minaccia di morte.
non chiedeteci allora di immaginare che sopravviveremo nel futuro almeno come voci: non ci sarà nessuno a capirci, nessuno forse neppure ad ascoltarci.
e allora che grottesco spettacolo tutto questo affannarsi feroce per conquistare la ricchezza di un futuro che non ci sarà, le guerre combattute e minacciate, le gloria puerilmente cercata, il successo a lungo termine.
il termine è qui dietro l’angolo, non vale la pena, credetemi.
Per combinazione prima di leggere il tuo post leggevo il giornale locale che titolava: “Como, mai così pochi bimbi: lavoro e pensioni a rischio” e d’altra parte sullo sviluppo, a rischio per mille motivi ed in ritardo rispetto ai tempi, della grande muraglia verde africana per fermare la desertificazione. Mi sembra di questi tempi di trovarmi dentro un futuro distopico, tipo “La morte di Megalopoli”, con la amara consapevolezza che non si tratta più di distopia. Inutile pure starsi a chiedere con tutti i soldi delle armi mandate in Ucraina quanti problemi si sarebbero potuti risolvere… non è assurdo? Il mondo è arrivato a 10 miliardi di persone, a noi ne mancano ma ci rifiutiamo di farle entrare (o meglio, non siamo capaci di governare i flussi), e prospera la xenofobia. Le aziende dicono che non trovano lavoratori, prima vogliamo che tutti studino fino a diciotto anni e poi ci lamentiamo se il muratore non lo vogliono fare? Dobbiamo fare pace col nostro cervello…
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non c’è muraglia verde africana che tenga contro la desertificazione se le temperature del pianeta si alzano di 4-6 gradi.
vero che la civiltà umana è sopravvissuta anche a temperature maggiori che oggi, ma per periodi limitati, ad un livello di complessità tecnologica della vita quotidiana ben diverso e soprattutto con un numero di abitanti umani del pianeta che erano un decimo di quelli di oggi; e poi erano oscillazioni naturali, ben diverse da un processo irreversibile come quello innescato oggi, destinato ad autoalimentarsi.
sulle assurdità che evidenzi della gestione attuale del mondo da parte delle élites che lo governano, in alcuni luoghi sotto parvenza democratica, sono necessariamente d’accordo con te. per dire: costruiamo F-16 per minacciare guerre, ma poi neppure li usiamo quando le guerre ci sono davvero; solo per fare un ulteriore esempio.
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Buongiorno, ci siamo svegliati allegri eh? 🙂
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eh lo so che bisogna difendersi dall’orrore, quando qualcuno te lo mostra. 🙂
lieto di rivederti, spero tutto bene per te, lassù.
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Tutto bene, lontano dalle assurdità italiane ma purtroppo non da quelle europee. Onestamente anch’io sono molto pessimista per ciò che riguarda il futuro. Ecco, quello che non manca qui è l’acqua.
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🙂 ho appena finito di pranzare in terrazza, volta a sud; faceva caldo e c’era una lucertola che si godeva il solo sul muro. il meteo che prevedeva neve cerca di tenerci buoni. i laghi sono sotto il livello, non hanno avuto piogge sufficienti a riprendersi…
sarà molto grama quest’estate per le campagne.
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