il conflitto tra due libertà: i diritti individuali sono sempre compatibili con quelli sociali? – come ricostruire una sinistra in Italia? 5 – 46

come conciliare gli interessi individuali con gli interessi collettivi?

il post precedente di questa mini-serie si chiudeva con questa domanda.

ha ricevuto una risposta interessante: Secondo me la soluzione è semplice: notare che i diritti civili sono inscindibili dai diritti sociali.

ora la userò per procedere con la riflessione verso mete che per me stesso non sono pre-costituite.

come in una conversazione dialettica socratica, che usa il blog come strumento, anziché le strade di Atene di duemilacinquecento anni fa o quasi.

. . .

vedi, caro amico, il tuo nome significa Dio è forte, nell’ebraico da cui deriva e la tua risposta è coerente col tuo nome.

infatti in pratica equivale a negare che ci sia un problema.

tu mi stai dicendo: è del tutto ovvio che gli interessi individuali e quelli collettivi si possono conciliare fra loro: basta sommarli.

come non essere d’accordo con una soluzione così ovvia? almeno per noi tutti che siamo cresciuti in una civiltà cristiana, che ci insegna che il mondo è guidato da un Dio buono.

io stesso ho risposto a caldo: mi pare di condividerlo completamente, e potrebbe apparire l’uovo di Colombo.

ma è davvero cosi?

. . .

ma mi ero riservato un prossimo sviluppo delle mie riflessioni sul tema, osservando comunque che, se manca la lotta collettiva contro le ingiustizie sociali, la lotta contro le ingiustizie e le discriminazioni che colpiscono gruppi particolari – in se stessa giusta – diventa inevitabilmente una difesa dei diritti dei più ricchi in quei gruppi.

ma, ora che affronto meglio la questione, mi trovo davanti ad una osservazione sconcertante anche per me:

no, la contraddizione è ancora più profonda.

pensare a priori che diritti individuali e diritti collettivi siano pacificamente conciliabili fra loro assomiglia molto non solo alla fede cristiana in un dio buono, ma anche alla fede capitalistica (che ne deriva) che la somma degli interessi individuali corrisponda all’interesse collettivo, anzi ne è soltanto una variante locale ed aggiornata.

eh no, che non è così.

il rapporto tra gli interessi individuali e quelli collettivi è conflittuale in se stesso.

. . .

da un certo punto di vista è facile osservare che gli interessi individuali, almeno alcuni, sono in contrasto con gli interessi collettivi.

ad esempio, l’interesse individuale del capitalista o imprenditore ad aumentare il suo guadagno è in conflitto con l’interesse collettivo di una società bene ordinata che non dovrebbe accettare che la sua ricchezza superi determinati livelli oltre i quali diventa fonte di arbitrio e di oppressione per chi subisce gli effetti dello smisurato potere che essa comporta.

naturalmente c’è chi nega che questo rappresenti un problema, e questa è del resto l’ideologia dominante.

così ammettiamo facilmente come cosa del tutto logica ed ovvia che un mezzo squilibrato come Musk possa lanciare nello spazio, come se fosse suo, automobili elettriche di sua produzione, per farsi pubblicità: basta che abbia i mezzi per farlo.

ma non è difficile capire che il diritto individuale di Musk di fare quello che vuole con i suoi soldi viola il diritto collettivo ad avere sopra la testa uno spazio libero da automobili vaganti in modo incontrollato.

e via dicendo…

per fare un altro esempio per me più vicino e coinvolgente, il diritto individuale di viaggiare in mondi lontani confligge col diritto collettivo che siano evitate le emissioni di gas serra, e via dicendo, appunto…

viviamo in un mondo in cui questa contraddizione è negata, ma il primo passo per liberarsi dal pensiero dominante e dalla visione apologetica del capitalismo e della religione del PIL è di recuperare il senso tradizionale del conflitto tra libertà individuale e collettiva, tra la libertà del singolo e quella di tutti gli altri.

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tutti abbiamo il diritto di essere liberi, no?

ma necessariamente la mia libertà personale incontra un punto dove comincia quella di un altro che ne verrebbe violata.

e in questi casi la decisione su quale sia la libertà prevalente viene affidata ai rapporti di forza sociali tra i due individui e le loro contrapposte libertà.

ma la libertà personale di un singolo dovrebbe necessariamente essere sospesa dove viene a scontrarsi con la libertà di molti altri singoli, in particolare se questa assume la forma di un interesse collettivo.

tuttavia l’analisi realistica della situazione dimostra che anche in questi casi la soluzione del conflitto è affidata ai rapporti sociali di forza.

infatti possono esistere singoli così potenti, prima di tutto economicamente, da riuscire a fare prevalere la loro libertà di uomini più forti sulla somma di migliaia di piccoli uomini deboli, in particolare se questi non riescono a coalizzarsi fra loro.

chi non percepisce questo conflitto tra libertà personale e libertà collettiva è totalmente interno alla logica capitalistica…

. . .

ma sento una tua obiezione possibile, caro amico:

che c’entra tutto questo? tu mi stai chiedendo polemicamente.

non stiamo mica parlando di diritti economici, ma di diritti civili.

– ok, in altri termini mi stai dicendo che esistono diritti individuali buoni che non entrano in conflitto con quelli collettivi.

ma quali sono?

. . .

aveva giusto sottomano un esempio, che non ci è venuto in mente:

pensa che stavamo appunto parlando del diritto indiscutibile di chiunque, anche del mafioso e dello stragista, ad avere in carcere un trattamento umano, volto alla sua rieducazione, come afferma la Costituzione, e il diritto collettivo che però lui non usi questo diritto individuale per organizzare delitti contro la collettività.

proprio qui stanno le radici del conflitto tra le due libertà.

quale diritto prevale? o almeno dovrebbe prevalere?

credo che anche tu concorderesti che il secondo prevale.

infatti non ho notato proteste collettive contro le limitazioni della socialità in carcere di mafiosi pericolosi e le vedo sorgere solo a favore di qualcuno che sostiene idee che vengono considerate simili alle proprie.

io però ritengo che chi peraltro difende in questo caso l’illimitata libertà e i diritti incondizionati del singolo non sia in niente diverso da chi difende il diritto del capitalista o dell’uomo di potere di sfruttare, violentare e perfino uccidere chiunque per i suoi scopi e per la sua libertà d’azione.

lo considero succube, quasi sempre inconsapevole, dei valori e della visione della vita che in Occidente i potenti hanno saputo imporre alle nostre menti,

. . .

ma allora, ce ne sono almeno altri, che non abbiano implicazioni politiche o sociali dirette, dove si possono facilmente conciliare pubblico e privato?

tu stesso nei hai già fatto un esempio nel tuo commento al post precedente.

ma questo post è sicuramente già troppo lungo e quindi rinvio la discussione del punto al prossimo.

. . . . . . . . .

ecco i post precedenti di questa serie:

la destra peggiore. come ricostruire una sinistra in Italia? 1 – 546

lodi dell’Italia presente, mio malgrado. come ricostruire una sinistra in Italia? 2 – 14

liberarsi di Marx, ma non del marxismo, non del tutto. – come ricostruire una sinistra in Italia? 3 – 17

difesa dei diritti individuali e/o di quelli sociali? – come ricostruire una sinistra in Italia? 4 – 42

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7 commenti

  1. Getto la maschera: l’amico “dialettico” sono io :-).

    Posto che sono ovviamente d’accordo sul principio di fondo, per cui il diritto della collettività viene prima del diritto del singolo, trovo tuttavia che esistano alcuni distinguo: il diritto della collettività a restare sana, per esempio, prevale sul diritto del singolo alla vita? Perchè se la risposta è sì, allora ne dovrebbe derivare che, di fronte ad un individuo con una patologia diffusiva, la soluzione corretta potrebbe essere anche quella di sopprimerlo, in modo da preservare la salute della collettività. Possiamo accettare una soluzione del genere? Io non credo.

    Nella mia risposta precedente, poi, ho dato per scontato un aspetto: e cioè, che è proprio come dici tu, ossia che non tutti i diritti individuali sono uguali. Il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo, ad esempio, viene prima del diritto (che potremmo definire collettivo) ad avere una società che rispetti certe regole e che, per esempio, garantisca che ci sia una certa quota di giovani: e quindi, potremmo avere una società che obbliga le donne a far figli, anche se la donna non lo vuole, il che rientra nel suo diritto come individuo.

    Io credo che, alla fine, il vero discrimine sia chi ha il potere di imporre un certo diritto come “prevalente”, e perché. Siamo d’accordo che, al momento, questo potere sia nelle mani di chi detiene il potere economico. Come riappropriarcene? Non lo so, ma credo che continuare a contrapporre, sic et simpliciter, diritti individuali e diritti collettivi non sia la soluzione; semmai, può essere più fecondo contrapporre privilegi e diritti.

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    • non ho fatto il tuo nome (di blog) per una specie di riguardo, ma mi fa piacere che tu ti sia identificato.
      qui metti sul piatto questioni molto importanti, che guidano le mie riflessioni in direzioni in parte diverse da quelle che mi proponevo, ma è sicuramente bene così.
      occorre un post intero per una risposta adeguata, ma comincio a costruirlo da qui, limitandomi, per ora, al punto centrale.

      (quanto alla distinzione tra privilegi e diritti, io sono tentato di dire che i diritti sono quelli sociali condivisi e i privilegi sono tutti i diritti individuali quando vengono esercitati fuori dal quadro dei diritti collettivi e a loro danno).

      esiste, a mio parere, un solo diritto fondamentale individuale che non deve essere limitato mai, in nessun modo e per nessuna emergenza, e sfugge alla distinzione appena fatta, nel senso che non può mai diventare un privilegio; ed è il diritto alla vita, o per essere più chiaro ancora, il diritto al respiro.
      questo diritto lo stato non può sopprimerlo mai; richiamando il vangelo non dive mai darsi il caso che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione (Giovanni, 11, 50).
      da qui derivano due conseguenze fondamentali: l’illegittimità della pena di morte, ma anche della guerra, di ogni guerra, tranne quella direttamente ed inequivocabilmente difensiva, perché nello stato di guerra lo stato impone ai suoi cittadini la pena di morte potenziale, oltretutto contro degli innocenti.

      ogni altro diritto individuale è limitabile, in linea teorica, sia in situazioni di emergenza, sia dove il danno collettivo di una mancata limitazione sia chiaro ed evidente.
      non ho introdotto sinora l’esempio, pure così vicino, delle limitazioni alla libertà di movimento e perfino di cura, imposte nella epidemia di covid e direi perfino dalla epidemia di covid.

      naturalmente sarà sempre oggetto di dibattito politico l’effettiva sussistenza di queste condizioni di emergenza ed il confine esatto nel quale collocare queste limitazioni; l’emergenza o comunque l’utilità pubblica non giustificano automaticamente qualunque limitazione e rimane il diritto di criticare ed anche di opporsi a limitazioni giudicate sproporzionate.

      bisogna peraltro anche ammettere che ci muoviamo in un mondo in cui non esistono certezze né verità assolute, e rimane dunque la possibilità di sbagliare, in un senso o nell’altro.

      però, ad esempio, la catastrofe climatica in corso esige urgenti limitazioni ad ogni azioni che produca una eccessiva produzione individuale di CO2; la proibizione dei SUV , ad esempio, a me pare urgente; così come sarebbe pensabile una specie di tessera annonaria della CO2 che ciascun cittadino può produrre, prevedendo tasse specifiche per chi supera il limite.

      ovviamente la via preferenziale per ottenere questi risultati non è tanto quella della sanzione penale e della costrizione diretta, ma quella della dissuasione con strumenti finanziari.

      .

      ma ecco che introduci il tema ulteriore della natalità; questo riporta proprio all’argomento che intendevo trattare nel post successivo, e dunque rinvio una risposta a questo…

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      • Però introdurre la dissuasione finanziaria non significa favorire una parte piuttosto che un’altra? E ancora: limitare il “consumo” di CO2 non è una soluzione individuale ad un problema collettivo?

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        • dovrebbe essere ovvio che le forme di dissuasione finanziaria vanno calibrate rispetto al reddito.
          così le sanzioni andrebbero fissate rispetto all’imponibile fiscale, in una percentuale del medesimo.
          anche molte pene andrebbero ridefinite in questo modo, sostituendo confische parziali al carcere, per reati meno gravi; sarebbe molto più dissuasivo. vero che favorirebbe gli evasori; ma per costoro andrebbe previsto la confisca del triplo di quanto evaso, e questo basterebbe a diminuirne il numero…
          d’altra parte chi non ha i mezzi, non ha neppure bisogno di essere dissuaso, visto che di fatto lo è già, per via della sua povertà.

          quanto alla CO2, bisognerebbe mettere in evidenza la cosa più taciuta, e cioè che la sua prima e fondamentale causa è l’incremento demografico. ogni essere umano produce circa un chilo di anidride carbonica al giorno semplicemente respirando e senza calcolare nessun’altra attività. sono quasi 400 chili l’anno per 8 miliardi di persone: 3 miliardi di tonnellate di CO2 sui circa 27 miliardi di produzione umana a livello planetario; ma si devono aggiungere anche quelle provocate dall’allevamento di animali e dall’agricoltura, oltre che dal riscaldamento.

          la natura non è politically correct.

          però confesso che non capisco bene la domanda: il problema collettivo non nasce dalla somma dei comportamenti individuali?
          è possibile limitare la produzione suicida di CO2 senza cambiare anche i comportamenti individuali?

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          • Però la tua “soluzione” funziona soltanto in un sistema capitalistico, e finisce non solo per giustificare il sistema stesso (che non è compatibile con la sopravvivenza del pianeta), ma anche per far ricadere sui singoli colpe che sono sistemiche, e quindi per ridurre al “dovere individuale” quello che invece è un “problema collettivo”. Mi spiego con un esempio: se la plastica è inquinante, la colpa è di chi non la ricicla (e la risposta è “anche”, eh, non voglio negarlo) o di chi la produce?

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            • non ho la pretesa di dare soluzioni; meglio chiarirlo, anche se giustamente hai messo la parola fra virgolette.

              però certamente le mie riflessioni si riferiscono al mondo reale in cui viviamo, che per la verità a me non pare nemmeno più capitalistico, ma piuttosto neo-feudale.
              circa il 10% del bilancio degli stati attualmente viene versato alla finanza sotto forma di interessi per il debito pubblico; sono i pedaggi che riscuotono i nuovi feudatari da noi servi della gleba aggiornati. e la sinistra che si batte continuamente per lo sviluppo, da finanziare attraverso l’allargamento del debito, lavora in realtà come servo idiota (oppure pagato) del potere che dice di volere contrastare.
              Marx ha concepito il socialismo come un concorrente più efficace del capitalismo nella sottomissione del mondo ai bisogni umani, di cui ha teorizzato il soddisfacimento illimitato.
              ma la lotta per una migliore distribuzione dei beni del pianeta passa oggi attraverso una riduzione (pacifica) della popolazione e una riduzione dei consumi innaturali e addirittura dannosi e distorsivi sia dell’ambiente sia dell’organismo umano.
              oggi è socialista chi lavora a favore di una riduzione della ricchezza, che va meglio distribuita, non chi continua a lavorare per aumentarla ancora.
              e del resto il sistema crollerà appena non sarà più stabilmente capace d garantire l’aumento della ricchezza e i crediti diventeranno inesigibili.

              come vedi, mi occupo del mondo reale e non di qualche mondo ideale dove è realizzata la giustizia perfetta.- il mondo è imperfetto, oltre che impreciso e non completamente prevedibile. forse tu preferiresti che io dettassi delle regole per un mondo immaginario e romanzesco, ma non fa per me.

              quanto alla tua obiezione concreta, mi permetto di dirti che è inconsistente: la plastica si produce solo perché gli uomini la consumano e perché la consumino. se nessuno consumasse la plastica, la sua produzione finirebbe di colpo.
              ma naturalmente questa scelta oggi è praticamente impossibile; solo pochi privilegiati possono ridurre il consumo di plastica producendosi da soli il cibo che la grande massa compera al super-mercato.
              quindi i singoli non possono essere colpevolizzati, se consumano la plastica.
              però il consumo della plastica può essere limitato dallo stato con incentivi economici adeguati, come avviene in Germania, dove i supermercati sono obbligati ad avere macchine dove il consumatore può depositare ad esempio le bottiglie vuote, venendone ricompensato, oppure stati che se ne fregano completamente come l’Italia.
              credo che tu mi abbia interpretato male: la colpa di chi non ricicla la plastica non è del consumatore, che da solo non può farlo, ma dello stato, se non lo incentiva a farlo.

              poi questa non è certamente LA SOLUZIONE del problema; ma forse è il caso di smettere di cercare qualche mitica soluzione globale e di cercare invece delle piccole soluzioni concretamente praticabili, ma non per questo meno radicali, e anche rivoluzionare di modi di vivere e di pensare.
              però se tu invece hai una soluzione globale, la ascolterei volentieri, naturalmente… 😉

              non so è il caso di precisarlo: ma io non sono disposto ad aspettare la fine del sistema capitalistico e la rivoluzione globale, prima di fare qualcosa per salvare il pianeta; non abbiamo più tempo, anzi probabilmente il pianeta già non è più salvabile e si possono solo cercare soluzioni parziali per farlo morire nel modo meno doloroso possibile (e noi esseri umani con lui per primi, naturalmente).

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