il miracolo della sinagoga, a Padova. 1a parte – autobiografismi post covid 6 – 48

a questa gita tematica alla Padova ebraica, organizzata dal comune di Muscoline, mi ero iscritto qualche giorno fa, passando in quel paese appena alle spalle del Garda e di Salò in una uscita semi-turistica, dato che non lo conoscevo, e trovando per caso un manifesto che la pubblicizzava, nel piazzale di fronte e chiesa e municipio.

piccolo comune, con meno di 3mila abitanti, chiesona solenne e abbastanza comune, salvo che per un piccolo gioiellino scultoreo nascosto, un Cristo deposto velato da fare concorrenza a Napoli.

la visita mi ha interessato subito; ho preso contatto con l’ufficio comunale, accolto con gentilezza e cordialità, e mi sono preparato a partire, qualche giorno dopo.

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subentrano però, tre giorni della partenza dei terribili dolori generalizzati alle ossa, o meglio alle articolazioni: mi faceva male perfino piegare le dita, ma soprattutto la schiena; l’età mia è quella che è, e da bravo malato immaginario o ipocondriaco, comincio a pensare freddamente all’artrite reumatoide di mia madre e dei suoi fratelli, al dolore al braccio di mio padre, sintomo della malattia che lo, portò alla morte abbastanza giovane, alla cugina sulla sedia a rotelle per il mal di schiena, e via fantasticando nel mio registro cupo.

in realtà tutto è cominciato dopo la sera gelidissima trascorsa all’aperto per macellare il maialino; ne ho ampiamente parlato nell’ultimo post di questo diario post-covid:

una giornata senza blog. autobiografismi post covid 5 – 40

ma forse non avevo insistito abbastanza sul gran gelo in cui avevo passato le ore, abbastanza indifferente perché finora non mi era mai capitato che mi lasciasse conseguenze più lunghe dopo essermi rapidamente riscaldato tornando in casa.

sta di fatto che muovermi era diventato una pena, salire le scale potevo solo aggrappandomi qua e là e aiutandomi con le braccia, tra dolori acuti: insomma il ritratto del vecchio malconcio.

nel breve procedere dei giorni vedo qualche piccolo miglioramento, ma troppo lento e la mattina di ieri, al momento di partire, sono perfino in dubbio di restare a casa; del resto avrei la bella compagnia di figlio e nipoti.

comunque, come avvisare, a questo punto?

ho solo il riferimento del comune, chiaramente deserto alle sei di mattina della domenica, e magari mi faccio aspettare: che esordio, che presentazione, la prima volta!

quindi mi decido, e parto, confidando.

. . .

ma già solo salire sul pullman, quando arriva, mi costringe di nuovo a tirarmi su, in pratica, con le braccia, per non gravare sulle anche che urlano di dolore.

bella storia, penso fra me, intanto che corriamo verso Padova nelle prime luci dell’alba: e se mi toccherà restarmene seduto da qualche parte, a un certo punto? e intanto pisolo un po’.

scendere dal bus non è un problema, per fortuna; non saprei spiegare perché, ma i dolori sono insopportabili soltanto in salita e quindi, zoppicando un poco, riesco comunque a fare in modo che nessuno si accorga del problema che ho.

seguo il gruppo, fotografo anche.

. . .

Padova è una città meravigliosa, che soffre del confronto con Venezia, ma gareggia in bellezza ingiustamente trascurata con le migliori città italiane; e questo aiuta un poco.

le foto fatte col cellulare sarebbe bello, ma lento, pubblicarle tutte qui e consumerebbero molta capienza del blog; preferisco montare rapidamente una sequenza su Youtube e linkarvela, se avete pazienza di ritornare sul blog.

a Padova le piazze si aprono a sorpresa una dietro l’altra, a cominciare dal Prato della Valle, dove ha parcheggiato il pullman, via via a quelle gemelle delle Erbe e della Frutta, attorno al Palazzo della Ragione, sui due lati, e poi a quella dei Signori, e ognuna è una bellezza.

passiamo anche davanti all’Università e spedisco una foto a casa alla figlia che ci ha studiato.

i dolori non smettono; ogni tanto, se facciamo una sosta (poche), cerco un paracarro su cui appoggiarmi un poco.

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ma eccoci oramai arrivati al vecchio ghetto ebraico.

una volta era chiuso e cintato con porte che venivano chiuse la sera, per il coprifuoco imposto ai giudei; e sentirò anche la storia di uno che si trovò a non rispettarlo, e venne ammazzato.

fu Napoleone a decidere che questa recinzione venisse abbattuta e ad imporre una migliore tolleranza della minoranza ebraica.

l’idea del ghetto era nata a Venezia nel 1516, anche a seguito di una ondata di immigrazione di ebrei ashkenaziti dall’Europa centrale (il loro nome deriva direttamente da quello della Germania, in ebraico): fu costruito in un’area destinata a discarica, chiamata el gèt, il luogo dove si getta; ma questi germanofoni facevano fatica a pronunciare la parola come si deve, e la tedeschizzavano in ghét, da cui il ghetto, diventato poi concetto universale.

e qualche anno dopo realizzato anche a Padova: reclusione, ma anche difesa di un gruppo accolto con ostilità.

la comunità ebraica di Padova, tuttavia, nella zona a lei riservata, costruiva le sue case, che diventavano altissime, rispetto al resto della città, per mancanza di spazio, così da determinare un sovraffollamento che rendeva terribilmente letali le pandemie periodiche; in quella attorno al 1630 ne morì.

e c’erano due sinagoghe.

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vistiamo la prima, ora inserita in un museo della cultura ebraica, conservatasi nella sua struttura architettonica seicentesca, un pochino classicheggiante, tanto da apparire poco diversa in una specie di suo tabernacolo da qualche solenne altare cattolico, se non fosse per le scritte.

qui ci sediamo ad ascoltare la signora quasi anziana che illustra i riti e le convenzioni, i veri e propri tabù che caratterizzano la sua religione.

alcuni sono già noti, ma fanno un effetto diverso, ascoltati dalla bocca di una fervente credente: il rispetto del sabato, il culto sacrale della torah come oggetto fisico, del resto trasferito in forme molto simili alla venerazione islamica del Corano, le particolarità del matrimonio, come contratto economico, e la posizione della donna, apparentemente subordinata, ma in realtà potente più del marito.

non a caso solo gli uomini, qui, sono tenuti a coprirsi la testa, in segno di umiltà; le donne non sono tenute a portare il velo, visto che la loro posizione è per definizione modesta.

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qualche informazione marginale che sfugge quasi alla guida arricchisce di prospettive e di ipotesi i miei studi sulle origini del cristianesimo; faccio anche qualche domanda, da cui ottengo risposte vaghe, e in un caso u deciso non so.

ma quando lei dice che nella tradizione ebraica i rav, i maestri, devono essere sposati e avere figli, e che mio maestro si dice rabbi, e questa era la denominazione ufficiale dei dottori della legge in Palestina, come non ricordarsi che in questo modo, appunto, viene definito il Gesù dei vangeli?

ma alla mia domanda risponde che a volte viene usato anche come titolo onorifico generico, e quindi l’indizio che credevo di avere trovato, sfuma un poco.

però ditemi voi come si può pensare ad un messia ebraico che non sia sposato, se la torah dice “non è bene che l’uomo sia solo” (Genesi 2,18) e il precetto quasi più importante della religione ebraica è Siate fecondi e moltiplicatevi, e il matrimonio, che è la santificazione della vita per eccellenza, serve principalmente ad adempiervi.

e quando la signora parla del divorzio ebraico e io le chiedo se di fatto viene a coincidere col ripudio, perché solo all’uomo è consentito di rompere il matrimonio, è qui che la imbarazzo; ma il contratto di matrimonio prevede esplicitamente questa eventualità e la regolamenta fin dall’inizio.

e resta da capire come dall’ebraismo che lo ammetteva, sia derivato il cristianesimo che lo proibisce…

. . .

ma tutto questo è abbastanza secondario rispetto a quel che verifico nel momento i cui finiscono le spiegazioni, di cui ho dato soltanto un pallido resoconto, ed io mi alzo.

perché i dolori sono praticamente scomparsi, ridotti ad un vago sentore, e da questo momento in poi posso camminare spedito come al mio solito senza nessun tipo di difficoltà.

miracolo ebraico nella sinagoga?

un’amica di blog ha fatto un’ipotesi più bella e anche più convincente, rispondendo a questo mio commento: “racconterò il mio, domani”, che nel frattempo è diventato un ieri, “a breve nel blog principale: partito con un senso di sfida ai dolori lancinanti alla schiena, e quasi pentito di averlo fatto, poi una sosta nella sinagoga di Padova ha compiuto il miracolo di farli quasi sparire e il resto della giornata è stato molto piacevole”.

È successo quello che speravo, la mia sensazione è che parte dei tuoi dolori sono somatizzazioni. Il tuo cervello ha bisogno di stimoli diversi e il tuo corpo ha bisogno di essere in movimento. Chissà se ci sento bene…

– credo anche io che la spiegazione di questo mio attacco di dolori che per qualche giorno mi ha reso penoso ogni movimento, anche piccolo, sia in parte dovuta al freddo umido, in parte psicosomatica: ma i due fattori convergono nell’indicarne la causa nell’uccisione del maialino, alla quale in effetti è seguito immediatamente…

la mia terapia sta nel movimento, ma non mi basta il movimento operoso nell’orto, ci voleva anche il movimento psico-fisico verso mondi nuovi.

sì, per me il viaggiare è una terapia esistenziale.

. . .

qui, come avete appena letto, io parlo di questa visita alla sinagoga di Padova come di un vero e proprio viaggio verso mondi nuovi.

ed è davvero così: l’ebraismo è stato l’esotico di un mondo completamente diverso dal nostro, ma incastonato in esso, e chiuso e rifiutato, ma per me curioso e affascinante, proprio per la sua diversità.

. . .

ma questo post è già diventato così lungo ed illeggibile che penso che sia meglio che io rinvii il racconto del secondo e vero miracolo della sinagoga ad una seconda parte, da pubblicare domani, assieme al video, forse.

a presto a chi avrà la forza di resistere anche a una seconda puntata, eh?

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7 commenti

  1. A Padova sono stato diverse volte ma il quartiere ebreo non l’ho visitato. Buono a sapersi! Ma tu che combini? Altro che somatizzazione, hai preso un’infreddatura con i fiocchi , e occhio a coprirti meglio la prossima volta! Mio padre ci stava lasciando le penne per una cosa del genere…

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    • no, dai, cosa mi dici? come si potrebbe schiattare soltanto per un maldischiena… (tu mi vuoi male, ammettilo, ahaha).

      non è proprio un quartiere, solo un paio di strade, quasi anonime, adesso.

      e un cimitero, davvero interessante, ma da tutt’altra parte…

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      • Beh in effetti a lui era venuta una ischemia, aveva fatto un lavoro pesante al freddo (anche se ai lavori pesanti era abituato…). Forse il freddo nemmeno c’entrava molto, o forse sì…
        a Padova devo tornare, sono passato sempre di corsa, o per lavoro, ma mai con la calma dovuta. Forse la cosa che ho visto di più è stata la Basilica del Santo.

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        • non so che dire; da bravo sudtirolese di adozione ho sempre pensato che il freddo facesse bene, e perfino mi piace. del resto sono sopravvissuto senza danni in Germania anche ai meno 20. è sempre stato il caldo che a me ha fatto danno, soprattutto se umido.
          ma può essere che il procedere degli anni renda più fragili e cambi le regole…

          anche il resto di Padova merita, pure se la basilica del Santo è strepitosa; ma prima di tutto è proprio attraente la città come corpo vivo.

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  2. Alla prossima. Approfitto per ripetere che Padova apre linearmente le sue bellezza una appresso all’altra. E così dalla sinagoga hai camminato come un maratoneta, che bello!
    Se non si fosse intuito, lo dico chiaramente, conosco un po’ Padova, la trovo molto bella e accogliente, tra l’altro mi ci affezionai, ci andavo spesso. Venezia per me resta un gioiello!
    Aspetto la seconda parte ed il video con immagini e musiche fantastiche…

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