la partenza (e il primo arrivo) di un viaggiatore consumista povero – autobiografismi post covid 13 – 115

sono le 5 di mattina quando suona la sveglia, interrompendo un sogno che non so più, e per un attimo sorge la tentazione di spegnerla e di girarmi dall’altra parte.

poi mi rendo conto perché mi sta svegliando quasi nel cuore della notte, mi stropiccio e mi alzo; non ho molto tempo per prepararmi e per la colazione.

chissà perché si viaggia: credo per carenza di adrenalina, soprattutto.

e, giusto per procurarmene un poca, la prima operazione da fare è come risolvere il problema di cui mi sono reso conto ieri sera soltanto, e cioè che il netbook che mi porterò dietro per scrivere queste righe ed altre che seguiranno, è più grande della mia valigetta beautycase dove dovrebbe venire rinchiuso…

e non chiedetemi perché aspetto la mattina della partenza per fare questa operazione, devo pure procurarmi del panico prima di partire.

in ogni caso il risultato è un compromesso, che spero potrà reggere ai feroci controlli Ryanair: il netbook per fortuna ci sta nel senso della larghezza, e sporge soltanto di un centimetro o due in quello della lunghezza, il che non impedisce una chiusura quasi completa della cerniera, e inoltre sarà bagaglio a mano, e quindi sotto controllo.

. . .

ma finalmente, dopo una rapida colazione, eccomi in giusta partenza secondo la tempistica prefissata; ho perfino un lieve anticipo di qualche minuto quando arrivo alla stazione del metrò di Brescia allo sbocco della statale dalla Valtrompia alla Val Sabbia, e il treno arriva praticamente subito.

devo andare alla stazione dell’autobus per l’aeroporto di Orio al Serio, e ci arrivo in tempo per fare il biglietto con tutts calma, direi; peccato soltanto che la biglietteria è chiusa anche dopo le sei di mattina.

che sia all’altra stazione degli autobus? Brescia ha questa bella fortuna di averne due, attorno alla stazione ferroviaria, a distanza di 5 minuti l’una dall’altra.

ma la biglietteria è chiusa anche lì.

perché non ho fatto il biglietto online in anticipo? perché sono imbranato col telefonino, ecco perché, e farlo col pc non serve a nulla…

chiedo in giro e mi rimandano alla stazione di prima; cavoli, ma oramai mancano solo 10 minuti alla partenza…

per fortuna il bus arriva un po’ in anticipo e l’autista mi manda all’edicola a fare il biglietto, ma non corra, mi dice, che l’aspetto.

però già questo episodio è stato sufficiente per far salire la mia ansia a mille. e questa infatti viene premiata quando arrivo all’aeroporto, un poco perduto, per mancanza di allenamento, e vado finalmente a fare il check-in.

nessun problema, ma perché non l’ha fatto online? lo sa che adesso deve pagare 60 euro per farlo allo sportello? mi chiede la gentile addetta.

– non ne avevo voglia, sulla mail c’era scritto che offrite anche la possibilità di farlo online, non avevo capito che fosse un obbligo e neppure una scelta preferenziale. – deve pagare con la carta di credito, fa lei.

mi sembra coerente con l’obbligo di diventare esseri che agiscono e pagano soltanto nel virtuale.

del resto, 20 euro di biglietto erano scandalosamente pochi, da qualche parte doveva esserci l’inghippo per fregare qualche vecchio poco aggiornato come me; e in fondo 80 euro sono un prezzo più giusto; non mi arrabbio neppure troppo, rientrerò un giorno prima, per rispettare il budget.

il volo, nonostante un certa foschia, lascia intravvedere panorami splendidi: le Alpi sullo sfondo a coronare l’orizzonte settentrionale, che ci lasciamo via alle spalle, mentre compaiono gli Appennini, parzialmente segnati dalla neve, e poi ecco il golfo delLa Spezia e, stupende le Alpi Apuane.

poi, mentre confusamente si indovinano l’isola d’Elba e la Corsica, si costeggia la costa tirrenica, dall’alto, fino ad Orbetello.

avanzando ancora, non resta che il mare sotto di noi, chiazzato da nuvole basse, e non resta che farsi un sonnellino e, al risveglio, contemplare un paesaggio stranissimo, dove il verde acceso dei prati si alterna al bianco estesissimo di strutture che sembrano serre, e l’azzurro più in fondo nella foschia potrebbe essere il mare.

immagini che dovrebbero rasserenare, ma il malumore cresce all’arrivo, anzi diventa angoscia all’uscita…

la richiesta del taxi per i 7 km per la città è di 15 euro; avrei accettato senza l’incidente del check-in, ma devo controllare le spese, almeno oggi: del resto da qualche parte internet annunciava che c’erano degli autobus, a prezzi davvero modici.

ma non se ne vede traccia alcuna, intanto che i viaggiatori – che avevano completamente riempito l’aereo – si riversano fuori, in massa adeguata, e in un modo o nell’altro, taxi oppure parenti ed amici, si dileguano.

ecco che i taxi sono via via spariti tutti, l’aeroporto in breve è diventato un deserto e il piazzale con le colonnine che annunciano gli autobus fra un’ora o due hanno qualcosa di spettrale.

rientro, per cercare lumi, ma invano; e anche fuori la biglietteria degli autobus in fondo al piazzale è irrimediabilmente chiusa, anche qui.

siamo rimasti soltanto io e un paio di extra-comunitari, io nel frattempo ho anche dimenticato il cellulare sulla panchina, ma l’immigrato mi avverte subito, e il resto del viaggio è salvo.

ma intanto il cellulare assolutamente non riesce a collegarsi ad internet. ma come facevamo a cavarcela, quando internet non esisteva?

l’impossibilità di consultare i siti necessari per darmi qualche prospettiva mi riduce alla disperazione.

per fortuna uno dei tre rimasti in tutto che siamo, che aspetta paziente sotto l’insegna, mi mostra che l’autobus arriverà fra sette minuti, ed è oramai quasi mezzogiorno.

vuole fare il biglietto in autobus?, mi chiede l’autista, e mi aspetto che aggiunga: se lo scordi.

e invece: ecco qua, fa un euro e 90.

come mi rilasso, sul sedile davanti, mentre gli altri due viaggiatori in tutto si accomodano dietro.

ma no, che non è vero che si viaggia per cercare adrenalina, almeno non tanta così: il mio viaggio comincia adesso, come mi sento libero, come mi sento rilassato, finalmente…

. . .

l’autista gentile mi scarica alla fermata, dopo avermi spiegato che la corsa per la città successiva, dove ho prenotato per la notte, sarà in questo stesso punto alle 5 e 20 e stia bene attento, perché è l’ultima corsa.

due passi e sono in un parco bellissimo; le palme rigogliose mi dicono che ho cambiato, se non proprio pianeta, almeno gli scenari del pianeta.

da un lato, verso il mare, le ondulazione del terreno sono ampiamente ricoperte da quel bianco che restava ignoto visto dall’altro, ma che ora si rivela un sistema estesissimo di reti antigrandine; dall’altro, i campanili barocchi di alcune chiese indirizzano chiaramente verso la parte monumentale della città.

siccome oramai è passato mezzogiorno, ho pensato di sfamarmi con un kebab, sempre per recuperare sulle spese pazze della giornata, iniziata così male dal punto di vista finanziario.

in fondo ogni viaggiatore è un consumista che dovrebbe rendersi conto di attentare al pianeta, con la sua mania, ma ci sono anche i consumisti viaggianti poveri e pitocchi come me.

le strade un poco diroccate hanno il fascino tipico di questa regione e un certo abbandono che esprimono è riscattato dalla purezza del cielo.

fotografare mi riempie di gioia: la gioia è il riflesso della bellezza, o forse la bellezza è il riflesso della gioia.

. . .

intanto arrivo alla piazzetta sotto il Castello Aragonese.

un vecchio che sta riempiendo una tanica alla triplice fontanina mi fa capire che è inutile procurarsi dell’acqua minerale, mentre l’assenza di pizzerie o altro locale per mangiare aperto, mi induce a ritornare ad un negozietto di specialità gastronomiche che pubblicizzava una mozzarella locale.

mi dia un panino e me lo taglia, per favore…? – lo vuole con l’origano e l’olio? – ma certamente, grazie.

e che bel sorriso hanno le donne da queste parti, non si vedono le musonerie prealpine.

e quanto è incredibilmente contenuto il presso di questo pranzo improvvisato, di cibo tipico del posto.

davanti a quel castello c’è un comodo piazzale, l’acqua sazia la sete, le nuvole passano alte disegnando ghirigori celesti di risulta che spiccano meravigliosamente contro il colore ocra delle muraglie.

che meraviglia essere di nuovo in giro a fotografare, ad esplorare, a registrare.

davvero pare che la vita non possa avere altro scopo.

. . .

ed eccomi mentre mi aggiro fra le tre principali chiese barocche della città, ricostruite dopo il tremendo terremoto di fine Seicento, mi pare.

questa, fra l’altro è anche la patria di Gesualdo Bufalino; ecco infatti la biblioteca intitolata a lui, dentro un enorme bellissimo chiostro.

sarà forse il caso di ricordare che la scelta di questo esordio del mio viaggio, che avrà tutt’altri sviluppi, è anche dovuto ai bellissimi post che ha dedicato a luoghi non troppo lontani da qui il blogger chiedoaisassichenomevogliono, che mi ha incuriosito con le sue rievocazioni e anche con le sue fotografie.

infatti vi è come un sapore di solitudine e di abbandono alla decadenza in molti scorsi di queste strade e capisco che la sua filosofia di vita della rinuncia e della sconfitta è una elegiaca riproposizione dello spirito di questa gente, e perfino di queste case.

dicendosi nessuno, lo scrittore del blog dà la voce a quello che gli acciottolati, gli intonaci scrostati e le vecchie porte dicono col loro silenzio.

. . .

sale il pomeriggio, intanto, e, non più giovanotto, mi stendo su una marmorea panchina sotto la facciata della più grande chiesa barocca.

mi restano strade e scorci da esplorare, quando mi riprendo dal sonnellino benefico.

sono un po’ affaticato quando mi ricovero di nuovo nel verdissimo parco dal quale è iniziata questa mia visita; ma questo è un viaggio che deve accettare i ritmi lenti della consapevolezza; non si possono limitare le ansie e i desideri, senza imparare anche a viaggiare senza fretta.

e lasciamo che l’autobus arrivi e si parta per la prossima tappa, il capoluogo di provincia, al quale conduce una strada che a tornanti risale il costone alle spalle del primo centro, aprendo uno scorcio quasi fiabesco della vecchia città vista dall’alto, con i suoi campanili inondati di sole che emergono dalla bruma del tramonto.

ma è un attimo, e non ho la prontezza di scattare lka foto capolavoro, che rimane soltanto mentale.

. . .

il capoluogo al quale arrivo in una mezzora è molto più esteso, confuso, anonimo di una modernità caotica e convulsa, che l’autobus attraversa lentamente.

per fortuna il cellulare, acceso e spento più volte, a ricominciato a funzionare e a mostrarmi la map della città e mi faccio lasciare dall’autista vicino alla stazione, cioè, come risulterà, ad un chilometro e mezzo dalla medesima, e poi c’è solo da seguire le indicazioni del navigatore, che mi conduce passo passo, per un percorso peraltro pensato per le automobili.

ci vuole almeno una mezzora a seguire i ghirigori dei sensi unici, mentre mi riappare la benedetta ansia e un senspo do inquietudine: troverò aperto il luogo che deve ospitarmi per la notte?

e infatti, quando arrivo davanti all’insegna spenta dell’ostello prenotato e pagato, già mi immagino di essere stato frodato, perché nessuno risponde al numero 37; me la sentivo che non poteva andare così liscia.

ma dallo spazio a fianco, al 35, che mi pare fosse indicato come indirizzo della prenotazione, e non ha insegna alcuna, si sentono delle voci, e suono allora anche lì.

mi aprono, per fortuna, ma qui comincia la fase più straordinaria della giornata, così incredibile che farà pensare chi arriverà fin qui ad una scatenata fantasia romanzesca di me che scrivo e non ho invece proprio nessuna capacità ideativa di questi tipo.

. . .

il quaranta-cinquantenne, che mi fa entrare in una specie di soggiorno, ha un accento straniero.

non pare abbia alcuna memoria del fatto che ho prenotato una camera da lui, ma consultando un quadernino scritto a mano, trova la conferma.

parliamo un poco e non ci vuole niente a scoprire che è russo.

russo, capite?

ma da questo momento una serie successiva di avvenimenti, nell’ostello più pazzo della mia vita di viaggiatore consumista povero, che dura fino al momento nel quale mi congedo questo post, all’una di notte, sfravolto di sonno e senza riuscire a finirlo del tutto

e forse non basterebbe davvero un romanzo per raccontarle tutte.

quindi rinvio il resto del post a domani (forse).

. . .

intanto è aperto un concorso a premi per chi scoprirà per primo qual’è il paese dove sono arrivato.

dovesse servire un aiutino, ecco una foto della merenda del pomeriggio, fatta sempre su una panchina…

a…?

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8 commenti

  1. Ammappete oh tò va so arance ! Ma non sei in Calabria …e no …Giò ci parla sempre della Sicilia !
    L’isola più vicina al continente eppure più che mai Isola …
    Magnifico post Mauro …Il viaggio promette bene senza fare troppo il pitocchio, prova …
    Stamattina farai una colazione leccarti i baffi !
    Buona continuazione ,alla prossima puntata,ciao

    Piace a 1 persona

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