Noto, la bomboniera – autobiografismi post covid 17 – 129

sull’autobus per Noto faccio una rapida conoscenza con un paio di quasi coetanei della provincia di Treviso, praticamente conterranei, che però preferiscono ovviamente chiacchierare con una universitaria del posto che è una fonte di informazioni preziose sulla città, dove studia: per loro, ma anche per me, che comunque sento quello che dice, anche se non è rivolto a me: e sono osservazioni sui trasporti locali, sulla vita universitaria, sul carattere della città.

ma come, bortocal, allora, secondo te, le città hanno un carattere, come le persone?

certamente: ho impiegato decenni a liberarmi della nefasta influenza del marxismo ortodosso instillatomi da un grande docente al liceo e dalla negazione netta e dogmatica del ruolo di queste effimere sovrastrutture (secondo lui) sulla storia; nella nuova religione rivelata da Marx solo la struttura determinava la storia e pensare ad ogni altro fattore era da considerare come una forma di superstizione o fede nell’oroscopo.

e invece, non solo i popoli, ma anche le città, e perfino i loro diversi quartieri in quelle più grandi, hanno ciascuno una loro individualità, data da alcuni fattori incomprensibili che risultano dai loro modi di comportarsi e di pensare, e sono questi che spesso determinano la storia, e ad esempio le guerre, ben più che la pura economia.

quindi vado, in questo viaggio, a cercare di capire il carattere di Noto, come ho cercato di capire quelli di Maxim, Rosalie e Ghassèm, sapendo bene però che in questo campo non ci sono certezze.

. . .

sono ore in cui mi capita una breve discussione via whatsapp con una giovane universitaria laureatasi in filosofia, che si dichiara delusa, perché ha scoperto, dopo tre anni di studio della disciplina, che questa non è stata capace di dare delle risposte alle sue domande esistenziali.

e a me è capitato di dirle che, come lo scopo del viaggiare è il viaggiare stesso, così lo scopo della filosofia, che si pone delle domande, non è di dare delle risposte, ma appunto di porre delle domande.

la vera filosofia non costruisce certezze, le distrugge, tutte, senza distinzione, e ci costringe a vivere senza paracadute, ma anche senza l’arroganza della presunzione di sapere.

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così io non dirò di avere capito il carattere di Noto, però posso cercare di raccontare le mie impressioni sul tema.

che Noto è bellissima e barocca è noto, se mi si lascia passare un gioco di parole troppo banale.

ma la vera scoperta della mia breve visita della prima volta è che questo barocco di Noto non è quasi affatto barocco, ma piuttosto razionalista e direi perfino teistico.

ma per motivare queste strane affermazioni devo prima di tutto descrivere come ci si arriva e come è.

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dalla stazione degli autobus un piazzale ampio, o meglio enorme, che si può attraversare diagonalmente (seguendo la studentessa universitaria di cui sopra e la coppia dei due veneti), e si arriva ad un viale alberato, regolare e bellissimo, che conduce ad una porta monumentale.

il viale continua senza interruzione trasformandosi nella via principale di Noto, completamente rettilinea sulla quale si affacciano in successione varie chiese e palazzi, il teatro, il municipio.

alcuni di questi edifici sono frutto di interventi ottocenteschi, ma straordinariamente coerenti con l’impianto architettonico successivo.

le strade laterali si innestano perpendicolarmente sui due lati di questa via principale: quelle a sud sono proiettate verso il mare, che si intravvede, lontano qualche chilometro; quelle sul lato opposto risalgono con un lieve pendio la collina, in cima alla quale stanno gli ultimi edifici, e in particolare l’università, come ho saputo, indovinate da chi.

non è del tutto vero, dunque, quello che scrivo a casa: finalmente in una città pianeggiante, perché neppure Noto lo è, anche se pianeggiante è il suo corso principale.

ma il pianeggiante è la cifra stilistica di questa città pacata ed aliena dalle esagerazioni, anche dove deve concedere qualche salita.

la sua monumentalità è potente, ma non grandiosa; incute rispetto per il senso di equilibrio, non per la minaccia latente delle dimensioni.

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e qualcosa di simile si registra anche nella struttura dei singoli edifici.

Ragusa e Modica sono città verticali, arrampicate come capre bizzarre su pendii impossibili, che costringono i vicoli a fantasiose peripezie per portare alla meta, e quindi anche i loro edifici sono proiezioni verticali di questo modo di concepire l’esistenza.

Noto ti chiede di raggiungere la meta per la via più logica e breve, e i suoi edifici hanno una dimensione più orizzontale.

non si negano la comprensione delle bizzarrie dell’esistenza, ma non se ne fanno travolgere; le usano, trasformandole in decorazioni e volute, per non rendere troppo prevedibile e noioso l’edificio, ma trasmettono l’idea che la vita può essere capita.

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con questa sensazione passeggio per la città e poi devio dalle vie principali, cercando invano la sbavatura che smentisce questa interpretazione forse troppo originale, ma ne trovo una sola: un orrendo edificio moderno, una specie di grattacielo mancato, che deforma la veduta verso il mare.

ma è chiaro che questo sfregio non può essere attribuito come colpa a chi ha ricostruito questa città come monumento alla ragionevolezza, ma alla speculazione irragionevole della modernità avida, incapace perfino di auto-regolarsi, in modo suicida.

solo alcune presenze interne alle chiese gridano uno strazio, che le pietre disconoscono: e sono le statue coloratissime di questa tradizione scultorea locale, che le fanno assomigliare a pupi fuggiti dal teatrino dei burattini, per venire a sdraiarsi come cadaveri scomposti di Cristo o come Madonne che sbracciano la loro disperazione; oppure una via crucis sentitissima.

è evidente il legame di queste raffigurazioni con la tragedia del terremoto, che ha colpito anche qui, ma subito un lampo mi attraversa la mente.

se soltanto lo scultore, con un suo fondo popolare, ha potuto dare voce alla tragedia dell’esistenza, mentre il più paludato architetto doveva smentire ogni visione tragica della vita, allora la cultura del luogo è fondata sulla ipocrisia.

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non so spiegarvi perché, ma quando arrivo alla stazione degli autobus ne trovo la conferma in una lunga attesa imprecisata, dato che non ci sono orari esposti, e, mi si dice, i bus possono arrivare oppure no (e mi pare di essere tornato in Polinesia, per questo).

e si capisce che tutto questo avviene a beneficio dei tassisti, uno dei quali è anche simpatico; è un quasi coetaneo che mi siede accanto, per chiacchierare, mentre aspetto a tempo indefinito, e alla fine mi dice, quasi sottovoce, che bastano 100 euro per arrivare a Siracusa in tempo…

e allora capisco, proprio per questo, che Noto è bella e appunto falsa come una bomboniera e si rinchiude tra porte elegantissime per nascondere la sua sublime insincerità.

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ma eccomi oramai salito sull’autobus, e bastano quattro euro per raggiungere Siracusa.

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4 commenti

  1. Una chiave di lettura nuova che colpisce non proprio in bene . Io colgo l’occasione per rivederne la bellezza,altro è viverci . Il tuo articolo si legge tutto d’un fiato !

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    • grazie dell’apprezzamento!

      purtroppo il mio non è un reportage turistico su Noto, che esigerebbe ben altre fotografie, per illustrane le bellezze.
      io mi sono sforzato di approfondire il significato di questa bellezza, senza nulla torglierle.

      il problema di fondo rimane quello che colse Oscar Wilde, cioè il rapporto fra arte e menzogna, ma se l’arte è quell’indieme di gesti che ricerca e produce la bellezza, allora anche la bellezza è una forma di menzogna.

      si potrebbe quasi dire che la menzogna, quando riesce a non farsi scoprire, assume spesso l’aspetto della bellezza.

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  2. Non aggiungo altro a ciò che hai detto. Diciamo che hai capito molto di Noto, non tutto, certo, ma per una visita breve come la tua tanto. Però ti lancio una suggestione: Ragusa e Modica sono risorte, lentamente e tra mille contraddizioni, sulle loro fondamenta. Hanno radici nella loro storia, radici contorte e fusti altrettanto. Noto è fuggita dalla sua storia, se n’è costruita un’altra e da un’altra parte. E forse questa fuga, che l’ha resa bella, l’ha però impoverita d’anima e di memoria, dunque, se non proprio falsa, l’ha resa, direi, parziale.

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    • effettivamente non sapevo che Noto, dopo il terremoto, fosse stata abbandonata e ricostruita 8 km più a valle; questo suscita la voglia di vedere le sue rovine, ma pare che non sia semplice.
      nello stesso tempo è una conferma del suo carattere in qualche modo artificioso, che ho colto, senza saperne indicare bene il motivo.

      è anche incredibile l’aspetto di Ragusa Ibla, che, a parte il rifacimento delle chiese, sembra uscita intatta dal terremoto del 1693, che pure in quella città uccise metà degli abitanti, ma evidentemente le case furono ricostruite sul posto, ripetendone in qualche modo l’aspetto originario.

      sono stati due modi totalmente diversi di vivere non solo la ricostruzione, ma anche il terremoto.

      e nel caso di Noto, si è scelta evidentemente la strada della totale rimozione, come sottolinei tu.

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