Ortigia, la fotogenica risanatrice – autobiografismi post covid 21 – 133

una selezione delle foto scattate ad Ortigia il 24, prima di lasciarla, l’ho già pubblicata qui, a fine giornata: passeggiata fotografica per Siracusa – autobiografismi post covid 16 – 120, e potrebbero bastare quasi anche per il diario, visto che non ci furono episodi di particolare rilievo.

devo solo aggiungere, per la cronaca, che era intanto venuto meno l’appuntamento a Catania, per quel giorno, con un docente del mio primo liceo bresciano, trasferitosi da tempo a Milazzo, dove era nato.

ci si sarebbe rivisti dopo quasi un quarto di secolo e chissà con quali sensazioni, ma a lui era subentrato l’impegno di accompagnare la madre anziana ad una visita di controllo per il diabete e a questo punto avevo avuto l’intuizione che, forse, per andare all’aeroporto di Catania, dove imbarcarmi la sera per la mia nuova meta, non era necessario passare per la città, ma poteva ben esserci un collegamento diretto da Siracusa.

e infatti, con internet, l’avevo trovato facilmente: gli autobus per Catania partivano ogni ora e tutti facevano tappa all’aeroporto, prima di entrare in città.

è stato l’intreccio di questi due fatti a regalarmi queste ore bellissime trascorse ad Ortigia, finalmente recuperata in tutta la sua bellezza, in una camminata fino al pomeriggio avanzato, visto che il mio breve volo successivo sarebbe stato notturno.

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e meno male che le cose sono andate così, perché mi sto rendendo conto che è stata veramente convulsa, la programmazione di questa fase iniziale del mio viaggio, scandita dalle due prenotazioni aeree, quella del 24 e quella successiva del 27.

la bellezza dei luoghi avrebbe meritato soggiorni più distesi e tempi meno convulsi di questo mordi e fuggi continuo.

anzi, la fatica fisica di questi continui passaggi si faceva sentire nella forma di una certa crisi di motivazione, che portava alla domanda chi me lo fa fare di impiegare le mie energie così, in questo consumismo da viaggio decisamente frenetico.

però le ore che il gioco del caso mi ha regalato ad Ortigia, evitandomi l’andata a Catania, sono per la prima volta rilassate e distese, oltre che finalmente davvero pianeggianti.

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al risveglio trovo che la mia interlocutrice notturna si prepara a partire, dopo essersi fatta scoprire, nel bagno dalla porta lasciata aperta, completamente nuda come una enorme palla di burro giallastra, tolta dalla confezione.

mi riprendo da questo ultimo shock e ascolto, poco dopo, le sue istruzioni su come lasciarle le chiavi.

le seguirò, ma rendendomi conto che non c’è modo di andarsene senza lasciare l’ostello, e i suoi fiori, completamente incustoditi, visto che non basta tirare la porta, per fare scattare la chiusura, ma occorre chiuderla a chiave dall’esterno.

ma in questo modo, come lasciare la chiave all’interno?

ma non per niente questo blog ha nel titolo il riferimento al Comma 22, libro e film, esempio canonico di contraddizione logica insuperabile.

allora era: occorre dimostrare di essere pazzi, per farsi esonerare dall’arruolamento per la guerra nel Vietnam (dove morirono 55mila giovani americani, oltre a un numero di vietnamiti che si conta a milioni), ma chi chiede di farsi esonerare dalla guerra non può essere pazzo.

mentre ora è: occorre chiudere a chiave la porta dell’ostello per potersene andare, ma se chiudi a chiave, poi non puoi più uscire.

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ma so bene che il comma 22 si applicherebbe bene anche alla guerra in Ucraina, non basta a togliergli validità che stavolta a morire per combattere contro la Russia vengano mandati giovani ucraini e non più americani.

la stupidità della politica estera americana resta la stessa: allora costrinsero il Vietnam ad allearsi a Cina ed URSS, cosa della quale in fondo non aveva nessuna voglia, così come ora cementano una alleanza tra Russia e Cina che sarebbe stato meglio cercare di dividere, anche dal punto di vista di una politica di potenza intelligente.

ma ecco che di nuovo mi sono fato prendere la mano.

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piuttosto, racconto come me ne esco dall’ostello, vado a comperare nel pieno centro di Ortigia il benedetto caricabatteria per il cellulare, e ritorno a caricarlo; e sono già le dieci prima che il negozietto danese apra.

ma per fortuna un poco di carica ce l’ho ancora, e qualche foto scappa.

e ora chiedo scusa se ne pubblicherò qualcuna già utilizzata nel post detto sopra.

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prima di tutto, ecco un’altra foto di un laboratorio artistico davanti al quale passo nei vicoli dell’isola; inquietante come quella già pubblicata, con qualcosa che intreccia una maschera tragica antica con le fantasie post-moderne di qualche mostro da fumetti.

ma quando mi sposto di nuovo verso la costa, alla nuova uscita sul lungomare orientale, il sole già sorto regala ad Ortigia i suoi colori più intensi e l’isola stessa è una poesia in forma di paesaggio.

c’è perfino gente che fa vita da spiaggia in una caletta dai colori degni dei tropici.

un’altra è deserta, sormontata da una antica fortificazione costruita proprio sulla punta meridionale dell’isola, e parte oramai di quel recinto di fortificazione, e quindi non accessibile al pubblico.

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ma è proprio questa fortezza, che non avevo visto nel mio primo viaggio e forse era in stato di totale abbandono, che, recuperata in modo eccellente, diventa quasi il centro della mia visita di oggi.

ecco un’immagine globale della fortezza triangolare, circondata dal mare su due lati.

oggi è nota col nome di castello Maniace, ed è probabile che questo riporti a qualche intervento nel 1038 del comandante bizantino Giorgio Maniace, per difendere Siracusa dagli arabi, che però la riconquistarono e la tennero fino a cinquant’anni dopo, quando subentrarono i normanni.

quindi nei secoli cambiò nome, struttura e in parte funzione, più volte; fu danneggiato dai terremoti che hanno colpito più volte questa parte della Sicilia, e semidistrutto da un fulmine che lo colpì nel 1704, facendo esplodere i 300 quintali di polvere da sparo che conteneva.

ed effettivamente è stato sottratto all’uso militare e restituito alla fruizione come oggetto artistico nel 2009.

anche se non mancano deboli tracce di costruzioni precedenti, la struttura è frutto della fantasia e volontà creatrice di Federico II, che lo fece negli anni tra il 1232 e il 1239, anni nei quali costruì anche altre fortezze e castelli nell’Italia meridionale.

è bellissimo il portale gotico, che tuttavia ha qualcosa di impalpabilmente orientale; segno sempre dell’apertura interculturale che caratterizzo Federico II; qu7ell’uomo straordinario che è anche all’origine della letteratura italiana nella sua varaint3e siciliana, e che non per nulla venne soprannominato stupor mundi: meraviglia del mondo.

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ma, dopo essermi deliziato con le molteplici prospettive e gli scorci sia naturalistici sia artistici, di quell’arte che non è estetismo fine a se stesso, ma progettazione funzionale, eccomi di nuovo a girovagare per l’isola.

c’è non solo la bellissima piazza, ma ancor di più l’interno del duomo di Siracusa, costruito sul luogo stesso di un antichissimo tempio dorico, del tempo in cui Siracusa era una delle città più fiorenti e potenti del Mediterraneo, al punto da determinare la sconfitta di Atene e del suo tentativo di conquistare l’egemonia sull’intero mondo greco, nella guerra del Peloponneso.

le colonne del vecchio tempio all’interno della chiesa sono veramente imponenti e la scelta di non demolire per sovrapporre, ma di inglobare, mi pare significativa: un simbolo perenne della mescolanza delle culture tipica della Sicilia, anche se avvenuta attraverso la violenza delle contrapposizioni religiose e morali.

e mi pare un unicum, ma spero di non sbagliare.

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è tra i vicoli vicino al duomo, dove vado a cercare un locale per il pranzo che incrocio di nuovo la coppia di quasi coetanei con cui avevo fatto il giorno prima il viaggio da Modica a Noto, vedi quanto è piccolo il mondo dei viaggiatori.

loro erano tornati a Modica ieri e solo stamattina, ripassando davanti a Noto, si sono spostati a Siracusa, da cui partiranno per il rientro nel Veneto in serata; e questi, penso, sono i vantaggi del bagaglio quasi inesistente.

approfittano dell’incontro per farsi raccontare qualche altra puntata dei miei viaggi irregolari, con un piacere evidenti che mi ricorda quello di chi mi scrive su whatsapp: Di avventura in avventura… le tue descrizioni sono deliziosa lettura. un po’ l’avventura te la cerchi, ma per noi lettori va più che bene così.

e rispondo: ma non è proprio questo l’essenza dell’arte del narrare da Omero in poi? far vivere a chi accede al racconto le avventure impossibili che non potrebbe vivere nella realtà, ma può almeno immaginare di condividere.

per il pranzo, nel localino che scelgo, serve un cameriere lungo incredibilmente ossuto e dinoccolato, di una magrezza impressionante e altissimo (forse ho scelto il locale per questo?); ma poco dopo subentra nel servizio la sua antitesi perfetta: una donna che non possiamo definire giunonica, per rispetto alle divinità classiche, con due glutei monumentali che fanno concorrenza ai pilastroni del tempio dorico nel duomo.

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il girovagre riprende, ma questa volta sul suo lato occidentale, che è quello più vicino alla città nuova, e dunque più popolato e pieno di gente.

è qui che un recinto circolare vicinissimo al mare rinchiude la fonte Aretusa, sede di un papireto spontaneo, rarissimo in Europa, anzi, quasi unico, e celebratissima dai poeti dell’antichità, ma anche da diversi moderni, perché questa ricca sorgente d’acqua dolce, che risale dalla falda freatica, aveva qualcosa di magico e miracoloso.

fu al centro di miti luminosi, dove entrano in gioco, in diverse versioni, l’amore infelice e non ricambiato, la violenza di una padre sulla figlia e la sua uccisione da parte sua, le diverse manifestazioni della grande Dea Madre, al centro di diversi culti primigeni.

ma ora eviterò di raccontarli, per non trasformare questo diario di viaggio in qualcosa di troppo colto.

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la veduta di Aretusa chiude degnamente il mio ritorno memoriale ad Ortigia, anche se la programmazione troppo affrettata ha ridotto la mia visita all’isola, che del resto è quanto di Siracusa ho amato di più, e l’amore è uscito confermato, mescolato a quel tanto di pietà per una triste decadenza, che tuttavia la protegge dalle manipolazione del post-moderno.

non mi rimane che consegnare le chiavi dell’ostello ad un amico della cicciona, che sembra si sia assunto l’onere di ritirarle, prendere la mia valigetta ed avviarmi al bus, che mi porterà all’aeroporto in un’ora, regalandomi ancora belle viste delle campagne siciliane, ma anche l’angosciante veduta del devastante petrolchimico di Priolo.

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il check-in all’aeroporto funziona bene, questa volta la compagnia non è Ryanair.

soltanto vengo richiamato al controllo bagagli, perché ci ho lasciato il mio biglietto aereo.

normale, direi, la cosa non mi sconvolge, perché direi che avviene una volta su due, che io perda il biglietto in aeroporto prima di partire: diciamo pure che fa parte dei miei tic di personaggio, quasi mi scrivesse Camilleri.

sono invece dispiaciuto di avere saputo che un traghetto veloce compie lo stesso percorso dell’aereo in un tempo, me lo hanno raccontato i due veneti, e a un costo soltanto leggermente maggiore.

sarà stupido dirlo, ma mi coinvolgeva l’idea di fare anche io, adesso, quel tratto di mare; e mi nasce un’idea bizzarra: e se tornassi per questa stessa strada? ma stavolta usando il traghetto…

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12 commenti

  1. Ho visitato Noto e Siracusa quasi 30 anni fa e questo tuo reportage mi ha risvegliato a rate i ricordi di quel viaggio fatto in treno+bici.
    Ho visto anche le rovine della vecchia Noto, distrutta dal terremoto nel 1693. Anche a Pescina ho visto le rovine del vecchio paese rimaste intonse dopo il terremoto del 1915. Si vede che allora usava così, ricostruire in un posto diverso.
    A Noto il barista, nonostante l’evidenza, cercava di comunicare con me in tedesco. Forse non aveva mai visto un italiano in bicicletta.
    La fonte Aretusa, una meraviglia che mi meraviglia ancora oggi grazie alle tue foto.
    E tanti altri bei ricordi di una terra bellissima.
    Grazie di questi post.

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    • ti invidio moltissimo quel tuo viaggio e in particolare la visita alle rovine di Noto vecchia e di Pescina.

      ricostruire in un posto diverso però è quello che si è fatto anche a Gibellina dopo il terremoto del 1968, ma in più si è dato a Burri l’incarico di rivestire le rovine di cemento, in modo da trasformarle in un’opera d’arte contemporanea.

      https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Ffondoambiente.it%2Fluoghi%2Fil-cretto-di-burri%3Fldc&psig=AOvVaw0Z9Ht482fTKdgDGmToZEgu&ust=1680207569045000&source=images&cd=vfe&ved=0CBAQjRxqFwoTCMj3hI37gf4CFQAAAAAdAAAAABAE

      sono ben contento di risvegliare ricordi positivi.

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      • Il cretto di Burri! L’ho sentito ricordare diverse volte ma non ho mai approfondito. E dire che la land art mi piaceva molto quando studiavo all’accademia di belle arti.

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        • anche nella land art il gesto artistico ha una variazione di significati possibili, come del resto avviene per tutta l’arte. a me il gesto di Burri appare una incredib ile e megalomane violenza contro la natura e nello stesso esprime in modo perfino trasparente la volontà di cancellare le tracce di quello chen è successo.

          ben diversa è stata la landart di Christo che ho avuto anche il piacere di conoscere personalmente con la moglie, avendolo invitato tanti anni fa ad un incontro con gli studenti nel mio liceo, che ebbe un enorme successo: in lui l’intervento sul paesaggio o sul monumento era rispettoso, perché fatto con materiale effimeri e destinato ad essere provvisori: proponeva una lettura diversa possibile di quell’ambiente, ma senza violentarlo e poi ripristinandolo nei suoi valori originari.
          più tardi tornò a Brescia per la sua ultima grande opera nel lago d’Iseo.
          https://www.youtube.com/results?search_query=bortocal+christo

          (se ti capita di tornare ul mio penultimo post, non ti meravigliare: ho aggiunto un paio di espidosi che mi ero dimenticato e l’ho ristrutturato; una delle cose belle del blog è che è un’opera aperta a sempre nuove innovazioni possibili.

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          • Io mi aspetto che tutte le opere di land art debbano con il tempo essere rifagocitate dalla natura. Tanti anni fa con degli amici piazzai una selva di 64 paletti di legno colorati sul fianco di una montagna. Poi li abbandonammo li per sempre e penso che ora siano stati distrutti dal tempo e siano quindi scomparsi. I cretti di Burri sono effettivamente pesanti ma se il sito viene mantenuto e custodito faccio fatica a pensarlo coma land art. Tuttalpiù è un monumento di grandi dimensioni come può esserlo una piazza monumentale.
            I lavori di Christo mi piacciono e ricordo la passeggiata sull’acqua che dici. Lui smonta tutto prima che arrivi la natura a rimettere le cose a posto.

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            • indubbiamente; io vidi i cretti di Burri nel 1986 o già di lì, cioè pochissimi anni dopo che erano stati realizzati (anzi, forse non erano ancora finiti) e già in molti angoli spuntavano le erbacce, per cui l’opera esigeva immani spese di manutenzione, oppure di essere abbandonata al suo destino di rapido degrado.

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  2. Siracusa mi aveva incantato, e il tuo racconto e le foto hanno rinnovato il piacere.
    La cattedrale è sorprendente, costruita sul vecchio tempio di Minerva (? se ricordo bene), come in fondo tantissime chiese, ma questa ha mantenuto le colonne, ed è questo che è straordinario, e in fondo fa pensare alla tolleranza, dove tanti distruggevano, loro hanno mantenuto. Non si sa mai…

    Primo: non sei politicamente corretto, lo sai vero? 😁

    E secondo, ma possibile che perdi tutto? Però ritrovi tutto, meno male.

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    • eh no che non ritrovo tutto, purtroppo. ritrovo solo quello che ritrovano gli altri, se me lo ridanno. 🙂

      prima di leggere il tuo commento ho deciso di integrare il post con una frase, che mettesse più in evidenza quello che avevo semplicemente accennato: quelle colonne sono alla fine anche il segno di un dialogo culturale, e hai fatto bene a sottolinearlo anche tu…

      faccio parte della storia di una generazione tutt’altro che politicamente corretta, solo che a differenza di altri ho tenuto ferma la barra dei valori di allora. 🙂

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