come cambia la cultura.

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il cambiamento culturale più importante che stiamo vivendo non è quello di superficie, che vede emergere nuove figure di riferimento, nuovi valori, e nuove interpretazioni storiche.

nonostante tutto e per quanto traumatico sia vedere calpestati i valori della solidarietà, della democrazia e perfino dell’intelligenza, il lato più drammatico delle trasformazioni in corso è un altro, ancora più profondo.

è l’idea stessa di cos’è la cultura che si sta trasformando nella società del consumismo sfrenato.

stavo per dire consumismo di massa, se non riguardasse invece una parte soltanto della popolazione, per quanto cospicua, e non certo la totalità della società.

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così la cultura sta decisamente virando nelle due direzioni complementari della spettacolarità e del divertimento.

una definizione cruda, ma non troppo lontana dalla realtà, dovrebbe farci parlare di una cultura lunapark, dove la parola cultura diventa sinonimo quasi di divertimento o di culto del sé, nella dimensione corporea, gastronomica, ludica e turistica, e via dicendo, perché lo spettro del consumismo investe molti campi.

cultura non è più riflessione sulla vita e sui suoi problemi, sentita come un peso per l’impegno che richiede, e per una generazione che non ne vive più di sostanziali, ma prendersi cura di sé, del proprio corpo, del proprio benessere mentale.

cultura è fare yoga, imparare suonare uno strumento o a farsi il sapone in casa, viaggiare per andare in luoghi identici a quelli da cui si fugge, ma attraenti climaticamente o paesaggisticamente, ascoltare qualcuno che diverte o incuriosisce, ma che non sconvolge le nostre certezze.

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in questa idea di cultura come divertimento un poco più raffinato, la cultura diventa naturalmente una merce e si paga.

è finito il tempo in cui essere una persona di cultura significava avere qualcosa da dire, per averci potuto meditare e studiare su, e farlo gratis; oggi chiunque ha una sua piccola specializzazione o conoscenza in un campo specifico che può interessare qualcuno, la vende.

in questo c’è un duplice aspetto: da un lato la cultura smette di essere appannaggio di qualche gruppo privilegiato, che poteva permettersi di diffondere gratis il suo sapere, perché viveva d’altro; dall’altro lato, questo esclude da questo nuovo tipo di cultura, per sua natura a pagamento, chiunque non si può permettere di pagarla.

così la cultura diventa nello stesso molto più democratica sul piano della sua produzione, ma anche con un inevitabile scadimento qualitativo, dall’altro torna ad essere merce privilegiata sul piano dell’accesso.

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lo dico di nuovo in modo brutale e anche troppo semplificatorio: il liberismo selvaggio nel quale viviamo non sta trasformando in merce soltanto la salute o l’istruzione, ma la cultura stessa.

come sta scomparendo una sanità pubblica e si tenta di privatizzare anche la scuola, così è molto avanzato anche il processo della privatizzazione della cultura.

ma una cultura privatizzata, svuotata della sua funzione critica e a pagamento significa anche una cultura frammentata per gruppi di consumo e di interesse.

così muore la cultura come fatto sociale globale capace di unificare una comunità, che peraltro viene meno anche per altri fattori.

sembra stupido dirlo, ma questo fatto è veramente grave, perché una società che perde una visione culturale condivisa e unificante è destinata semplicemente a dissolversi.

2 commenti

  1. Gratis è morto, si diceva una volta…
    Hai perfettamente ragione, del resto le nostre città stanno diventando tutte degli enormi luna-park, e il turismo pur di massa ritorna ad essere per “ricchi” dato che tutto si paga, e caro.
    Non voglio divagare, ma porto un piccolo esempio. Da ragazzo ho imparato musica in banda, gratis, con ore e ore di solfeggio ed esercizi. Se avessi dovevo pagarli, non avrei potuto. Ho praticato sport perché c’era una società sportiva, finanziata da appassionati e dal comune, che ci permetteva di giocare gratis. La scuola rigorosamente pubblica, chi si poteva permettere la privata? (Che tra l’altro allora era solo dei preti, i salesiani.). Nel paese c’era un ospedale, con un pronto soccorso e un reparto di geriatria; e così via.
    Com’è stato possibile che quando eravamo più poveri potevamo permetterci questo? Perché i costi saranno pure aumentati, ma anche la ricchezza: forse il problema è che questa ricchezza non è stata distribuita, dico io.
    E si è perseguito un disegno lucido di smantellamento.
    La cultura a pagamento ci riporta a tempi antichi; del resto si prepara una guerra, se la gente è ignorante è meglio.

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    • hai dato concretezza alla mia analisi un poco astratta, e quindi hai completato benissimo il discorso.

      potrei soltanto aggiungere che, sia fortuna o disgrazia, quella che oggi si consuma a pagamento non è neppure più vera cultura, ma semplice intrattenimento.

      però, secondo una legge economica universale, la moneta cattiva caccia dal mercato quella buona, e così la vera cultura si ritira in disparte e si propone altrove, ridotta a fatto semi-privato, ma almeno ancora gratuito.

      vorrei dire che qualche blog ne è un esempio, e forse la crisi del blog come strumento nasce proprio da questo: che è vergognosamente e scandalosamente !gratuito!

      non so neppure quanto questo scandalo potrà durare, fra l’altro…

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