l’impossibile democrazia parlamentare (e non solo) – borforisma (lungo) 82

chissà perché qualcuno mette insieme questi due termini, democrazia e parlamento, e pensa quasi che siano una specie di sinonimo.

sfugge il dato storico: i parlamenti non sono nati con la cosiddetta democrazia, la precedono: i parlamenti sono stati istituzioni tipiche dell’ancien régime, quello che noi definiamo assolutismo.

non che questa definizione non calzi, per quel regime, ma lascia in ombra un aspetto importante: che ogni regime autoritario si fonda su un minimo di consenso, ed è un minimo che può anche chiamarsi rassegnazione (come anche noi oggi sappiamo benissimo), ma in ogni caso ci si serve di istituti di mediazione e rappresentanza, per crearla e consolidarla.

e il potere assoluto dei secoli passati si serviva di due strumenti: la religione per le masse e, spesso, i parlamenti, per le élites attive o socialmente più importanti.

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piccola divagazione: serviva anche allora essere vicini al popolo, che è l’obiettivo che esplicitamente si è data anche l’Unione Europea, rinnegando il principio della sovranità popolare.

o, quanto meno, bastava cercare di esserlo alle sue élites attive, perché per la grande massa ogni regime va bene, purché non faccia troppo danno, e a volte persino anche quando lo fa in modo del tutto evidente.

sono le élites critiche che vanno tenute a bada, ma poi neppure troppo, perché tanto danno non fanno, si sfogano fra loro, e possono diventare pericolose soltanto nei momenti di crisi.

ma se le hai già schedate in tempo di pace, o meglio ancora si sono auto-schedate, è poi facile sbarazzarsene in un colpo solo (le dittature del Sud America insegnano).

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dunque i parlamenti, preesistenti alle elezioni parlamentari di oggi, avevano poteri diversi, erano a volte (rare) elettivi, più spesso a base familiare dinastica, e dovevano convalidare le decisioni del re, verificando che fossero coerenti con le leggi esistenti.

siccome serviva la loro controfirma, perché le leggi entrassero in vigore (pressapoco come oggi serve quella del Presidente della Repubblica da noi), acquistarono via via potere, e la loro evoluzione successiva verso la forma elettiva è nota, quando dalla forma della democrazia assoluta si passò a qulla della democrazia parlamentare.

all’inizio venivano eletti comunque solamente tra i possidenti, e dunque, anche dopo il superamento dell’assolutismo monarchico, si differenziavano poco dai parlamenti precedenti, salvo che per i poteri allargati.

ma con l’adozione del suffragio o diritto di voto universale, prima maschile, in Italia (1913), poi anche femminile (1946), si è creata l’illusione che i parlamenti siano effettivamente rappresentativi di una presunta volontà popolare, nella quale propriamente consisterebbe la democrazia, intesa come potere del popolo, visto che questo significa il suo antico nome.

eppure i parlamenti come espressione delle élites sono proprio la negazione della vera democrazia.

così del resto spiegava il Sessantotto degli extra-parlamentari, che dovremmo recuperare almeno per la sua critica del parlamentarismo moderno.

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che un parlamento esprima una volontà popolare, cioè collettiva, è impedito prima di tutto dalla natura stessa del voto nei regimi parlamentari.

il voto è personale, libero e segreto, art. 48, della nostra Costituzione; vale a dire che è un affare privato e perfino riservato.

il cittadino è chiamato a votare per la difesa dei suoi particolari individuali interessi, ammesso che sappia identificarli, non per il bene comune.

la prevalenza nel voto dell’interesse comune può essere espressa soltanto da modalità differenti nell’espressione della volontà condivisa, cioè nel voto collettivo e pubblico di una assemblea.

non che questo sistema sia privo a sua volta di evidenti difetti (la perfezione delle isituzioni umane non esiste) ed è esposto a rischi di degenerazione piuttosto gravi, come la storia ha ampiamente dimostrato.

tuttavia persegue finalità differenti, con modalità di voto differenti; e fra le due cose vi è una necessaria coerenza.

questo è un concetto semplice e chiaro, da tenere ben presente per vedere le contraddizioni della cosiddetta democrazia parlamentare, che sono così forti, che questa espressione stessa appare un ossimoro, come del resto anche lo è la parallela idea di una democrazia liberale.

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il voto individuale riusciva comunque ad esprimere, almeno parzialmente, visioni condivise della vita collettiva o quantomeno dei bisogni di strati sociali particolari, fino a che è spravvissuta la forma della partecipazione personale diretta alla vita politica.

ma ora che l’informatica ha privatizzato, per così dire, perfino la nostra vita sociale, il voto individuale del consumatore è diventato a sua volta un mero oggetto di consumo.

l’elettore stesso è una merce, che è resa disponibile soltanto a chi possiede le gigantesche risorse economiche necessarie per condizionare una massa di individui che non è più popolo, ma, piuttosto, pubblico.

la politica non si elabora più in luoghi di partecipazione fisica effettiva, ma viene filtrata ampiamente attraverso i social, che sono tutt’altro che neutrali.

così ha perso perfino la parvenza di essere una effettiva espressione di bisogni, desideri, speranze, per diventare la riproduzione facilmente prevedibile e scientificamente programmata degli input a cui l’elettore è stato preventivamente sottoposto.

lo dimostra il trionfo dei sondaggi, che sono lo strumento con cui i detentori del potere vero controllano periodicamente il loro grado di controllo delle opinioni correnti da loro prodotte e alimentate, ed hanno lo scopo di consentire messe a punto per migliorarne l’efficacia.

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di fatto oramai i grandi tecno-feudatari e i plutocrati controllano i media e l’informazione anche più dei governi e sono diventati i veri decisori politici, estranei ad ogni forma di controllo: sono i nuovi moderni sovrani assoluti dei nostri tempi.

di solito agiscono dietro le quinte, senza esporsi troppo, ma non manca chi rivendica apertamente questo ruolo: vedasi Musk.

cinicamente potremmo dire che non è il caso di preoccuparsene troppo.

antropologicamente la società umana ha sempre funzionato secondo uno schema non troppo dissimile da quello del branco, con qualche maschio o femmina alfa al comando ed un gregge di gregari.

quindi è inutile lamentare la fine di una democrazia che in realtà è esistita solo per brevi eccezionali periodi e in situazioni molto particolari e ristrette.

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una democrazia decidente, dove il popolo agisce in prima persona, assumendo le responsabilità e le iniziative necessarie, è soltanto una immagine fantastica.

la maggior parte degli esseri umani non la vuole neppure, anzi istintivamente la rifiuta, e può averne perfino orrore.

basta garantire ad un gruppo sociale abbastanza consistente una qualche forma di vero o apparente benessere, per mettere quieti e felicemente liberi dall’onere di pensare e di decidere la maggior parte dei membri di una qualunque società umana.

si risvegliano, forse, ma non sempre, quando la catastrofe provocata dai capi, ai quali si sono ciecamente affidati, seguendo il conformistico belato del gruppo di riferimento, gli casca addosso e distrugge le loro vite.

ma molto spesso può essere troppo tardi, per questa dolorosa presa di coscienza.

8 commenti

    • mi dispiace per il periodaccio, definizione che spero sia da attribuire soltanto a troppi impegni o superlavoro.

      ti ringrazio delreblog e anche dell’apprezzamento, che apprezzo di più perché viene da dissensi importanti su alcuni punti, che mi hanno tenuto lontano dal tuo blog.

      in effetti considero queste riflessioni mie un punto di approdo abbastanza importante e forse direi anche definitivo della mia riflessione sul tema: gli anni incattiviscono, indubbiamente, ma forse anche per questo rendono un poco più lucidi.

      a presto, magari: apprezzerò anche eventuali commenti critici.

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