l’economia politica del tempo libero. 22 gennaio 2024 – borforisma n. 4

nel sistema economico attuale il tempo vissuto socialmente vive una strana contraddizione, che nasce dalla sua suddivisione in tempo di lavoro e tempo cosiddetto libero.

il primo tipo di tempo è quello che viene venduto al sistema della produzione di profitto, ed ha un valore variabile sulla base di quello che viene attribuito alle prestazioni in cui viene impiegato.

ma anche il tempo libero ha un valore, ed è quello che il soggetto che ne dispone è disposto a spendere per liberarsene.

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capisco di dovere spiegare il paradosso, che però non è mio, ma della realtà:

avere tempo libero è la massima aspirazione di tutti, tranne forse i rari fortunati che fanno del lavoro che gli piace, in cui si sentono realizzati e che quasi non gli pesa come tempo venduto; per tutti gli altri, per la stragrande maggioranza, per i quali il tempo venduto al lavoro è sgradevole e auspicabilmente da ridurre al minimo, la massima aspirazione è di avere più tempo libero possibile.

ma il paradosso sorge qui: perché, di nuovo, salvo che per i pochi fortunati che hanno qualche vocazione o passione e sanno come impiegarlo, per tutti gli altri il tempo libero è vuoto e va riempito.

non arriva a diventare un peso come il tempo di lavoro, ma è comunque un problema: che cosa fare del tempo libero?

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il paradosso sta nel fatto che, per occupare il tempo libero, in generale occorre spendere.

così il lavoratore, che acquista salario vendendo il suo tempo, deve poi spendere una parte di quel salario (dedotte tutte le spese di diversa sopravvivenza) per occupare il tempo di vita che gli rimane libero dal lavoro, considerando il carattere totalmente o prevalentemente artificiale della sua vita.

quindi il lavoratore produce profitto economico non solo quando vende (sottocosto) il suo lavoro), ma anche quando si trova ad acquistare, per così dire, anche il tempo formalmente libero, ma vuoto, per riempirlo di attività piacevoli.

dunque è fonte di profitto come produttore, ma fonte di profitto anche come consumatore: come spettatore, lettore, turista, navigatore di internet e dei social, o semplice cliente di discoteca o di bar.

l’immensa mole delle attività che caratterizzano una civiltà si nutre appunto della necessità del percettore di reddito di spendere, per fuggire al tempo troppo libero.

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ma via via che cresce il livello di benessere globale di una società, altrettanto la produzione del profitto si sposta dal momento della produzione a quello del consumo per riempire il tempo libero.

a questo punto non traggo esplicitamente tutte le conseguenze che derivano da questa osservazione, cioè da questo stato di cose.

mi limito ad accennarle, per chi non lo avesse già intuito da sé: forse l’opposizione all’attuale sistema sociale ed economico non passa soltanto dalla lotta dei salariati per aumentare le proprie retribuzioni, ma anche dalle scelte personali (possibilmente da socializzare e condividere) per diminuire la quota di salario che si restituisce al sistema per sfuggire al disagio del tempo libero vuoto.

occorrono forme di organizzazione e gestione condivise del tempo libero che non contribuiscano al consumismo auto-distruttivo.

2 commenti

  1. La socializzazione potrebbe essere appunto un modo per minimizzare almeno le spese per il tempo libero: mi viene in mente, banalmente, che organizzare una biblioteca o anche un semplice sistema di book crossing può essere un modo per soddisfare il piacere della lettura senza dover spendere molto per avere tanti libri da leggere; e nel processo, magari, si può conoscere qualcuno con cui dividere (faccio nuovamente un esempio) le spese per l’acquisto di un gioco da tavolo, che poi si giocherà con quella stessa persona… purtroppo, la società va nella direzione diametralmente opposta, verso l’individualizzazione estrema.

    Belle riflessioni, comunque, grazie.

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    • grazie del commento e del sostanziale consenso, che approfondisce e definisce il tema proposto.

      purtroppo si assiste negli ultimi tempi al processo diametralmente opposto, perché il piacere di attività liberamente condivise si trasforma in attività di gruppo che diventano a pagamento, proprio per il fatto di essere tali.

      faccio un esempio, per essere più chiaro: una serena camminata condivisa con amici viene sempre più sostituita da una camminata di gruppo, con adesioni a pagamento e, non sia mai, assicurazione contro gli infortuni, organizzata da qualche guida che si definisce professionale e che ci campa su.

      del resto le norme legali stesse costringono sempre di più in questa direzione: a trasformare anche l’attività libera di gruppo auto-organizzato in regolamentata e a pagamento.

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