razzismo botanico a Prato.

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parlando dell’intelligenza delle piante, Stefano Mancuso mi ha fatto capire che cosa è davvero l’intelligenza (https://comma22corpus.wordpress.com/2024/06/13/non-serve-un-cervello-per-pensare-e-la-memoria-degli-elefanti/): è un insieme di comportamenti con i quali un essere vivente cerca di assicurarsi la sopravvivenza.

è per questo motivo che quella che i venditori chiamano Intelligenza Artificiale, non è affatto una forma di intelligenza, perché le manca appunto il requisito fondamentale, cioè il rapporto costruttivo con la realtà biologica, dato che il suo scopo non è affatto quello di assicurare la sopravvivenza a stessa o a noi, ma semplicemente quello di vendersi e di far realizzare profitti ai suoi inventori.

per questo siamo pur sempre nel campo del calcolo artificiale, per quanto confezionato molto abilmente, non in quello dell’intelligenza.

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ritengo Mancuso una delle menti più brillanti che abbiamo in Italia e mi affascina la sua capacità di scardinare pregiudizi e modi di vedere millenari, mostrandoci la vita vegetale in un’ottica nuova.

ma questo entusiasmo mio e di molti altri per le sue tesi non è affatto condiviso universalmente.

niente di strano, si potrebbe dire, il dissenso è il sale della ricerca, e del resto Mancuso a suo volta dissente dalle impostazioni tradizionali dello studio della botanica.

ma ?che dire? dell’ultima iniziativa con la quale è stato pesantemente attaccato in gruppo nientedimeno che da: Società Botanica Italiana, Società Italiana di Biogeografia, Società Italiana Scienza della Vegetazione, FISNA- Federazione italiana di Scienze della Natura e dell’Ambiente, in realtà però soltanto nelle loro sezioni toscane.

e con una lettera, badate bene, indirizzata non al pubblico o a lui, ma al Sindaco di Prato, al Presidente della Regione Toscana e all’Assessora all’Ambiente, cioè ad autorità politiche, per contestare un progetto di Mancuso in via di realizzazione e cercare evidentemente di bloccarlo: ma ognuno si sceglie gli interlocutori che preferisce, evidentemente.

il testo di questa lettera lo riporto in fondo al post.

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ho appreso di questa iniziativa da un video su Youtube di un bravissimo divulgatore scientifico che seguo, ma che in questo caso plaude all’iniziativa, e ho espresso il mio dissenso in un commento, che peraltro non vedo in coda al video:

concordo con le sagge osservazioni di @user-qq2gp2mp4p. stiamo parlando di un parco, ben delimitato e definito. davvero le piante racchiuse lì dentro possono rappresentare un pericolo per l’ambiente esterno? d’accordo che i pollini viaggiano, e anche i semi, ma quanto? la polemica contro Mancuso mi sembra pretestuosa e il tuo riferimento al consenso della comunità scientifica decisamente fuorviante. al tempo di Galilei, quale era il consenso della comunità scientifica di allora? eppure per fortuna non gli è stato completamente impedito di esprimere le sue idee controcorrente e il tempo ha dimostrato che erano più valide di quelle della stragrande maggioranza degli scienziati del tempo, che le contestavano e qualcuno magari lo avrebbe visto finire al rogo volentieri come Giordano Bruno. a me pare che politica sia la presa di posizione veramente fuori dalle righe di questo fior fiore di accademici, e getta una luce funesta sul livello delle nostre università, dove sappiamo bene come si ottengono le cattedre.

ed ecco l’intervento simile al mio di user-qq2gp2mp4p, quale faccio riferimento:

La critica nei confronti del prof. Mancuso mi sembra per usare un solo termine pretestuosa. “Nell’accademia” c’è sempre stato pluralismo, ci sono sempre state divergenze e dibattiti, anzi devono essere desiderati per il progresso scientifico, lei, in quanto divulgatore, fa bene a sottolineare posizioni diverse che non possono e non devono essere pregiudiziali. L’esegesi di quanto affermato dal prof. Mancuso è bene che la faccia lui stesso. Dal mio punto di vista, profano e non accademico, il dibattito su un parco urbano, di recupero mi sembra fuori luogo. Le piante come si sa hanno una capacità di diffusione diversa e più efficace degli animali, i semi e non solo, possono viaggiare per mare, con il vento, attraverso altri animali e via discorrendo. Il 90% delle nostre coltivazioni sono aliene, basta ricordare le patate, i pomodori e il mais. Gli agrumi non sono siciliani o calabresi e questo vale per molte altre piante da frutto. I parchi pubblici delle nostre città sono pieni di piante aliene che ancora oggi vengono piantumazione secondo criteri economici , estetici o pratici. Insomma mi sembra la solita tiritera di quell’italiana invidiosa che non tollera il successo, seppur mediatico di una persona.

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cose simili dicono anche altri.

manueldulmieri5528Da giardiniere e manutentore del verde, sono d’accordo sulla creazione di un parco dedicato alle piante alloctone. Alla fine è sempre un modo per fare divulgazione e, se l’area è circoscritta come potrebbe essere un parco pubblico, il pericolo di diffusione è relativo. Certamente un ligustro giapponese si dissemina uguale sia che si trovi nel “bosco delle neofite” sia che si trovi in un viale cittadino. Sulle motivazioni (queste piante saranno le nuove autoctone, come i migranti), qua si sfiorano le vette dell’assurdo. Innanzitutto queste piante non saranno mai autoctone. La robinia è qui da almeno 250 anni ed è considerata alloctona. Ma accostare migranti e piante alloctone è pessimo e pericoloso sotto ogni punto di vista. Detto questo, il “bosco delle neofite”, leggendo le piante di cui è composto, mi sembra una gran para..lata: son tutte piante comunemente usate da decenni in parchi e giardini. Se non gli mettevano il nome, era un normale parco come tanti.

lucabrio9871
Il fatto è che – aldilà del messaggio politico – a causa del riscaldamento globale le piante aliene sono paradossalmente più adatte a vivere in Italia piuttosto che quelle autoctone (purtroppo).
Credo che sia anche questo un motivo per cui mancuso abbia fatto questa scelta.

salvorizzo8671
Ma se è per questo sono piante aliene in Italia pure i limoni, aranci, mandarini, ma anche gli amati olivi (originali dell’anatolia), così come i cipressi, tutte le palme tranne la chamaerops humilis, sterminate specie di piante e alberi ornamentali, sino ai ficus, di cui le nostre ville comunali sono piene zeppe, e ancora arbusti usati come spartitraffico (pittosporum tobira) e alberature stradali (eucalipti)…. Il problema è se lo fa Mancuso?

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mi permetto una battuta bizzarra: il riscaldamento globale sta evidentemente favorendo la diffusione di piante nate in altri contesti climatici, che oggi si rivelano più adatte al nostro nuovo clima di quelle esistenti in precedenza; ma ?non sarà così anche per gli esseri umani? ?che dire? se popolazioni umane di origine africana, o asiatica tropicale dovessero rivelarsi più capaci di adattarsi al riscaldamento globale qui da noi delle antiche popolazioni del posto.

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per concludere, lasciatemi essere drastico: questa lettera, sostanzialmente anonima, pur se supponente e burbanzosa, è un penoso episodio di conformismo arrogante e censorio, e un trasparente sussulto di spirito razzista.

come ben si vede, mi pare, dal suo testo:

Alla cortese attenzione del Sindaco di Prato Ilaria Bugetti
e p.c. al Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani
all’Assessora all’Ambiente Monia Monni
La comunità scientifica botanica nazionale e regionale Toscana, rappresentata dalla Società Botanica Italiana (la più antica associazione scientifica europea dedita allo studio delle piante), dalla Società Italiana di Biogeografia, dalla Società Italiana Scienza della Vegetazione e FISNA (Federazione italiana di Scienze della Natura e dell’Ambiente), ritiene doveroso esprimersi sull’approccio adottato nella progettazione e realizzazione del “Bosco di Neofite”, pensato come piano di forestazione nell’area di Tobbiana-Allende nel comune di Prato. Le argomentazioni con cui è stato presentato il progetto lasciano molto perplessi, poiché semplificano e banalizzano problemi importanti e tra loro ben distinti come la necessità di azioni per il contrasto ai cambiamenti climatici, le invasioni biologiche e i flussi migratori umani. In particolare, è per noi sconcertante vedere un parallelismo diretto tra le piante neofite e i migranti.
I flussi migratori umani riguardano una sola specie, la nostra (Homo sapiens), la cui attitudine alla migrazione è attestata fin dalla sua origine e dipendono da fenomeni sociali, politici ed economici.
Al contrario, le piante neofite fanno parte delle specie aliene, ossia specie di piante e animali che sono state trasportate dall’azione umana in contesti geografici ed ecologici diversi da quelli in cui si sono evolute. Esistono anche specifiche politiche nazionali ed europee di gestione e contrasto alla diffusione delle specie aliene, qualora esse diventino invasive, per i possibili danni che queste possono causare alla biodiversità originaria, definita nativa. Diventa quindi pericoloso proporre analogie tra i migranti della nostra specie e le specie aliene, anche per non offrire il fianco a fenomeni di xenofobia. Questioni sociali complesse, come l’immigrazione, e questioni scientifiche, come la gestione delle specie aliene, devono essere trattate con il dovuto rispetto dei diversi ambiti che le contraddistinguono. Le dichiarazioni riportate sui quotidiani e i testi pubblicati nelle pagine di presentazione del progetto lasciano intendere che le specie aliene possano un giorno diventare native, “italiane” proponendo un fuorviante parallelismo con gli esseri umani. Anche se è indubbio il valore positivo di alcune specie aliene come risorsa, il loro utilizzo deve avvenire in un contesto di sostenibilità, e questo non porterà mai a poterle considerare native di un’area diversa da quella in cui si sono evolute.
I segnali di allarme lanciati dalla comunità scientifica internazionale nel riconoscere i rischi e gli impatti delle specie aliene ed invasive sulla biodiversità nativa non possono essere trascurati o banalizzati. Le piante neofite, possono diventare invasive, e minacciare la biodiversità e gli ecosistemi, entrando in competizione con le specie locali, modificando significativamente le dinamiche naturali degli ecosistemi invasi, con effetti a cascata sull’intera rete ecologica. Una volta introdotte, molte specie aliene possono diffondersi in modo incontrollato, richiedendo costose operazioni di contenimento ed eradicazione, con rischi difficilmente prevedibili, come sta accadendo proprio adesso con il granchio blu. Sebbene il progetto “Bosco di Neofite” consista nella realizzazione di un parco urbano, e rappresenti un pericolo moderato per la biodiversità nativa, come comunità scientifica botanica riteniamo dover porre in evidenza la poco felice strategia di comunicazione con cui è stata presentata questa iniziativa, con l’analogia tra le migrazioni di esseri umani e l’introduzione artificiale di specie che mai sarebbero arrivate con i loro mezzi biologici. Inoltre, alcune delle specie utilizzate nel progetto sono ben note neofite invasive in Europa (varie specie del genere Eucalyptus, Quercus rubra, Robinia pseudoacacia, per esempio), e si mostra così di trascurare totalmente i rischi legati all’introduzione di specie aliene ed invasive potenzialmente dannose per gli ecosistemi.
Società Botanica Italiana
Società Italiana di Biogeografia
Società Italiana Scienza della Vegetazione
FISNA- Federazione italiana di Scienze della Natura e dell’Ambiente

4 commenti

  1. Se il punto è quello comunicativo, però, la lettera non ha tutti i torti: qua si confrontano specie diverse con migranti che invece appartengono alla specie umana; l’eterogenesi dei fini è dietro l’angolo.

    P.S.: il tuo parallelismo con Galileo mi sembra fuori bersaglio, perché ai suoi tempi non esisteva una comunità scientifica come la intendiamo adesso, né un metodo scientifico. Poi, certo, su come questo venga applicato al giorno d’oggi, si può discutere…

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    • Se il punto è quello comunicativo, che significato ha mandare la lettera a sindaco e autorità regionali?

      se si fosse trattato di una semplice lettera aperta ai cittadini, magari firmata singolarmente, non avrei avuto niente da ridire, salvo eccepire che le preoccupazioni sono eccessive e ridicole, per non dire strumentali.

      poi, che la comunità scientifica del tempo di Galilei non fosse una vera comunità scientifica, lo diciamo noi, alcuni secoli dopo, e perché lui ha fatto passare una idea di scienza diversa, ma ai suoi tempi quella era considerata e si considerata una comunità scientifica a tutti gli effetti, anche se non era ancora nata una scienza rigorosamente sperimentale.

      e niente impedisce in linea teorica che in futuro una nuova evoluzione dell’idea di scienza porti a considerare con un poco di compatimento l’idea di scienza che abbiamo oggi e a renderci consapevoli dei suoi limiti.

      con Mancuso siamo molto vicini ad una evoluzione di questo tipo, almeno nel suo campo, secondo me, ed è questo che più di ogni altra cosa allarma gli scienziati vecchio stampo.

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  2. Avevo visto il video di Entrophy for Life e non mi sembrava un argomento così interessante tantochè non l’ho terminato prima della fine. Metto qui alcune note sparse sull’argomento.
    Il dibattito su cosa sia specie autoctona e alloctona nel nostro ambiente è attivo da che io ricordi. Ad esempio c’è chi considera la robinia pseudoacacia, da noi da qualche secolo, una neofita e chi la considera naturalizzata al pari dei cipressi o degli agrumi (il miele di acacia che vendono nei negozi è fatto con il nettare di questa pianta!)

    Ho letto la lettera e non la trovo così insensata. Da come la vedo io dicono che bisogna essere cauti nell’introduzione di specie straniere e non accoglierle a braccia aperte. Però ci vedo anche, fra le righe, la difesa dei loro ruoli di studiosi stipendiati dalle istituzioni, una difesa delle loro poltrone e cattedre. Cose molto italiane.

    In Australia l’introduzione di specie per loro alloctone ha provocato dei disastri epocali. Ricordo l’introduzione delle lepri, dei topi,dei cavalli selvatici, dei cammelli e dei fichi d’india. Rimasero così scottati da queste tragedie che oggi sono diventati paranoici nella difesa dei loro equilibri e ci sono controlli severi nei porti e aereoporti con pene durissime per i trasgressori. Ricordo che ad un frontiera interna perquisirono l’autobus su cui viaggiavo per verificare che non avessimo con noi delle banane in quanto era diffusa una malattia di questa pianta veicolata dai suoi frutti.
    Qui da noi siamo molto piu aperti. Le regole ci sono ma sono ma la loro applicazione è piuttosto andante e come sai è facile eluderle.

    Quest’anno in riviera si sta diffondendo la psicosi del granchio blu la cui diffusione sta esplodendo in mare e nelle acque interne. Ci sono stati casi in cui il granchio ha ferito ai piedi dei bagnanti con le loro temibilissime chele. Si dice che possono amputare le dita ai bambini. Sarà una esagerazione ma conosco una persona anziana che è stata ferita abbastanza seriamente.

    Quando da bambino andavo a pescare c’erano nei miei fiumi pesci che oggi non ci sono quasi piu (tinca, luccio, alborella, anguilla, persico sole etc.) spodestati da specie alloctone come il siluro e l’amur introdotte da pescatori sportivi sconsiderati nei decenni passati. Certo che l’ambiente trova presto un suo equilibrio ma la biodiversità nei nostri fiumi è crollata.

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    • grazie di avere toccato vari argomenti nel tuo commento; comincio a risponderti dal fondo.

      1. il problema della diffusione di specie aliene, animali e vegetali, esiste, come risulta anche dagli esempi che fai tu; ma occorre non perdersi dietro il dettaglio, perdendo di vista l’insieme. a volte è facilitato da azioni sprovvedute di umani, come dici, ma il meccanismo fondamentale che lo guida è quello della diffusione della vita e della sua lotta per la sopravvivenza. non c’è nessun dubbio che il riscaldamento climatico agisce da fattore decisivo per l’arrivo di nuove specie abituate a climi più caldi, e la soccombenza delle specie originarie è facilitato anche dal cambiamento delle condizioni ambientali a cui sono abituate. senza fermare questo riscaldamento, ogni tentativo di bloccare l’arrivo di specie esotiche è come volere svuotare il mare col cucchiaino.
      e qui torna una vaga analogia con i movimenti dei migranti umani, che risponde alle stesse regole.

      2. in Australia sono effettivamente attentissimi al problema, l’ho toccato con mano quando ci sono stato; stranamente non avviene lo stesso in Nuova Zelanda, e non ti saprei dire perché. forse l’Australia è più fragile. non perderei di vista comunque che la principale specie invasiva lì è quella umana e che i danni ecologi apportati dagli uomini sono semplicemente enormi.

      3. la lettera non dice cose insensate, ma il significato di un messaggio è dato dalla sua forma prima che dai suoi contenuti, come insegnano gli studiosi della comunicazione. contenuti in se stessi corretti possono contribuire ad una comunicazione altamente insensata se si analizza il messaggio complessivo guardando a chi è rivolto, come è firmato, quale è il suo scopo operativo. bisogna partire da queste premesse per valutarlo, anche se dice cose in se stesse giuste.
      tuttavia la parzialità e la tendenziosità delle pur giuste osservazioni contenute in quella lettera a me pare per se stessa evidente e diversi commenti lo hanno rilevato. ma è proprio quando qualcuno dice cose sbagliate usando argomenti giusti, che la critica deve farsi più attenta.

      4. si tratta in ultima analisi della richiesta all’autorità politica di un gruppo di studiosi tradizionalisti, che chiedono chiaramente un intervento nella pratica censorio contro le idee e i progetti di un collega che non gli piacciono, ma che non sono fuffa, soltanto un modo diverso di esaminare i dati disponibili.
      che un piccolo parco possa che ospita piante in larga parte già presenti altrove possa rappresentare un pericolo a me pare ridicolo; il vero pericolo contro cui questi studiosi protestano è l’idea che anche le piante possano cambiare ambiente ed integrarvisi.
      il sottinteso razzista di questa levata di scudi io continuo a vederlo, anche dopo avere letto attentamente le tue obiezioni.

      e per questo il tema non mi pare affatto trascurabile, se volgiamo mantenere viva la prospettiva di una società aperta, anche nel modo di guardare alle piante e al loro modo di diffondersi.

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