Sonia Savioli. l’ape e la calendula. reblog.

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ribloggo, perché è inutile riscrivere quel che Sonia Savioli ha detto meglio di me.

https://www.soniasavioli.it/post/cambiare-stile-di-vita-per-salvare-la-vita-ovvero-boicottare-il-capitalismo

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La neve sotto i mille metri in aprile, tantopiù dopo un febbraio e un marzo esageratamente caldi, significa morte. Morte per le piante ormai in piena vegetazione, morte per gli insetti ormai usciti dal letargo riparato dell’inverno, morte per gli uccelli migratori ormai già arrivati dall’Africa.

Non tutti questi esseri viventi moriranno, per fortuna, ma ne morirà una percentuale molto maggiore del solito, e gli altri in gran parte si indeboliranno e si ammaleranno.

Non ve l’ha detto la televisione né nessun altro mediaservo e dunque forse non lo sapete.

La morte provocata da più di una settimana di freddo invernale in piena primavera non finisce qui. Tutti gli alberi che erano in fiore prima della neve e del freddo non fruttificheranno. I faggi non faranno faggiole, i castagni non daranno castagne né ghiande le querce. E questo significherà stenti, penuria, malattia e morte per molti animali selvatici il prossimo autunno e inverno.

Tuttavia questo disastro dovuto al marasma climatico non sembra essere percepito come disastro dalla maggior parte degli umani, che anzi sembrano felici di poter sciare in aprile e di continuare nella frenesia consumistico-vagante di ogni giorno, come topolini sulla ruota.

La specie animale composta di esseri con due gambe, un internet-cellulare e una o più carte di credito, marcia spedita verso il baratro, trascinando con sé tutti gli altri esseri viventi. Brucia OGNI GIORNO 16 miliardi e 200 milioni di litri di petrolio (questo nel 2023, ma la cifra continua ad aumentare), OGNI ANNO più di 8 miliardi e mezzo di tonnellate di carbone, OGNI ANNO 4000 miliardi di metri cubi di gas naturale ma non capisce come. Non capisce che navi portacontainer, navi da crociera, aerei, inceneritori, autostrade, grandi dighe, agricoltura industriale, allevamenti intensivi e persino guerre sono sostenuti dai consumi e dagli stili di vita di miliardi di privilegiati con scemofòno, carte di credito, auto e moto di grossa cilindrata, vacanze in crociera e viaggi di svago in aereo, seconda e terza casa, abboffamenti in ristoranti taverne bar pizzerie sorti come funghi dopo la pioggia e sempre affollati in tutte le città, mense scolastiche e universitarie che buttano via ogni giorno quintali di plastica nell’allegra indifferenza di “insegnanti”, genitori e dei futuri “intellettuali” ignorantizzati, cioè studenti universitari. Non lo capisce perché la televisione e gli altri mediaservi si guardano bene dal dirlo e ripeterlo ogni giorno: è un tabù, è l’argomento più pericoloso per gli interessi del globalcapitalismo, che ci vuole tutti alla greppia del mangimificio consumista. Non lo capisce perché è ormai separata dalla vita naturale, come i poveri animali di allevamento intensivo: è una specie animale “industriale”, fatta in serie, omologata, livellata. E, come tutti gli animali di allevamento intensivo, è infelice, si annoia, non ha più stimoli naturali né istinto, anche i sentimenti naturali in essa sono soffocati e ottusi; ha l’unico stimolo di consumare e competere nei consumi; di invidiare il multimilionario col panfilo grande dieci volte la sua casa, multimilionario nutrito e arricchito dai suoi ignari e ignoranti consumi.

Così, non potendo competere col multimilionario, la maggior parte dei comunque privilegiati si compera la macchina più grande grossa lussuosa che le sue finanze permettono, il rolex meno costoso, la vacanza in crociera in un loculo … magari facendo il mutuo. Quando invece i suoi lontani antenati avrebbero pietosamente lubrificato la ghigliottina per il multimilionario panfilato, sicuramente sfruttatore schiavista e probabilmente mafioso.

Mentre guardo le foglie accartocciate del ciliegio sotto casa, sento il rombo delle moto che percorrono a tutta velocità la strada sulla collina di fronte. Non vanno da nessuna parte; si fermano in un paese, radunandosi intorno alle moto, raccontandosi le proprie prodezze e le mirabilie del loro rombante mezzo di competizione sociale; ripartiranno verso altre curve e si fermeranno-raduneranno davanti a un altro bar e così via così via per centinaia di chilometri, senza vedere nulla di ciò che li circonda, senza vivere nulla dei luoghi che attraversano, bruciando quintali di benzina per andare su una costosa, pericolosa, nociva giostra.

Il ciliegio non darà frutti quest’anno, né li darà il noce; i meli non allegheranno perché gli insetti impollinatori con questo freddo sono spariti. Le foglie dei peri, dei cachi, dei gelsi, ancora piccole, stanno ingiallendo, come quelle del glicine e del tiglio in giardino, come quelle degli alberi nei boschi. Gli olivi quassù, per fortuna, non sono ancora fioriti, ma sono fioriti nelle colline più basse e non faranno olive. I susini si stanno ammalando e così gli ornielli, le querce, i carpini: in fondo alle vallate, vicino ai fiumi, dove le temperature notturne sono arrivate a zero, si vedono teorie di alberi, fino a dieci giorni fa di un verde brillante, ora di color marrone. Le api negli alveari stanno usando tutta la loro energia per riscaldare le pupe, non raccolgono nettare, non impollinano.

I viticoltori si sforzano di aumentare l’effetto serra e l’avvelenamento dei suoli irrorando di pesticidi le vigne sotto la pioggia, per il terrore dei parassiti fungini che loro stessi hanno selezionato e diffuso, attraverso la monocoltura industriale e con lo sterminio di erbe, insetti e insettivori attuato dai loro pesticidi chimico-sintetici.

Il disastro climatico e ambientale sta minacciando il nostro cibo, non solo quello degli animali selvatici. Per rinsavire bisognerà aspettare di essere costretti a vendere il rolex o la moto per comperare una cassa di patate o un sacco di farina?

Gli scienziati del clima non sono del tutto concordi sul punto di non ritorno, oltre il quale la catastrofe non potrà più essere evitata; alcuni pensano che sia già stato superato, altri ritengono che ci sia ancora tempo, un po’ di tempo ancora per salvare la vita così come la conosciamo, cambiare società, economia, consumi, stili di vita, abbattere il capitalismo che è incompatibile con la salvezza del pianeta. E, per abbatterlo, oltre a combatterlo, dobbiamo smettere di nutrirlo: non si può spegnere il fuoco buttando acqua e insieme combustibile sulle fiamme.

Ma una cosa è sicura, a proposito del punto di non ritorno: se gli alberi, a causa del marasma climatico, non riusciranno più a crescere, vivere, riprodursi, allora non ci sarà più salvezza per nessuno.

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Dorme nella corolla

l’ape spossata

dal tardivo inverno,

l’accoglie la calendula

e se ne stanno immobili

dentro i loro colori

di sole.

L’ape è leggera

non inclina il fiore,

forse la calendula

sta medicandola

coi suoi poteri magici:

estratti di luce

misteri del sasso

e della terra.

Ambedue hanno

un secondo fine

ed è la vita.

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qualche ulteriore considerazione mia:

?otto miliardi di persone possono cambiare stile di vita? qualche miliardo, al massimo, potrebbe cambiare stile di morte.

?potranno salvarsi almeno loro?, che vivono già nell’estrema povertà.

no, anzi saranno travolti per primi.

gli altri non possono salvarsi, non hanno una terra alla quale tornare e non saprebbero neppure più come coltivarla.

del resto la maggior parte di loro, di noi, diventerà facilmente inutile al lavoro, che macchine senza debolezze o grilli per la testa potranno svolgere meglio degli umani.

cambiare lo stile di vita sarà possibile solamente quando diventerà inevitabile, per una catastrofe della civiltà che farà impallidire quella di 15 secoli fa attorno al Mediterraneo.

ma non è certo che il clima della Terra rimanga vivibile per la specie umana, né forse per qualunque specie complessa, nell’insieme del pianeta.

2 commenti

  1. Tutto vero come ci diciamo spesso in queste pagine ma io continuo ad non avere chiaro cosa sia il capitalismo contro cui si scaglia la bloggher e quindi quanto sia responsabile il capitalismo del depauperamento del pianeta.

    Mi sembra che si voglia prendere il capitalismo quale capro espiatorio per comodità, un colpevole facile quanto evanescente senza padrini ben definiti e comunque completamente diversi da noi.
    Se per alcuni la democrazia è la panacea per risolvere tutti i conflitti, per altri il capitalismo è l’origine di tutti i mali del pianeta. Formulazioni troppo semplici per generare qualcosa di applicabile alla realtà.

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    • condivido la tua critica, che rende esplicito quello che nel post non ho sviluppato, dato che oramai i lettori hanno fretta e non volevo appesantirlo troppo; ma nei commenti non mi impongo questi limiti.

      posso dunque confermare che accusare un generico capitalismo di essere la causa principale del riscaldamento globale è quasi consolatorio.

      sembra, per alcuni, basterebbe eliminare il medesimo, con una bella rivoluzione ispirata a Marx, Lenin e via dicendo, per risolvere il problema; ma siamo nel campo del marxismo come nuova religione.

      in questo modo si tace che Marx con la sua utopia scientifica del comunismo che avrebbe dato a ciascuno secondo i suoi bisogni è forse il migliore teorico del consumismo globale.

      e anche lasciando da parte che non ha approfondito affatto che cosa sono i bisogni, non si può evitare di vedere che i paesi che si sono ispirati alle sue teorie (URSS, Cina comunista) sono stati forse i più efficaci nel porre le basi di un rinnovamento profondo della vita tradizionale, basato su una fortissima intensificazione della produzione industriale e dei consumi sui quali si è basato il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.

      da questi paesi non viene nessun particolare esempio di lotta ai fattori che generano il riscaldamento globale e anche il pensiero di chi nel Novecento vedeva le rivoluzioni nei grandi paesi del Terzo Mondo come il laboratorio dove sperimentare nuovi modelli economici (Mao, Gandhi) è stato rapidamente accantonato, anche negli stati che avevano fondato.

      oggi appare più convincente una spiegazione molto meno filosofica della spinta dell’umanità all’autodistruzione attraverso l’esplosione demografia e l’incremento dei consumi.

      è vero che la religione ebraica, che definisce l’uomo come lo scopo stesso del mondo, e glielo sottopone come subordinato, dopo avere dato l’ordine di crescere e moltiplicarsi, è quella che ha dato voce più organica a questa visione aberrante ed arrogante del posto dell’uomo nella natura, ma questa teorizzazione è anche la piena realizzazione di una spinta biologica innata, che condividiamo con altre popolazioni animali.

      il confronto con quello che è capitato a loro è terribilmente istruttivo: una crescita esponenziale incontrollata, seguita dalla morte totale e fulminea di tutti i membri della specie, nell’arco di una sola generazione, una volta esaurite le risorse alimentari e quindi anche la loro possibilità di riprodursi.

      noi siamo umani e cerchiamo in vario modo di rallentare o variare il modello; tuttavia la strada che stiamo seguendo è esattamente questa. il capitalismo esaspera certamente la tendenza, ma questa è comunque universale ed appartiene oggi sostanzialmente a quasi tutte le società umane.

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