l’attacco alla Costituzione di dieci anni fa e quello di oggi.

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dieci anni fa iniziava, col governo Renzi un attacco globale alla nostra Costituzione del 1948, attraverso un disegno complessivo, incredibilmente scoordinato, che alla fine venne respinto con una maggioranza molto netta del 60% dei votanti al referendum confermativo.

oggi ci troviamo di fronte ad un attacco diverso, costruito in modo molto più abile e mirato: non una riforma complessiva, che gli elettori hanno mostrato di non volere, ma la modifica in apparenza di un punto circoscritto, ma cruciale, sul piano dei rapporti politici.

eppure non è difficile accorgersi che l’obiettivo finale è sostanzialmente lo stesso, e questo spiega bene come mai Renzi, con le sue residue pattuglie parlamentari, ne condivida sostanzialmente l’impianto, salvo dissensi su punti specifici, e potrebbe risultare alla fine decisivo per farlo passare.

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trovo una forte conferma di questa affermazione in quello che scrivevo dieci anni fa della riforma costituzionale Renzi, nel suo primo emergere come proposta:

il tema fondamentale che è il cuore del programma politico di Renzi è la trasformazione della Costituzione italiana nella direzione richiesta dalla finanza internazionale sotto la guida esplicita della JP Morgan: la creazione di uno stato non più “anti-fascista”, dove i processi decisionali auspicati dalle banche mondiali possano essere presi rapidamente […], lontano dal vero controllo popolare (legge elettorale col premio e senza scelta dei rappresentanti), dopo avere smantellato sul piano locale i punti di controllo democratico decentrati (le province), per riportare le decisioni al livello corrotto delle Regioni, più facilmente controllabili – come nel programma di Gelli.

resurrezione delle Province a parte, la continuità tra la riforma Meloni – Casellati e la riforma Renzi – Boschi è evidente, pur nella differenza delle forme scelte per arrivare all’obiettivo.

fa venire i brividi che la legge fondamentale del nostro stato sia peraltro affidata a menti del calibro della Boschi o della Casellati.

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ma, detto questo, forse è ancora presto per occuparsene nello specifico, considerando il carattere ancora fluttuante del dibattito, con modifiche che intervengono via via si direbbe abbastanza a caso, per rimediare a incongruenze tecniche che emergono, ma senza un chiaro disegno d’insieme.

non credo neppure che i due partiti minori della coalizione siano poi così pronti ad introdurre per via costituzionale la donna sola al comando, che li emarginerebbe nella gestione del potere, mettendoli sotto ricatto permanente.

per questo mi accontento al momento di queste sparute e occasionali osservazioni, che comunque sottolineano il punto centrale della questione, e riservo di proporre una discussione più approfondita, quando ci sarà davvero un oggetto, cioè un testo definito, del quale occuparsi.

4 commenti

  1. Certo che è abbastanza indicativo il fatto che, se Lega e FI decideranno di “far saltare il tavolo”, lo faranno solo perché li atterrisce l’idea di dover obbedire ad una donna…

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    • apprezzo la battuta, ma è da decenni oramai che vediamo donne al comando nelle posizioni più diverse (dalla mitica Golda Mayr, alla Thatcher, alla Gandhi, alla Merkel, per non parlare della Clinton, e oggi la von der Leyen o la Lagarde o la nostra Meloni) e non mi pare che il sesso faccia proprio la differenza.
      anzi si potrebbe dire – mi correggo, dirlo non è opportuno: si potrebbe osservare sottovoce – che talvolta queste donne esasperano i loro tratti aggressivi, quasi per compensazione di non si sa quali frustrazioni o sensi di inferiorità, puntando a presentarsi come maschi alpha, più che come donne; e il caso della Meloni è davvero indicativo, direi perfino esemplare, per la sua pretesa rivelatrice di farsi chiamare al maschile.

      se Lega e Forza Italia probabilmente lavoreranno ai fianchi questa concentrazione del potere è perché ne toglie a loro, nelle forme di sottogoverno possibili, visto che deciderà tutto il capo investito dal carisma popolare; il sesso del capo non sarà determinante in questa opposizione, anche perché non cinta proprio niente fino a che la politica resta maschile nelle sue impostazioni.

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