?l’anima è immortale? la Trascendenza di Carbonelli. divagazioni di filosofia, 9

.

l’ultimo punto, 25. Fine, della quarta parte, Trascendenza, del libro Filosofia teoretica dell’amico filosofo Antonio Carbonelli, si apre con la domanda che ho messo all’inizio del titolo di questo mio post di commento: L’anima è immortale?

qui sono tentato quasi di mettere un punto a questa frase e di concludere il mio intervento già qui, lasciando ogni considerazione a chi leggerà e commenterà, e siamo davvero in pochi a dibattere attorno a queste questioni.

infatti sono in imbarazzo, in forte imbarazzo a proseguire.

. . .

l’impostazione che lui dà alla questione è la stessa che ha dato a quella dell’esistenza di Dio nel capitolo precedente:

Così, come già per l’esistenza di Dio, sul piano teoretico non è possibile dimostrare neanche l’immortalità dell’anima. Ma […] si può dimostrare la non-immortalità dell’anima? […] Di fronte all’aldilà, il so di non sapere socratico trova la sua espressione più alta.

a questo punto la sua proposta conclusiva è l’apertura alla trascendenza come possibilità, possibilità che non si può negare.

e, a questo punto, anche io potrei assumere la stessa posizione che ho assunto a proposito dell’esistenza di Dio nel mio post precedente: che Dio esista, come concetto, non ha bisogno di dimostrazione, è un’evidenza, visto che ci sono persone che ci credono, scrivevo.

ma per quest’altra questione, quella dell’esistenza di un’anima immortale, non posso compiere esattamente la stessa operazione mentale, e vado a spiegare perché, secondo me.

. . .

qui non abbiamo a che fare con un concetto astratto, che non ha nessun rapporto con l’esperienza concreta; l’affermazione che esiste un’anima e che quest’anima è immortale ha molto a che fare, invece, con la concretezza del vivere, e si colloca pienamente nel campo dello sperimentabile.

posso dire ancora, come ho fatto per il pensiero di Dio, che la mente umana ha dentro di sé un bìas cognitivo che la porta a credere irresistibilmente che il mondo dei suoi pensieri abbia una specie di esistenza autonoma dal resto e sussista di per sé: poi, sia che chiamiamo anima oppure no questo bisogno irresistibile di pensarci come un ente immateriale immortale, questo bisogno esiste, almeno nella nostra cultura occidentale

(sono meno sicuro, però, che possa esistere nelle culture dell’oriente che credono invece nella trasmigrazione delle anime, cioè nella loro continua trasformazione dopo la morte, e nella reincarnazione).

ma allora, ?anche l’anima esiste?, come modo di interpretare la realtà, esattamente come l’idea di Dio.

certamente sì, almeno in determinate culture; ma è anche abbastanza evidente che la forma tipica scientifica della cultura moderna ha portato all’abbandono di questo tentativo primitivo di interpretare le origini della coscienza, e quindi in questa nuova cultura l’anima non esiste, o non esiste più.

. . .

ma qui io voglio essere tollerante ed ammettere che l’anima esiste come forma di pensiero cristiana o islamica.

ho un amico di anni lontani, docente universitario di grande competenza, che crede davvero che con la morte si ricongiungerà in paradiso con i suoi cari defunti; ci crede come fatto vero e concreto, non come vaga simbologia; e io non posso che rispettare questo suo bisogno, e ritrarmi in punta di piedi, sottovoce, senza volere disturbare questa sua fede, anche se a me pare un’ingenua credenza.

ma ?chi sono io? per cercare di disturbarla.

insomma, dove esiste una fede autentica, questa nasce indubbiamente da un bisogno, che va rispettato.

. . .

ma nel caso dell’anima c’è un limite insuperabile alla tolleranza: creda, chi vuole, di essere un’anima immortale, ospitata provvisoriamente in un corpo mortale e destinata a sopravvivergli: ma questa sua fede deve restare rigorosamente soggettiva e non può arrivare in alcun modo alla pretesa di rappresentare davvero una descrizione oggettiva, sperimentabile, rigorosa.

la trascendenza non è razionale, come dice giustamente Carbonelli; quindi non può e non deve essere assunta in nessun modo a punto di riferimento per la regolazione della vita sociale.

io mi risparmierò di chiedere insistentemente che cosa sia l’anima di cui parla, a chi vuole crederci, ma solo fino al momento nel quale la sua fede resterà un fatto esclusivamente privato e ben consapevole del suo carattere di squarcio arbitrario fatto al tessuto razionale del conoscibile.

. . .

insomma, se l’anima non si capisce neppure bene che cosa sia, chi vuole creda pure che sia immortale, ma poi non pretenda per questa sua fede totalmente irrazionale nella trascendenza di vietare l’aborto, ad esempio, perché l’anima sarebbe immessa nel bambino fin dal momento del concepimento

(?prendendola da dove? non si sa; eppure se immortale, doveva pre-esistere dall’eternità, perché è principio abbastanza universale, altrimenti, che tutto ciò che ha un inizio, deve avere anche una fine).

nel momento in cui l’amante della trascendenza pretende di trascinare questa nel mondo immanente, a dettare delle regole di comportamento anche a chi non ci crede e non ne condivide la fede, allora la critica alla teoria dell’immortalità dell’anima ha tutto il diritto di diventare feroce e senza riguardi.

. . .

siccome non è certamente il caso dell’amico Carbonelli, posso risparmiarmi questa critica che non riguarda lui.

ma posso sussurrargli sottovoce che nel suo libro ha totalmente sottovalutato questo pericolo e non lo ha preso in considerazione come meritava, secondo me.

11 commenti

  1. Sapevo bene che con esistenza di Dio e immortalità dell’anima avrei sollevato un vespaio … e non solo tra chi non crede. Mi permetto di rettificare una citazione: “L’apertura alla trascendenza come possibilità, possibilità che non si può negare”, non “L’apertura alla trascendenza come possibilità, probabilità che non si può negare”. Per il resto, la domanda filosofia è: cosa rende vivo un essere vivente? Così come per il paragrafo 24 la domanda filosofica era: da cosa ha inizio tutto?

    "Mi piace"

    • ho corretto il lapsus nella citazione, grazie della segnalazione.

      la domanda che cosa rende vivo un essere vivente non è filosofica, nel senso che mi pare tu attribuisca alla parola: è scientifica, secondo me. e la corretta filosofia, sempre secondo me, dovrebbe rimettersi alle risposte della scienza.

      è vero che la ricerca scientifica ha delle difficoltà a dare delle risposte nette e ben definite a questa domanda, almeno per il momento, ma forse anche per sempre. ma noi dobbiamo semplicemente prenderne atto. scavalcare questa incertezza e pretendere di dare una risposta affidandosi al linguaggio cosiddetto filosofico, per sfuggire al limite, è soltanto un atto di arroganza, una nuova forma di bias cognitivo secondo me.

      la nostra mente non riesce neppure a capire bene come una particella possa essere in uno stato indeterminato tra esistenza e non esistenza, cioè di pura probabilità, fino a che non viene osservata, e così non capisce come possa essere in due luoghi diversi contemporaneamente; tuttavia le evidenze sperimentali che le cose stanno così oramai non mancano. e ci dobbiamo rassegnare all’incomprensibile.

      anche la vita appare come un processo provvisorio che si oppone in certi contesti limitati alla legge dell’entropia, cioè del disordine e dell’instabilità crescenti nell’universo, e dà luogo a strutture provvisoriamente stabili e capaci di riprodursi in forme simili, dato che non possono mantenersi indefinitamente in forme individuali, per la legge dell’entropia stessa.

      questa definizione della vita è ancora vaga, indubbiamente, e certamente non dà risposta alcuna alla domanda che cosa rende vivo un essere vivente. non la dà, perché è una domanda senza senso alcuno: è una domanda che appartiene soltanto alle storture della mente umana.

      succede lo stesso che con la domanda: ?da che cosa ha inizio tutto? dopo avere dimostrato che i rapporto di causa effetto è solo una forma operativa della nostra mente.

      la vera domanda è: ?perché? continuiamo a farci queste domande, anche dopo avere dimostrato che non hanno senso alcuno, cioè ce l’hanno soltanto nella nostra mente.

      "Mi piace"

      • Hai ragione, la domanda “perché?” è ancora più profonda … ne parleremo magari se e quando riuscirò ad affrontare anche la filosofia etica, il secondo pilastro abbattuto dalla filosofia della modernità. E sulla non-base del quale si sono non-fondati gli orrori del ‘900, e oggi si non-fondano lo stesso liberismo economico e gli stessi avvenimenti che agitano l’umanità de nostro tempo. Grazie dell’osservazione!

        Piace a 1 persona

  2. concordo con la tua riflessione.
    e penso che oggi si faccia ancora molta confusione tra “essere a favore dell’eutanasia” e “essere a favore del diritto all’eutanasia”; parlando con le persone nella mia stretta cerchia di conoscenze, noto che la differenza non è ancora molto chiara.
    (ho preferito l’esempio con l’eutanasia perché sull’aborto non riesco proprio a prendere una posizione)

    chi sono io per poter imporre il mio modo di vedere (basato ad esempio su certe credenze come quella dell’anima immortale)? non è meglio lasciar decidere, ognuno secondo la propria coscienza e il proprio credo, quello che vuole? se sono cristiano di certo non mi avvicinerò ad aborto/eutanasia, ma posso lasciar libero chiunque di decidere rispettando la sua libertà.

    un piccolo off-topic, non troppo off: gli orientali parlano di trasmigrazione delle anime, ma “cosa” è che trasmigra? non è anche essa un qualcosa di immortale? il buddismo nega l’esistenza di un “io” immortale, eppure afferma che il bodhisattva è colui che rinuncia al Nirvana e continua a re-incarnarsi per aiutare tutti a raggiungere l’illuminazione: ma “chi è” (o “cosa è”) che si rincarna?

    "Mi piace"

    • grazie anche di questo commento. tu porti il discorso sul diritto alla morte dignitosa, comunemente chiamata eutanasia, che io ho trascurato nel mio post, in modo che adesso mi risulta abbastanza inspiegabile. però forse è perché in realtà non ha alcun senso rifiutare il diritto ad una morte senza sofferenze inutili in nome della presunta anima immortale, dato che, se questa esiste, la morte stessa è soltanto apparente e riguarda solo il corpo, che non sarebbe altro che una specie di involucro, di rivestimento dell’anima.

      anzi la fede in un’anima immortale dovrebbe essere il migliore argomento a favore della liberazione di quell’anima da un corpo che ad un certo punto la opprime e tormenta con le sue sofferenze.

      ritorno invece sul problema dell’aborto, che potrebbe essere affrontato alla stessa maniera, anzi addirittura accelererebbe l’accesso di un’anima alla perfezione del Paradiso, prima che possa macchiarsi di qualunque peccato.

      ma in realtà non si può procedere molto con questi paradossi, e io capisco bene che chi è convinto, o si è fatto convincere, che l’embrione è un essere umano cosciente fin dal momento del concepimento, quando è ancora una cellula sola fecondata, possa provare un orrore insuperabile all’idea che qualcuno possa sopprimere un essere umano già pienamente formato.

      ma questo è soltanto un esempio del cattivo uso politico che si può fare di determinate convinzioni (e come dicevo, nel suo libro Carbonelli non affronta a sufficienza, secondo me, proprio questa dimensione del problema).

      ed ecco che gli antiabortisti americani fanatici uccidono medici che praticano l’aborto, cioè tolgono la vita a persone indubitabilmente coscienti, in nome della difesa di grumi di cellule che considerano vittime di un vero e proprio omicidio, per cui si assumono il ruolo di vendicatori.

      questa distorsione non è mai appartenuta al pensiero cattolico, la introdusse soltanto Wojtyla; ci aveva provato un altro papa nel Cinquecento, ma era stato immediatamente smentito dal successore. per cui quella di Wojtyla è una vera e propria eresia, che si è fatta largo nella chiesa cattolica, dal mio punto di vista; la chiesa era sempre stata concorde nell’attribuire l’ingresso dell’anima nel nascituro ad un periodo successivo al concepimento di diverse settimane, e mai l’aborto è stato considerato un vero e proprio omicidio, dal punto di vista morale, prima che ai nostri anni.

      ma la distinzione fra scelta etica individuale (anche io sono individualmente contrario a praticare l’aborto e sono stato coerente con questa scelta nella mia vita) e legislazione statale esige una visione della vita relativistica e laica, che è ben diversa dalla fede, e da questa contraddizione non si sfugge.

      per cui il filosofo deve almeno tentare di rendere relativistica anche la fede, e il credente consapevole dei limiti della sua fede, anche senza rinunciarvi.

      forse il libro di Carbonelli vuol essere un passo in questa direzione, e in questo senso va rivalutato.

      Piace a 1 persona

    • per chiarezza rispondo con un commento a parte sulla questione della trasmigrazione delle anime nelle religioni orientali che la prevedono, induismo e buddismo.

      non sono un esperto di tali religioni, quindi non so darti una risposta piena; tuttavia, secondo me, vi è una differenza clamorosa ed evidente tra l’idea di anima occidentale, cristiana e islamica, e orientale.

      per noi l’anima sopravvive eternamente nella piena consapevolezza della propria vita passata e nella onniscienza di tutto quello che avviene ovunque dopo la morte: per noi l’anima è il trionfo, dunque, di quello che chiamerò il principio di individuazione.

      per gli orientali l’anima che trasmigra in un nuovo corpo perde ogni consapevolezza del proprio passato e non acquista nessuna visione superiore della realtà. la parola anima è la stessa, ma indica qui qualcosa di completamente diverso, che è in sostanza semplicemente un vago principio vitale, che non evita la dissoluzione dell’individualità, che rimane l’obiettivo etico positivo della vita umana per queste religioni.

      che il bodhisattva rinunci al Nirvana e continui a re-incarnarsi per aiutare tutti a raggiungere l’illuminazione mi torna nuovo, ma ripeto la mia ignoranza, e ti sarò grato se mi darai qualche elemento in più, visto che mi sembri più informato di me su questi temi.

      Piace a 1 persona

      • Ti ringrazio per le risposte.

        No, non sono neanche io esperto di religioni orientali, ma quella del bodhisattva era una figura che mi aveva parecchio colpito (anche paragonata al cristianesimo).
        Nel cristianesimo ognuno si salva per sé e cerca di salvare anche gli altri in questa vita; ma una volta arrivati nell’Aldilà si va all’Inferno o al Paradiso.
        Mi colpiva come il bodhisattva invece rinunciasse al suo “premio finale” (immagino molto ambito), per tornare a salvare gli altri.
        Ma da qui il dubbio su “chi fosse” il bodhisattva; in qualche modo mi hai dato una risposta, è probabilmente uno spirito vitale particolare slegato dalla singola individualità.

        "Mi piace"

        • ringrazio io te, perché la mia conoscenza del buddhismo è così superficiale che non avevo mai dato troppo peso a questa figura del maestro buddista che arriva alle soglie del nirvana, ma si astiene ancora dall’entrarvi per compassione verso gli altri e per aiutarli a trovare pure loro la strada dell’illuminazione, come aveva fatto appunto Buddha stesso per una parte della sua vita.
          devo dire che l’elemento della pietà e solidarietà per gli altri mi era sempre sembrato avere nel buddismo un ruolo molto minore che nel cristianesimo, ma vedo che non è così, almeno per questo tipo di lettura di queste religione.
          da un’occhiata data in giro, stimolato dai tuoi commenti, mi pare di avere capito che la venerazione per la figura del bodhisattva non appartiene però a tutto il buddismo, ma soltanto alla scuola del cosiddetto grande veicolo, che si creò con uno scisma, probabilmente, attorno al I secolo avanti Cristo.
          ed ora capisco meglio le origini di questa mia sottovalutazione, perché il buddismo io l’ho conosciuto attraverso i miei viaggi in Asia, e in particolare in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Birmania e Laos (paesi che ho conosciuto proprio in questi ordine), dove domina in tutti il buddismo del piccolo veicolo o theravada, che non ha accettato questa interpretazione. il buddismo del grande veicolo domina in India, dove non ho mai incontrato i culti buddisti, estremamente minoritari, oramai, dopo i secoli nei quali era divenuto religione di stato pure lì, o in Cina, dove non ho avuto modo di approfondirlo, pur se ne ho visto alcune manifestazioni, ma che mi sono sembrate di un culto piuttosto esteriore e lì pure relativamente ridimensionato.

          grazie ancora della bella discussione.

          Piace a 1 persona

          • grazie ancora a te!

            in merito alla pietà e alla solidarietà è vero che il cristianesimo ci punta molto, ma secondo la mia percezione lo porta fuori strada il fatto che sia un “comandamento”: come è possibile amare su comando? posso forse agire “come se amassi” ma di fatto resta qualcosa di inautentico se lo si vive in questo modo o – peggio – se l’Altro diventa “strumento” per raggiungere il mio personale scopo (=salvezza eterna).

            nel buddismo mi pare che pietà e solidarietà siano più punti di arrivo che punti di partenza, pertanto mi sembrano più “autentici”.
            (parlo sempre da ignorante in quanto ho solo letto pochi libri su questa religione).
            la tua conoscenza invece, nonostante tu dica il contrario 🙂 , mi sembra approfondita. deve esser stato bello “vederlo” di persona

            "Mi piace"

            • no, no, non è una posa: davvero conosco molto poco il buddismo teorico, ho letto pochissimo, e le idee che me ne sono fatto sono nate soprattutto nei miei viaggi in paesi dove è la religione prevalente.

              forse questo è anche un vantaggio, dato che sono rimasto estraneo al buddismo che definirò occidentale, cioè alla sua moda, invalsa in alcuni ambienti. un paio di conoscenze di persone di questo tipo, che si dichiaravano buddiste, sono state devastanti per l’aridità e l’egoismo che hanno rivelato, ma ho appreso in queste circostanze anche di strane teorie collegate in qualche modo alla predestinazione, secondo le quali ciascuno di sceglieva, nella sua vita precedente, i genitori.

              eguale diffidenza mi ha suscitato il buddismo tibetano, che ho collegato al predominio teocratico che i monaci buddisti esercitano di fatto in alcuni paesi e che alcuni vorrebbero ripristinare anche lì, in nome della tradizione specifica di quel popolo.

              un ultimo aspetto, ben poco considerato, è la sacralità attribuita in questa religione al corpo stesso del monaco, fonte di infiniti privilegi.

              come vedi, l’immagine del buddismo che ne ho ricavato è veramente poliedrica e sfaccettata e, come in ogni altra religione, confluiscono in essa aspetti anche molto contraddittorii.

              .

              mi ritrovo molto nella tua prima osservazione, che ho fatto varie volte anche io. se l’amore è un obbligo, un comandamento, non può essere autentico.

              ma la deformazione risale alle radici stesse dell’ebraismo, con i comandamenti della loro Bibbia, che sarebbero dati da Dio a Mosè.

              nella prima versione dell’Esodo, suonano così (e non sono ancora dieci):

              [17] Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.

              in quella riveduta e corretta del Deuteronomio, così:

              Non desiderare la moglie del tuo prossimo.

              Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

              nella seconda versione, quantomeno la moglie non è considerata una proprietà come le altre…

              ma l’essenza stessa di questa concezione morale è che i desideri siano una espressione della volontà e possano essere decisi. i guasti di questa concezione sono stati tremendi.

              l’idea che dobbiamo amare chi ci sta vicino per dovere è terribile, come dici giustamente: è abbastanza ovvio che quello non può essere veramente amore e che non si può provare amore per obbligo.

              Piace a 1 persona

Lascia un commento