due modi diversi di tornare a Londra senza aver bisogno di tornarci dal vivo.

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per una strana coincidenza ieri sono tornato a Londra virtualmente in due modi diversi e in due tempi diversi.

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in mattinata ci sono tornato nell’aprile 2004, esattamente il giorno 16.

ci avevo fatto delle riprese, che ho poi montato e pubblicato nel mio canale You Tube, parlandone ampiamente nel mio altro blog nel 2020 e nel 2022.

in queste settimane, in parallelo al blog, ho montato quei pezzi in una specie di libro autogestito, che avrà una circolazione soltanto familiare, visto che fu un viaggio fatto con buona parte della mia famiglia e perfino con la mia ex-moglie, da cui ero separato da 16 anni e divorziato da 8; ma al momento di cominciare a caricarlo su Amazon, ecco che mi accorgo che un pezzetto delle riprese di quel giorno era stato trascurato, anzi avevo addirittura scritto che erano andate perdute, ed ora dovrò aggiungere un paio di capitoletti, per completarlo bene.

eccomi dunque a montarle, quelle riprese ritrovate, vent’anni dopo esatti, e a presentarne qui la prima parte, assolutamente poco significativa, perché è soltanto la testimonianza di una mia strampalata escursione nella periferia londinese alla ricerca di…

ma non farò lo spoiler di me stesso e rinvio a domani per la rivelazione sorprendente.

qui, intanto, ecco soltanto una introduzione di un minuto, di nessun interesse, che documenta la benestante periferia londinese di due decenni fa.

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ma, non so come, questo videuzzo fa anche da introduzione del tutto immeritevole al mio secondo ritorno a Londra, fatto in serata, questa volta in un anno imprecisato fra il 1593 e il 1596, nel Globe Theatre si allora, tutto in legno, poi distrutto da un incendio, e recentemente ricostruito sulla base di antiche stampe.

mi ci ha accompagnato mia figlia Sara.

è inutile dire che assieme a lei, mi faceva da guida per la Londra di quegli anni l’autore di Pene d’amor perdute, rappresentata allora dalla compagnia di cui William Shakespeare era il factotum, in cui faceva l’attore, e alla quale dava il nome, mentre l’autore del testo era l’umanista italo-inglese Giovanni, John, Florio, ne sono convinto.

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questo Giovanni/John era figlio di un rifugiato italiano per motivi politico-religiosi, Michelangelo Florio, un frate francescano nato nel 1515, fuggito prima a Londra, dove avere generato nel 1552 o 1553 appunto John, da una relazione adulterina, e poi in Svizzera, col figlio, proprio a seguito dello scandalo suscitato da questo fatto.

ma il figlio tornò a Londra nel 1571, a 19 anni e, dopo alcuni anni difficili in cui sopravvisse facendo umili lavori manuali, entrò, da uomo assolutamente geniale qual era, da protagonista della vita culturale londinese di quegli anni.

ma questa affermazione mia, che sia lui il vero autore dei capolavori shakespeariani, è talmente controcorrente (figurati se poteva essere diversamente), anche se per niente isolata, oramai, che devo accennarne un poco di più, ma riprenderò l’argomento più avanti.

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la commedia Pene d’amor perdute era messa in scena a Brescia in un teatro di periferia da una compagnia di cui fa parte anche Sara, che però mi aveva taciuto che vi avrebbe avuto addirittura la parte della protagonista femminile, la principessa di Francia – anche se poi l’ha condivisa con un’altra attrice, una ragazza abbastanza somigliante a lei, con la quale si alternava a recitare la stessa parte in diversi momenti dei cinque atti dell’opera.

non credo che sia il caso di raccontarne direttamente la trama per esteso; basterà un accenno:

il re di Navarra propone a tre suoi cortigiani per voto tre anni di isolamento e di studio nella sua corte, senza contatti femminili; i tre accettano nonostante le resistenze e le riserve mentali di uno dei tre; ma il re ha dimenticato che sta per arrivare una ambasceria guidata appunto dalla principessa di Francia, che chiede la restituzione dell’Aquitania, che il re di Navarra occupa come garanzia di un grosso prestito fatto a suo padre.

per non violare il voto, il re e i suoi tre amici incontrano la principessa con sue tre dame d’onore fuori dalla corte, e se ne innamorano tutti perdutamente, tutti di tutte, o meglio, ciascuno della sua dama, e il re della principessa, ovviamente, secondo una gerarchia rigorosamente rispettata.

alla fine il voto fatto verrà violato, ma le quattro dame, per acconsentire al matrimonio, chiedono ai quattro spasimanti di farne un altro simile, della durata di un anno soltanto, alla fine del quale acconsentiranno solo se l’amore avrà resistito alla prova.

inutile entrare nel dettaglio delle schermaglie verbali fittissime, su cui si basa tutta la commedia, e il pubblico popolare di allora si divertiva, evidentemente, a questi giochi di parole, e dire che in esse le donne se la cavano benissimo e anche meglio degli uomini.

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la commedia vive su un duplice strato: la parodia delle usanze del corteggiamento galante delle classi elevate del tempo, ma nello stesso tempo anche l’ironia sui valori morali convenzionali e la rivendicazione ultima della sana insopprimibile potenza dell’amore, visto come forza naturale vitale e non come pura proiezione sentimentale.

lo conferma la storia parallela di un cortigiano maestro straordinario della cultura parolaia, che però mette incinta un’umile serva (come aveva fatto appunto il padre di John Florio).

diversi critici che hanno analizzato l’opera ne hanno messo in evidenza molti punti di contatto con le opere di Giordano Bruno, che visse esule a Londra dal 1583 alla fine del 1585, ospite dell’ambasciatore di Francia, che, visto che Bruno non conosce l’inglese, gli aveva affiancato, indovinate ?chi?.

ma !John Florio!, naturalmente.

in particolare i due condividono la satira verso i pedanti e la critica al petrarchismo, che sono al centro di questa commedia, che dalLo spaccio de la bestia trionfante avrebbe ripreso anche il tema della caccia al cervo, con dei riferimenti, pare, alla regina Elisabetta (qui riporto cose lette, soltanto).

ma gli studiosi shakespeariani ortodossi, che ritengono che l’autore delle opere, poi pubblicate effettivamente sotto il suo nome dal Florio, sia l’attore e factotum commerciale della compagnia William Shakespeare, non riconoscono questi collegamenti, in quanto, dicono, Bruno e Shakespeare non si sono mai incontrati, e Bruno scriveva in italiano, che Shakespeare non conosceva proprio; ma, se è per questo, è difficile anche pensare che potesse conoscere neppure le citazioni in latino che non mancano nel testo di questa commedia.

ma John Florio era vissuto a Londra molto vicino a Giordano Bruno, i quasi tre anni cui questo era stato lì, tra grandi polemiche per il suo sostegno a Copernico, e la lingua italiana evidentemente la conosceva, in quanto era la sua madrelingua.

del resto, proprio nel 1592, un anno prima della data di possibile rappresentazione di quest’opera, era stato pubblicato in un libello una tirata contro Shakespeare, che lo definiva un corvo venuto su dal basso [dal sud?], abbellito con le nostre piume, che, col suo Cuore di tigre avvolto in una pelle d’attoreritiene di essere capace di sparare fuori un verso blanke come il migliore di voi; e, anche se è soltanto un Giovanni [John] factotum, è nel suo proprio concetto l’unico Scuoti-scena (Shakescene) del paese.

ma lascio da parte queste ulteriori conferme indirette della vera attribuzione a Florio delle opere della compagnia teatrale londinese Shakespeare, e torno allo spettacolo.

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la regista ha saputo sfrondare con efficacia le parti meno comunicative del testo e creare uno spettacolo agile e trascinante.

io, sordastro come sono, ho patito parecchio per l’acustica della sala e pur dalla decima fila, accanto a Francesco, il neo-marito di Sara (si sono sposati il mese scorso), mi sono perso diverse battute, in cui il resto del pubblico rideva, e io facevo finta.

per fortuna mi ero sobbarcato alla lettura integrale dell’opera prima di andare a vederla e così conoscevo bene la trama e sono riuscito a seguirla anche senza capire bene tutte le parole.

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insomma, nonostante questo mio limite acustico, anche questo mio secondo ritorno a Londra della giornata mi è servito da recupero memoriale di momenti del mio passato.

perché la storia, alquanto tormentata, di come sono arrivato a identificare in John Florio l’autore delle opere teatrali della compagnia Shakespeare, la trovate riassunta qui sotto.

https://bortocal.wordpress.com/2009/03/10/39-cp-michel-agnolo-florio-shakespeare-il-siciliano/ – 19 marzo 2009. primo post sull’argomento, con una identificazione sbagliata di Shakespeare col padre di John Florio

https://corpus15.wordpress.com/2016/04/23/unantica-invettiva-contro-shakespeare-il-siciliano-213/ – 23 aprile 2016

https://corpus15.wordpress.com/2016/12/04/chi-e-sepolto-nella-tomba-di-shakespeare-556/ – 4 dicembre 2016

https://corpus15.wordpress.com/2017/01/11/shakespeare-bufale-monumentali-15/ – 11 gennaio 2017

https://corpus15.wordpress.com/2019/01/23/visita-di-verona-26-gennaio-2019-e-il-mistero-di-shakespeare-materiali-illustrativi/ – 23 gennaio 2019

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e nessuno dica adesso che questo post non ha capo né coda, perché è semplicemente !vero!

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