Hitler, Mussolini, il Vietnam, Zelensky – 208

la guerra è guerra e, dopo che abbiamo detto che ci fa schifo, resta guerra lo stesso.

(l’ONU comunque continua a quantificare in 4mila le vittime civili della guerra in Ucraina dall’inizio delle ostilità; nel Donbass nella guerra civile in corso dal 2014, si calcolano globalmente 12-14mila vittime tra entrambe le parti).

nella guerra ogni partecipante ha alcuni obiettivi elementari, e provo a mettere in un ordine di importanza le scelte che ne conseguono, nel senso che l’impossibilità di raggiungere il primo costringe a passare al successivo:

1) vincere la guerra senza che gli sconfitti possano porre condizioni per la resa;

2) ottenere alcuni obiettivi che comunque giustifichino le perdite subite;

3) ottenere alcuni obiettivi comunque;

4) ritornare alle condizioni precedenti all’inizio della guerra o comunque equilibrare concessioni e conquiste in un senso globalmente simile, cioè in un compromesso equilibrato fra le parti;

5) fare alcune concessioni, per arrivare alla pace, senza pregiudicare però la tenuta complessiva dello stato;

6) fare alcune concessioni, per arrivare alla pace, anche sostanziali, ma sempre senza pregiudizio per la tenuta dello stato;

7) arrendersi senza condizioni o fare concessioni tali da pregiudicare la tenuta dello stato.

come è evidente, la scelta 4 indica un pareggio.

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l’abilità di un leader politico è quella di sapere prevedere l’andamento di una guerra, nonostante i numerosi fattori occasionali che possono cambiarne l’esito, e regolarsi nella scala delle scelte descritte sopra, per minimizzare il danno al suo paese e al suo popolo nel caso debba affrontarne una.

non è solo questione di senno del poi; alcune previsioni razionali si possono fare anche prima.

faccio tre esempi, prendendoli dalle due guerre mondiali e da una guerra globale, quella del Vietnam del 1964-75.

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nella prima guerra mondiale, con gli schieramenti in campo, gli Imperi Centrali sono costretti a combattere su due fronti: a occidente contro Francia e Inghilterra, ad oriente contro la Russia.

la loro posizione si aggrava dopo che l’Italia tradisce l’alleanza con loro e si schiera con l’Intesa (creandosi la fama di alleato poco affidabile, mai più smentita), e neppure l’alleanza con l’Impero Ottomano riequilibra la situazione, perché non è in grado di risolvere il problema del doppio fronte, che vanifica anche una evidente superiorità militare germanica sul campo.

in queste condizioni che senso aveva cominciare la guerra? non era già chiaramente persa in partenza?

vero che nel 1917 avviene un fatto nuovo, che sembra in grado di rovesciarne le sorti, ed è la disfatta ad oriente dell’esercito russo e l’uscita dalla guerra del nuovo stato sovietico.

(guardare bene questa scelta, perché rientra nella categoria indicata sopra col numero 6: concessioni sostanziali, che vedono un arretramento enorme della frontiera russa e la concessione dell’indipendenza a Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ucraina; però non mettono in discussione la tenuta del nuovo stato, anzi lo rafforzano e gli consentono di reggere vittoriosamente gli anni successivi di guerra civile e dall’esterno contro gli eserciti reazionari della Polonia e dell’Ucraina.

che cosa fu questo se non lungimiranza?)

ma neppure la possibilità di concentrare ora i propri eserciti a occidente salvò gli Imperi centrali dalla catastrofe: vi fu, sì, la rotta di Caporetto, contro l’Italia che era l’anello debole della catena degli alleati occidentali, ma l’ingresso in guerra degli Stati Uniti riequilibrò l’uscita della Russia e si rivelò decisivo per chiudere la guerra, ponendo anzi le basi della successiva egemonia americana sul mondo.

ora, Germania e Austria-Ungheria potevano entrare in guerra contando fin dall’inizio sul crollo russo? no, non lo immaginavano neppure, dato che concentrano i loro primi sforzi ad occidente, contro la Francia, e ottennero anche risultati importanti, ma non una completa disfatta francese, e non ad oriente, contro la Russia.

quindi, in assenza di questa previsione strategica, che senso ha avuto una guerra, che perdipiù è stata proprio scatenata da loro?

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l’esempio n. 2 riguarda la seconda guerra mondiale, dove la Germania, memore della dura lezione precedente, si assicura preventivamente la neutralità russa, ha ben presto l’appoggio stavolta anche dell’Italia fascista, e riesce a travolgere del tutto la Francia, eliminando un fronte terrestre occidentale.

tutto perfetto strategicamente, allora?

anche se è accertato che Hitler fu colto di sorpresa dalla decisione di Francia ed Inghilterra di dichiarargli effettivamente guerra dopo l’invasione della Polonia, possiamo ammettere che, dal suo punto di vista, la guerra fu iniziata nella migliore delle condizioni possibili.

ma la seconda sorpresa per lui fu la fermezza inglese nel rifiutare ogni trattativa di pace, neppure dopo i tremendi bombardamenti a tappeto delle città inglesi.

che cosa avrebbe dovuto fare allora Hitler? la prospettiva di una resistenza tedesca ad oltranza era indebolita dalla mancanza di petrolio, ma la scelta di attaccare l’URSS per arrivare a procurarselo al Caucaso fu completamente suicida, perché ricostituì lo schema perdente della guerra su due fronti della prima guerra mondiale, come confermò anche il nuovo ingresso americano nella seconda guerra mondiale nel 1941.

si può dire dunque con assoluta certezza che la guerra era persa per la Germania hitleriana già a fine 1941; che senso hanno avuto i successivi tre anni e mezzo di guerra e distruzioni?

che senso ha avuto, a fine 1943!, con l’Italia meridionale già occupata dagli alleati, il ritorno di Mussolini a capo della repubblichetta di Salò per una resistenza puramente suicida?

la speranza isterica hitleriana che gli scienziati tedeschi arrivassero a costruire la bomba atomica prima di quelli americani ed ebrei fuggiti dall’Europa hitleriana?

ma che senso ha, per un leader responsabile, affidare il destino di un popolo a speranze così vaghe ed incerte?

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il terzo ed ultimo esempio riguarda la guerra nel Vietnam e va in direzione contraria rispetto alle considerazioni fatte sinora: infatti, chi avrebbe mai scommesso sulla possibilità dell’esercito del Vietnam del Nord e dei guerriglieri vietcong nel sud di sconfiggere il più potente esercito del mondo, quello degli USA? che entrarono in guerra sicurissimi di vincerla.

eppure andò esattamente al contrario; gli strateghi del Pentagono sbagliarono tutte le loro previsioni e quelle di Ho Chi Min e Giap, i capi della resistenza vietnamita, si rivelarono giuste: evidentemente conoscevano il campo meglio dei generali americani.

eppure, dopo l’offensiva del Tet, il capodanno vietnamita, quando la guerra risultò chiaramente persa, gli americani seppero ritirarsi, anche in questo caso con una scelta del sesto tipo (come quella sovietica del 1918): con concessione all’altra parte praticamente di tutto quello che voleva, ma salvando la tenuta del loro impero, nonostante il ridimensionamento, e ponendo anzi le premesse per i dieci anni di guerra in Afghanistan che furono la loro rivincita.

e qui in Afghanistan fu invece la Russia a trovarsi a fare all’ultimo momento la scelta di una ritirata, che però si è rivelata distruttiva per lo stato stesso, l’URSS, che è andata in dissoluzione negli anni immediatamente successivi.

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questa lunga divagazione apparente serve per arrivare alla domanda centrale: come è oggi la situazione in Ucraina?

non ribadisco che a mio parere, per riaprire le trattative sugli accordi di Minsk, che l’Ucraina rifiutava di rispettare, e porre termine alla guerra civile contro le minoranze russe di quel paese, la Russia aveva a disposizione altre possibili iniziative che una guerra aperta: soprattutto in campo economico, col blocco delle esportazioni di gas e petrolio,

prendiamo atto che la scelta alternativa è stata quella di una invasione militare, che ha avuto all’inizio addirittura l’obiettivo velleitario di cancellare l’Ucraina dalla carta geografica, negandone l’identità stessa.

ma il fallimento iniziale di questo primo obiettivo russo rischia oggi di nascondere il fallimento della strategia alternativa scelta dall’Ucraina e, dopo due mesi dall’andamento incerto, la progressiva affermazione della Russia sul campo.

non a caso la Russia era disponibile a trattative, che l’Ucraina ha rifiutato, sia immediatamente prima della guerra (e allora l’Ucraina ha fatto fallire la proposta di mediazione tedesca) sia subito dopo.

oggi il rifiuto ucraino di trattare, se non su posizioni totalmente irrealistiche, maschera la disperazione dovuta al fatto che oggi è sostanzialmente la Russia a rifiutarle, perché si sente vincente…

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allora, che cosa dovrebbe fare un capo di stato effettivamente interessato a ridurre i danni della guerra al suo popolo? (non sto parlando di Zelensky, evidentemente, che non appartiene di sicuro a questa categoria).

prendere atto delle forze reali sul campo e largheggiare in concessioni, ponendo forse le basi di un consolidamento interno futuro, ed impedendo il collasso completo del paese, dato che questo potrebbe riportare in primo piano il disegno originario di Putin, inizialmente fallito.

naturalmente il prezzo da pagare sarebbe sicuramente anche quello di mettersi personalmente da parte e lasciare spazio ad altri leader; ma è poi così assurdo salvarsi la pelle, anziché rischiarla in una ostinazione senza senso, contando su armi americane sempre più potenti, cedute peraltro ad un esercito in via di sfaldamento?

la Russia non ha già appena dimostrato in Siria di essere in grado di sconfiggere una guerra americana fatta per procura attraverso gli integralisti islamici locali?

perché dovrebbe andare meglio con gli integralisti neonazisti ucraini?

e peraltro non si direbbe.

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non sono certo uno stratega, la mia analisi dei rapporti di forza in campo può essere totalmente sbagliata; ammetto pure la possibilità che Zelensky, e soprattutto i suoi burattinai americani, abbiano fatto delle valutazioni più accurate delle mie e che i rapporti di forza siano invece contrari e garantiscano la sconfitta di Putin sul campo; dopotutto loro hanno dei dati, anche logistici, che io non ho.

però questo non cambierebbe la sostanza delle mie argomentazioni e soprattutto della mia domanda: che cosa induce un capo di stato a buttarsi in una guerra anche quando una valutazione obiettiva e sensata delle forze in campo indica una sconfitta probabile, salvo eventi assolutamente imprevedibili?

e quei leader che resistono ad una resa, fino all’ultimo uomo, contro ogni evidenza, facendo massacrare il loro popolo e distruggere il loro paese, sono eroi o criminali?

magari criminali con qualche attenuante, perché malati di mente, direi io…

che tuttavia domando ancora: e noi che cosa ci facciamo al loro fianco?

5 commenti

  1. Facciamo gli utili idioti autolesionisti. Gli ucraini non sembrano voler negoziare, i russi in questo momento non ne avrebbero nessun vantaggio. Si sta cercando la “guerra del grano”, tutti preoccupati delle carestie dei poveri africani (quando mai ce n’è fregato qualcosa?), poi a spizzichi e bocconi viene fuori che i porti sono stati minati proprio dagli ucraini. Nel contempo gli аmericani, sempre loro, ventilano di fornire missili a lunga distanza. Io mi chiedo: da dove li tireranno questi missili, e dove? Per esempio, se li piazzano a ovest metteranno anche quelle popolazioni, finora risparmiate, a rischio di venire bombardate. E dove li vogliono tirare, in Russia? È ovvio che così si alimenta l’escalation. Alla fine qualche generale farà quello che avrebbe dovuto fare da subito: arrestare Zelesky e la sua cricca e cominciare a ragionare.

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