dieci anni prima: 10. Chomsky e il pacifismo dei pensionati – 21 marzo 2014

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continuo a ripubblicare i miei post di dieci anni fa sulla questione Russia – Ucraina, quando arrivo a trovarne qualcuno nel giorno del decennale.

qui ecco un’intervista del manifesto a Chomsky del 20 marzo di dieci anni fa, utile anche a rendersi conto di quanto sia cambiata la posizione di quel giornale nel frattempo.

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trovo in rete questa intervista a Noam Chomsky, la cui importanza nell’ambito della filosofia, per i suoi studi di linguistica, è paragonabile a quella che nella storia ha avuto Platone.

apprendo dalla presentazione che anche Chomsky è andato in pensione, come docente universitario, inevitabilmente.

mi domando quanto possa essere rassicurante che la voce del buon senso pacifista sia sempre più evidentemente limitata a persone abbastanza avanti con gli anni.

se la voce della pace continuerà ad essere affidata a qualche grande vecchio, la pace non sopravviverà a lungo, anche se probabilmente supererà anche la crisi di Crimea.

l’intervista risale al Manifesto.

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il m.: L’Occidente sem­bra essere pre­oc­cu­pato da quello che qual­cuno ha defi­nito il «fascismo» di Putin. E men­tre tor­nano i toni da guerra fredda, la situa­zione, in Cri­mea, rischia di precipitare…

C.: Non solo in Cri­mea, direi che anche qui, in Asia orien­tale, la ten­sione è altis­sima, tira una brut­tis­sima aria. Il recente rife­ri­mento del pre­mier Shinzo Abe — per il quale non nutro par­ti­co­lare stima — alla situa­zione dell’Europa prima del primo con­flitto mon­diale è più che giu­sti­fi­cato. Per­ché le guerre pos­sono anche scop­piare per caso, o a seguito di un inci­dente, più o meno pro­vo­cato.

– [NOTA MIA] Chomsky, rispondendo, sposta l’attenzione sull’Estremo Oriente; sono confortato nello scoprire che, come me, considera ben più pericolosa per la pace mondiale la situazione di quella zona del mondo. –

C.: Quanto alla Cri­mea, fac­cio dav­vero fatica ad asso­ciarmi all’indignazione dell’occidente. Leggo in que­sti giorni edi­to­riali assurdi, a livello di guerra fredda, che accu­sano i russi di essere tor­nati sovie­tici, par­lano di Ceco­slo­vac­chia, Afgha­ni­stan. Ma dico, scher­ziamo?

Per un gior­na­li­sta, un com­men­ta­tore poli­tico, scri­vere una cosa del genere, oggi, signi­fica avere svi­lup­pato una capa­cità di asser­vi­mento e subor­di­na­zione al «pen­siero comune» che nem­meno Orwell avrebbe potuto imma­gi­nare.

Ma come si fa? Mi sem­bra di essere tor­nato ai tempi della Geor­gia, quando i russi, entrando in Osse­zia e occu­pando tem­po­ra­nea­mente parte della Geor­gia, fer­ma­rono quel pazzo di Sha­kaa­sh­vili, a sua volta (mal) «con­si­gliato» dagli Usa. I russi, all’epoca, evi­ta­rono l’estensione del con­flitto, altro che «feroce invasione».

Per carità, tutto sono tranne che un filo russo o un fan di Putin: ma come si per­met­tono gli Stati Uniti di pro­te­stare, oggi, con­tro la Rus­sia, dopo quello che hanno fatto in Iraq – dove sono inter­ve­nuti senza un man­dato Onu a migliaia di chi­lo­me­tri di distanza per sov­ver­tire un regime, dopo aver men­tito spu­do­ra­ta­mente al mondo intero sulla sto­ria delle pre­sunte armi di distru­zioone di massa?

Voglio dire, non mi sem­bra che ci siano state stragi, puli­zie etni­che, vio­lenze dif­fuse.

Io mi chiedo: ma per­ché con­ti­nuamo a con­si­de­rare il mondo intero come nostro ter­ri­to­rio, che abbiamo il diritto, quasi il dovere di «con­trol­lare» e, nel caso, modi­fi­care a seconda dei nostri inte­ressi?

Non è cam­biato nulla, alla Casa Bianca e al Pen­ta­gono, sono ancora con­vinti che l’America sia e debba essere la guida – e il gen­darme – del mondo.

il m.: A pro­po­sito di minacce, oltre alla Rus­sia, anche la Cina e il Giap­pone fanno paura? Chi dob­biamo temere di più?

C.: Dob­biamo temere di più gli Stati Uniti. Non ho alcun dub­bio, e del resto è quanto riten­gono il 70% degli inter­vi­stati di un recente son­dag­gio inter­na­zio­nale svolto in Europa e citato anche dalla Bbc.

Subito dopo ci sono Paki­stan e India, la Cina è solo quarta. E il Giap­pone non c’è pro­prio.

Que­sto non signi­fica che non siano peri­co­lose e inac­cet­ta­bili pro­vo­ca­zioni quello che i nuovi lea­der giap­po­nesi stanno facendo, anzi per ora, per for­tuna, solo dicendo. Il Giap­pone ha un pas­sato recente che non è ancora riu­scito a supe­rare e che i paesi vicini, soprat­tutto Corea e Cina, non con­si­de­rano chiuso, in assenza di serie scuse e soprat­tutto atti di con­creto rav­ve­di­mento dal parte del Giappone.

Pro­prio in que­sti giorni leggo sui gior­nali che il governo, su pro­po­sta di alcuni par­la­men­tari, ha inten­zione di rive­dere la cosid­detta «dichia­ra­zione Kono», una delle poche dichia­ra­zioni che ammet­teva, espri­mendo con­tri­zione e rav­ve­di­mento, il ruolo dell’esercito e dello stato nel rastrel­lare decine di migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazio­na­lità e costri­gen­dole a pro­stu­tirsi per «risto­rare» le truppe al fronte.

il m.: Già, le famose «donne di ristoro», tut­ta­via ogni paese ha i suoi sche­le­tri. In Ita­lia pochi sanno che siamo stati i primi a gasare i «nemici» e anche inglesi e ame­ri­cani non scher­zano, quanto a cri­mini di guerra nasco­sti e/o ignorati.

C.: Asso­lu­ta­mente d’accordo. Solo che un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi sco­la­stici, un conto è il nega­zio­ni­smo: insomma, in Ger­ma­nia se neghi l’olocausto rischi la galera, in Giap­pone se neghi il mas­sa­cro di Nan­chino rischi di diven­tare premier.

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[NOTA MIA del 2014]

già, il dibattito sul massacro di Nanchino…

un mio video su You Tube, montato con i materiali video della mia visita [del 2010] al museo dedicato dai cinesi a quella strage di 300.000 persone, perpetrata dall’esercito giapponese invasore nel 1938, continua ad essere oggetto di commenti di neo-nazisti giapponesi, negazionisti come i nostri, che mi accusano di essere al servizio della propaganda cinese.

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