a proposito di NATO: il ruolo del comando di Verona nella strage di Piazza Loggia – 75

Francesco Delfino, allora capitano dei carabinieri a Brescia, era in servizio a Brescia quando avvenne la strage di Piazza Loggia.

la strage di Piazza Loggia! per me è qualcosa di sempre vivo: lì fu uccisa anche Giulietta, che era diventata un’amica; e il 28 maggio lavorammo assieme fino alle due di notte, a casa sua, in piazza del Foro, ad una mozione per il congresso provinciale della CGIL-Scuola, dandoci appuntamento per la mattina in piazza.

eppure devo fare forza su me stesso e pensare che è passato quasi mezzo secolo e parlarne oggi è come se quando avevo quindici anni mi avessero parlato della prima guerra mondiale.

faccio fatica ad ammettere che si tratta oramai di un fatto storico del passato, perché è come dirsi che anche io faccio parte di un mondo scomparso.

eppure questo fatto è una ferita rimasta ancora aperta, è un pezzo di storia che non vuole morire nel silenzio e nell’indifferenza, anche se mi domando quanto possa interessare oramai le nuove generazioni e i millennial.

perché un mistero ancora in parte irrisolto dopo mezzo secolo rischia di essere comunque un mistero morto.

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eppure si combatte e si fanno passi avanti ancora per la ricerca della verità, che arriverà del tutto quando non potrà più fare male a nessuno.

il capitano Delfino, allora, che fu incaricato delle indagini sulla strage, e in seguito, quando era già stato premiato col grado di generale, fu incriminato per il sospetto che l’avesse organizzata e alla fine fu prosciolto per mancanza di prove, e intanto è morto, pace all’anima sua, se ne aveva una.

ieri sono stati de-secretati i «fascicoli personali permanenti», di «soggetti imputati, indiziati o altro», «conservati» presso il comando generale dell’Arma dei carabinieri, e dunque anche il suo.

e già questa notizia da sola può far venire i brividi e perfino la tentazione di chiudere il post giù qui, per non togliere rilievo alla cosa, talmente è enorme.

perché per quasi mezzo secolo si è indagato o finto di indagare sulle stragi e su Piazza Loggia, però mantenendo segreti dei documenti essenziali forse per arrivare alla verità.

alla verità giudiziaria, almeno: perché alla verità del buon senso chi ragiona è già arrivato da molto tempo.

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la sinistra allora detta extra-parlamentare, perché rifiutava ancora i riti fasulli della presunta rappresentanza politica, oggi detta radicale soltanto, perché nel parlamento cerca invece di entrare, fu l’unica a parlare di strage di stato, senza riuscire a far diventare questo concetto senso comune, peraltro, come avrebbe meritato, e senza riuscire a farlo condividere dalla cosiddetta sinistra ufficiale, quella che conta davvero, o tanto o poco, nella vita politica.

questa, in quegli anni, preferì concentrarsi nella meno scomoda pista neo-fascista, senza volere accettare l’evidenza, prima logica e poi anche probatoria, che i neo-fascisti erano manovrati da apparati dello stato, che si dice democratico, ma poi di fatto è tuttora neo-fascista.

quasi cinque decenni di indagini ora portano invece proprio lì, ma in un semi-silenzio mezzo complice, mezzo imbarazzato, e nell’interesse soltanto dei pochi rimasti affezionati al tema della violenza di stato.

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torniamo allora al carabiniere Delfino, allora, che dall’ottobre del 1972, da Brescia, si occupa di eversione politica e indaga su una misteriosa serie di attentati ai treni della Valtellina, e a Brescia resta in servizio fino al 1977.

fu lui allora ad indicare come colpevole della strage Ermanno Buzzi, ambiguo personaggio del sottobosco malavitoso bresciano, ladro di opere d’arte “di professione”, che millantava di essere il Conte di Blanchery, e secondo una perizia psichiatrica era “un istrionico mistificatore”.

decisiva viene valutata una testimonianza di Ombretta Giacomazzi: Buzzi si sarebbe vantato con lei di esserne l’autore; Giordano Soffiantini, fratello di Carlo, che poi Ombretta aveva sposato, dichiarò: «Delfino, quando era capitano, aveva indotto Ombretta a testimoniare il falso, dopo averla arrestata».

anche Ugo Bonati, un uomo della banda di Buzzi, accusa quest’ultimo; ma poi scompare e ancor oggi non si sa che fine abbia fatto: depositario di troppi segreti.

su questa base nel 1979 il Buzzi fu condannato per la strage, insieme ad altri, e nel 1981 strangolato nel carcere di Novara da altri due neofascisti, che lo ritengono un delatore, un confidente dei carabinieri e prima che potesse fare le rivelazioni che aveva promesso.

ma nel 1985 la Cassazione assolse tutti gli imputati, compreso Buzzi, definito fantasiosamente «un cadavere da assolvere».

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negli anni Novante il ruolo di Delfino nelle investigazioni successive all’attentato cominciò ad essere oggetto di interesse, e lui venne anche ripetutamente interrogato dalla Commissione Stragi del parlamento.

in quella sede al giudice Guido Salvini venne esplicitamente chiesto se risultava nelle indagini qualche responsabilità del Delfino, ma la sua risposta fu secretata.

nella relazione finale però si scrisse che Delfino aveva indubbiamente impresso un ritmo ed una direzione alle indagini che probabilmente ha impedito la giusta valorizzazione di elementi che portavano in altre direzioni.

nel 1998 il terrorista di destra Carlo Fumagalli, che però aveva fortissimi motivi di risentimento per lui, affermò che Delfino sarebbe stato l’organizzatore ed il mandante della strage.

scrive il sito società civile.it: Oggi è possibile sapere qualcosa di più del capitano Delfino, il carabiniere che arrestava i «neri»: secondo alcuni testimoni, era un «nero» egli stesso, invischiato nel grande gioco dell’eversione degli anni Settanta. O meglio: era un uomo dello Stato che, all’occorrenza, si faceva passare per «nero» e usava spregiudicatamente i «camerati» per la sporca guerra senza esclusione di colpi che si stava combattendo. Racconta Carmine Dominici, ferroviere, ’ndranghetaro politicizzato, neofascista di Avanguardia Nazionale (al giudice di Milano Guido Salvini, verbale del 29 settembre 1994): «So che esisteva un ufficiale dei Carabinieri che curava il trasporto di timer ed esplosivi verso il nostro ambiente avanguardista calabrese. Non so il nome, ma so per certo che un ufficiale dei Carabinieri a cognome Delfino, appartenente a una Loggia massonica, era legato ad Avanguardia Nazionale. Era considerato “dei nostri”. Specifico che con la parola “nostri” indicavamo coloro che anche operativamente operavano con Avanguardia, a differenza della parola “vicini” con la quale indicavamo coloro che davano appoggio, ma senza partecipare a fasi operative. […] «Erano notori i legami di Delfino con la criminalità organizzata e quindi era da considerare interlocutore di adeguato livello». Ne risulta un bel mix di eversione e criminalità, di «neri» e di mafiosi, in cui gli uomini dello Stato, di alcuni apparati segreti dello Stato, giocano un gioco pericoloso. Delfino in quegli apparati è dentro fino al collo: è lui, dicono oggi i magistrati di Roma, quel «capitano Palinuro» che nel giugno 1973 partecipa a una cruciale riunione a Milano, nella zona della Galleria Vittorio Emanuele, per mettere a punto i piani del Golpe Borghese.

Il 14 maggio 2008, si giunse addirittura al suo rinvio a giudizio, con l’accusa di concorso nella strage, ma con sentenza d’appello diventata definitiva, del 14 aprile 2012 venne assolto per non aver commesso il fatto; e questo dovrebbe porre la parola fine ad ogni altra illazione, vero?

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ma recentemente sono emersi altri fatti: una nuova inchiesta sulla strage porta infatti al comando NATO di Verona: il giovane neofascista Silvio Ferrari, dilaniato da un ordigno che trasportava nella notte il 19 maggio 1974, era un informatore del vicequestore Lamanna della questura di Brescia, e aveva partecipato, assieme a Delfino, a riunioni a Verona a Palazzo Carli, sede del Comando Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa, quindi anche con ufficiali americani; lì si sarebbe preparata la strategia stragista.

Carlo Digilio era l’esperto di armi ed esplosivi dell’organizzazione fascista “Ordine nuovo”  che preparò e mise in sicurezza la bomba che poi arrivò a Brescia ed esplose in Piazza Loggia, ma nello stesso tempo era un agente informatore al servizio delle basi nato del Veneto, così come Maurizio Tramonte, condannato per la strage insieme al leader di Ordine Nuovo veneto Carlo Maria Maggi, era un informatore del Sid (servizio segreto militare del tempo) con il nome in codice di “Fonte Tritone”.

“Viene accertato lo stesso meccanismo socio-politico che abbiamo già visto operante anche a Piazza Fontana, cioè gruppi neofascisti che vengono inquadrati da frange istituzionali, militari e non, e ritenuti utilizzabili, utili per compiere quelle operazioni sporche che talvolta sono necessarie al potere“.

oggi un testimone di cui non viene fatto il nome, per ragioni di sicurezza, racconta di un monolocale mansardato, in via Aleardi a Brescia, in cui lui veniva portato da Silvio Ferrari e dove entravano carabinieri in borghese, mandati dal capitano Delfino, ma anche il vicequestore Lamanna.

lì il testimone ha riferito che Silvio parcheggiava all’interno e veniva ricevuto dal capitano Delfino, ed un un incontro sarebbe avvenuto la sera prima della morte di Silvio Ferrari; vi avrebbero partecipato, tra gli altri Roberto Zorzi e Marco Toffaloni. 

nella cantina di Silvio Ferrari fu trovato un candelotto di esplosivo, il Vitezit, la gelignite jugoslava, lo stesso esplosivo probabilmente utilizzato per la strage di piazza Fontana e non facilmente reperibile.

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tutto questo risveglia in me ricordi personali precisi di quegli anni:

il mio arrivo in Piazza Loggia il giorno della strage una quarto d’ora dopo lo scoppio della bomba, per un ritardo casuale che mi aveva fatto mancare l’appuntamento con Giulietta, mentre già i vigili del fuoco lavavano il selciato, evidentemente per cancellare le tracce dell’esplosivo, che avrebbe portato facilmente agli ambienti dalla quale veniva;

la mia intervista, assieme ad altri esponenti della vita politica bresciana di allora, al TG3, mai mandata in onda la mia, in cui avanzavo i primi sospetti sulla misteriosa assenza dei carabinieri sul luogo stesso della bomba, dove stazionavano abitualmente: si erano ritirati per la pioggia e il loro posto era stato preso da un gruppo di giovani insegnanti comunisti; ma il vero obiettivo della strage dovevano essere loro, come scintilla incendiaria di un colpo di stato, e non gli antifascisti che avevano casualmente preso il loro posto;

la soffiata ricevuta in seguito sull’origine dell’esplosivo in una cava del bresciano e da me trasmessa ad un giudice, che però l’aveva considerata una manovra diversiva, credo giustamente;

e infine un articolo scritto per Bresciaoggi, quando ci collaboravo, dove mettevo assieme alcuni di questi elementi e facevo una ricostruzione credo abbastanza vicina alla verità che ora emerge, esprimendo i miei dubbi su Delfino, ma la bozza fu misteriosamente fatta sparire da qualche manina che la sapeva lunga e che, anche lì dentro, era in rapporto con questi apparati deviati.

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scusate se tiro delle conclusioni sommarie da un articolo troppo lungo e da un giallo che non arriverà mai alle sue ultime pagine:

questa è la democrazia che difendiamo? è questo intreccio di fascismo, bombe, intrighi, doppi giochi, omicidi?

questa è la vera funzione della NATO, l’Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico, che ci difende in questo modo? partecipando all’organizzazione di stragi dei suoi cittadini?

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