il male che è soltanto l’altra faccia del bene – cronache dalla fattoria. 41 – 375

dopo la vendita dei sei maialini nani a fine agosto, non sembra che la fattoria abbia più offerto occasione di racconto ed io mi ero detto mentalmente che la serie poteva finire qui; anzi avrei potuto rimettere insieme i pezzi e vedere se reggevano come storia continuata, ma poco fa ho riletto quello che sarebbe stato l’ultimo capitolo e mi pare che avrebbe lasciato la storia monca.

rieccomi dunque ad aggiungere un altro post, a questa serie, che non riesce certo a diventare una saga, non perché ci sia davvero qualche cosa di nuovo di rilievo da raccontare, ma per continuare, fino a che non succederà qualcosa che illumini di senso questi giorni di scrittura, e non pretenderò certamente che questo senso sappia di immenso.

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è domenica dunque, oggi sono venuti a trovarmi non soltanto Rocco, il figlio, con i suoi, ma anche Marta e famiglia, e siamo andati a funghi, dopo che ho molto insistito per portarceli prima di pranzo, in località Draga, che sono poi due piccoli rialzi montagnosi in una frazione qua sotto, Mastanico.

l’altra domenica eravamo andati sempre a funghi, con Rocco & company, in un versante un poco più in alto e est, sulla strada per Teglie, assieme a degli amici che hanno una seconda casa qui, e siamo tornati a casa con una ventina di mazze di tamburo.

sulla ricchezza decantata da tutti dei funghi della Draga sono invece incerto: io ci sono andato soltanto un’altra volta, qualche anno fa, ma non ci ho trovato nulla; per questo insisto per andarci subito, così da poter tentare altrove dopo pranzo.

invece il luogo stavolta si rivela all’altezza della fama: funghi e funghetti dappertutto, io trovo perfino un piccolo ovolo giallo, il secondo della mia vita, e, in pieno slancio didattico, posso mostrare un paio di amanite, diversamente mortali, anche ai bambini, che si stanno arrampicando eccitati nel bosco, ma ascoltano con attenzione il nonno che tutto sa.

ecco la falloide e la panterina.

la più fortunata è Vera, la prima figlia di Marta, che trova ben due porcini, un giovane, classico, ed uno già grande e maturo, con i tubuli diventati gialli e il cappello marrone allargato, del tipo che qui chiamano nonne.

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si torna a casa e ci si rilassa dopo mangiato, io col pisolino senile in camera, i figli distesi nel prato sotto il sole di una giornata semplicemente stupenda di luce e canto luminoso della natura.

sarebbe stata quella giusta per andare io a fare il volo in parapendio che mi sono promesso, se solo ci fosse stata anche Sara, che invece non è venuta perché aveva degli impegni.

segue il saccheggio del mio orto, finalmente: spariscono carote, zucchine, un porro, qualche pianta di radicchio, tutti i pomodori, perché le mie piante oramai si sono tutte seccate, dei cetrioli, che però vendono lasciati a me, sapendo quanto ne sono goloso, un paio di melanzane, sfuggite settimana scorsa alla raccolta fatta da Rocco, che ne ha raccolto una cassetta intera e messo otto vasi sott’olio e fatto sei portate di parmigiane.

qualcuno potrebbe pensare che con questo la stagione sia finita: e invece le aiuole sono ancora lì che producono nella loro seconda giovinezza, dopo essersi esaurito durante il cuore siccitoso dell’estate, ed ora dà i suoi secondi raccolti, come avviene in Marocco, a quel che ho visto; e infatti, perfino le patate, raccolte ad agosto e ripiantate come per sfida, sono già rigogliose ed in fiore; e si aspettano i cavoli, che stanno già crescendo lentamente.

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gli alberi da frutta non sono da meno: non parlo delle mele, che quest’anno sono a zero, ma del fico, finalmente fruttifero al suo settimo anno.

e nessuno può dire la bellezza si saccheggiarlo, prendendo dai rami i frutti che mostrano d’essere maturi con il colore violaceo e buttando le bucce al pollame nel recinto sottostante.

solo da mia nonna, bambino, ricordo simili spanciate, arrampicato con la scala assieme a sorellina e cugine sul grande albero che sovrastava una parte della casa con i rami, e Dolores ad un certo punto scivolò, ma si trattenne dal cadere di sotto per i piedi rimasti impigliati nella scala.

dunque i frutti polposi e dolci, col granulato dei semi che scricchiola sotto i denti, fanno questa volta la parte proustiana della madeleine, ma in un modo che definirei quasin un poco più plebeo.

del resto, il sapore è troppo piacevole e forte per lasciare troppo spazio alle riflessioni filosofiche, ad essere capaci di farle, peraltro.

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perfino le angurie, piantate di nuovo quest’anno per ostinazione, dopo due o tre anni di fallimenti, per la prima volta non deludono: non sono diventate grosse come quelle della bassa, certamente, ma una angurietta di un paio di chili la facciamo cogliere nell’orto alle bimbe, ed è gustosissima e permette una piccola fetta d’assaggio a tutti e qualcuna come seconda anche per chi chiede il bis.

altre tre aspettano, non diventeranno grandi neppure altrettanto, probabilmente, ma le rinviamo alle prossime domeniche, che saranno un po’ meno affollate.

e insomma, ecco una morale, a volerla cercare proprio: che la siccità tremenda, vissuta qui, alla fine è stata benefica, anche se si è combinata col covid e con la depressione dell’estate più sofferente della mia vita.

ex malo bonum; il positivo nasce dal negativo e niente ha un lato solo.

capirlo aiuta a reggere le difficoltà e i dolori, meglio delle religioni, che peraltro hanno questo di buono: dicono esattamente la stessa cosa, pur se la condiscono con mille sciocchezze che sembrano necessarie per farsi ascoltare da quella scimmia spelacchiata che siamo noi umani.

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ma buonissima è anche l’uva fragola dell’unica pianta sopravvissuta, che si arrampica enorme, per una decina di metri, sulla facciata del lato occidentale della casa, e ha prodotto qualche decina di chili di grappoli incredibilmente dolci, che non abbiamo ancora vendemmiato.

ma io ne mangio regolarmente tre o quattro sia a mezza mattina che a mezzo pomeriggio e peggio per il diabete; del resto le analisi hanno mostrato che alla fine si è stabilizzato, dopo il covid, anche se le diete feroci e lui, combinati, oltre a farmi dimagrire, mi hanno lasciato spossato e fortemente anemico, come hanno mostrato le ultime analisi del sangue.

e non sono l’unico a patire del post-covid, direi, perché è molto dimagrita anche Viola, la maiala vietnamita che ha cresciuto gli otto piccoli e a volte sembra guardarmi con quel suo sguardo umano di rimprovero per averglieli portati via.

e io sono convinto, come si sa, che si fosse presa il covid da me, per quella decina di giorni in cui non riconosceva più gli odori e dunque non mangiava neppure più.

poi si era ripresa e l’avevo messa all’ingresso per tutto il periodo che ha allattato; ora sembra diventata la metà e non ha neppure l’ombra della vivacità dei due piccolini rosa che le ho lasciato.

e chi la vede qualche settimana dopo, come le bimbe di Marta, sottolinea la cosa con in certo dispiacere.

del resto dicembre si avvicina e con lui il momento di scelte dolorose; una vittima è già stata promessa al vicino che mi aiutò a catturare i maialini per poterli mettere in gabbia in vista del trasporto.

e qui è un poco di malum che nasce invece dal bonum della guarigione mia e sua, invece.

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ma è già ora della partenza per Marta; insisto per accompagnarli alla frazione di sotto a comperare una formagella fatta in casa dai vicini che mi stanno regalando il siero per i maiali: sono incredibilmente buone.

penso che potrei anche scendere con loro in auto e risalire a piedi, in fondo sono solo duecento metri di dislivello da fare, ma poi la pigrizia vince.

però i vicini neppure ci sono in casa, siamo scesi troppo presto, e io risalgo per la vecchia strada tutta in piedi che collegava la pieve al fondovalle e che è stata sostituita negli anni Cinquanta da quella più ampia e un po’ più lunga che si fa comunemente.

ci vogliono trenta secondi e forse trecento metri per arrivare a Marzago, un’altra frazioncina fatta di meno di dieci case e un vecchio conventino oggi riadattato ad abitazione.

qui la strada fa una curva a gomito e mentre svolto, ecco un camioncino che scende tutto sul mio lato della strada; lui si ferma a vedermi, e anche io freno subito, ma sembra che il freno non basti, eppure sono in salita.

così entro col cofano dell’auto sotto il suo fortissimo paraurti, che mi sperona a fondo.

maledizione! addio fanale e sembrano più di mille euro di danni.

. . .

e qui dovrei raccontare delle discussioni, peraltro pacate, attraverso cui non arriviamo alla firma della constatazione amichevole, anche se è chiaro che è concorso di colpa, perché la vecchia stradina è così stretta che non c’è linea di mezzeria.

ma rinvio questa parte della storia, o forse non la racconterò mai, perché da queste chiacchiere, iniziate senza scopo, sta già uscendo invece una morale.

quindi basta dire quest’ultimo fatto della giornata dopo, quando vado con l’auto dal meccanico, perché per fortuna riesce a muoversi ancora, anche col muso fracassato e danni al motore non se ne vedono.

ma lo sai che i tuoi freni hanno un problema? hai guidato a lungo col freno a mano tirato? si attivano soltanto un secondo dopo che schiacci il pedale. ti è andata bene, dai, che ti è successo mentre andavi pano e in salita.

certo, cribbio, penso adesso: guarda che danno e andavo forse a trenta: immagina che cosa sarebbe successo per una frenata andata a male mentre corri a centoventi all’ora, magari in autostrada.

. . .

ma è inutile darsi tante arie: la cosa l’aveva già fatto dire Goethe a Mefistofele, il diavolo: Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente opera il bene.

niente funziona in una logica binaria, salvo la nostra mente, tutto è sfaccettato, non facciamoci piegare da quello che sembra che vada storto; a volte basta aspettare, anche un po’ di più, per scoprire il significato positivo di quello che ci succede e ci soffrire e all’inizio ci restava segreto.

e perfino la vecchiaia ha il suo buon sapore, se lo gusti bene.

15 commenti

  1. Metto il link di Wikipedia che narra la vita del noto Al Khwarizmi :

    https://it.upwiki.one/wiki/Muhammad_ibn_Musa_al-Khwarizmi

    Matematico, astronomo, geografo e cronografo musulmano (m. metà sec. 9º), vissuto a Baghdād. Sue opere principali sono un rifacimento dell’atlante e della geografia di Tolomeo in base al testo greco, un trattato di algebra che è il più antico esistente in arabo, e alcune tavole astronomiche con testo esplicativo composte sul modello di un siddhanta (trattato astronomico indiano) e quindi note in arabo col nome di sind-hind. Ma la sua fama è fondata soprattutto sul trattato di algebra, ritenuto di fondamentale importanza per lo sviluppo di questa disciplina, tanto che dal nome del suo autore, deformato da un traduttore in Algorithmi, derivò il termine algoritmo, ancor oggi denotante uno schema di calcolo. L’opera di al-Kh., pur non andando oltre le equazioni di secondo grado, cioè oltre il campo della matematica greca (Euclide, Diofanto), presenta infatti, accanto alla riacquisizione di nozioni classiche, un notevole sforzo di elaborazione originale. Solo gli algebristi della scuola bolognese, all’inizio del sec. 16º, fornendo la soluzione delle equazioni di terzo grado, superarono il punto cui s’era arrestata la matematica di al-Khuwārizmī.

    Enciclopedia Treccani.

    Se ho ben capito inventò l’algebra !
    https://www.progettofibonacci.it/skede/maraba/khwarizmi.html

    Ho riportato un pensiero di quest’ ‘uomo perché lo trovo più che mai attuale il valore dell’uomo non è il valore commerciale di ciò che possiede proprio come scrivi tu .
    Ciò che affermi cioè che la ricchezza semmai toglie uno zero è onesta , è in rapporto ad una misura convenzionale nota a tutti e facilmente comprensibile. Ma non è un pensiero comune a molti .
    Il matematico ripropone un pensiero comune a tutti anche tanti secoli fa .
    La chiave di lettura, tra gli esempi che riferisce ,si trova
    nella conclusione , c’è l’essenziale ,di un suo pensiero che combacia con il mio .
    Credo che significhi

    Un giorno chiesero al grande matematico Al-Khawarizmi come giudicare il valore di un uomo.

    “Se ha compassione, allora il suo valore è 1…..
    ……

    Però se perde l’uno, che corrisponde alla compassione , perderà tutto ! ”

    Non saranno i diplomi , le lauree a renderci migliori, e neanche il denaro né il successo, non vi regaleranno intelligenza, cultura e tantomeno compassione.

    Di quanta crudeltà e di quanta indifferenza a volte è capace “l’essere umano”
    Quando è successo che è morta l’umanità?

    Forse è successo perché abbiamo deciso di essere i più intelligenti, i più all’avanguardia, i più tecnologici, ma abbiamo lasciato morire in noi la compassione, tutto ciò che insomma ci rende davvero umani.

    Provo angoscia di fronte a ciò che avviene , la guerra certo .
    Ma quante “guerre” con morti avvengono nel quotidiano e riguardano chi ha perduto la compassione
    Se ne facessimo parte ci
    resterebbero soltanto gli zeri
    Anche sulla vecchiaia e sulla morte abbiamo pensieri e sentimenti simili .

    Nel tuo articolo ho trovato tanta umanità e compassione Buona notte

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    • grazie di tutto, ma sul punto centrale, pur apprezzando che questo grande matematico metta la compassione come base della grandezza umana, non capisco come puoi dire che afferma che il valore dell’uomo non è il valore commerciale di ciò che possiede, dato che attribuisce alla ricchezza un valore moltiplicativo di 10 della base di partenza: naturalmente sta sempre parlando di ricchezza compassionevole, in coerenza col Corano.

      anche Foscolo scrisse: Tu, o pietà, sei la sola virtù.

      ma chissà se la pietà e la compassione (io direi l’empatia) sono lo stessa cosa.

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      • Noooo !
        Cambio di pagina e la mia risposta completa di cui ero e sono soddisfatta… È andata .

        E l’ordine c’era .

        Ora non riesco a scrivere tutto per bene .
        Ti risponderò ,per me vanno chiarite le differenze che esistono tra pietà ,compassione ed empatia ,sono importanti .

        Il valore commerciale dell’uomo ? !
        Questo benedetto matematico, in effetti riconosce nel numero 10 un valore commerciale, basso diciamocelo dai ,rispetto all’intelligenza per esempio .

        Ma alla fine annulla il valore dell’uomo dal momento in cui perde la “compassione” !

        Su questa parte tornerò e dirò il mio punto di vista mettendo in campo testa cuore e pancia . 😉

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          • Si riferiscono alla mia risposta a te che è sparita in chiusura …
            Ho osato troppo ?! Ammappete ohhhh

            Allora provo :
            La pietà si riferisce al sentimento di dolore per la sofferenza di un altro o problemi nella vita. La compassione si riferisce al sentimento di simpatia e al bisogno di aiutare l’altro ad alleviare le loro condizioni di vita. Sono che definizioni evidenziano la differenza tra pietà e compassione.

            Per provare pietà non dovrebbe essere necessario avere una corretta comprensione delle circostanze dell’altra persona.
            Puoi pietà di qualcuno semplicemente vedendo la loro desolazione e miseria.
            Se penso alle guerre che
            e vivo da lontano provo costernazione , senso di impotenza , anche moto di ribellione che è solo vano . passivo
            Certe foto e cronache nerissime ,entrano dentro e non svaniscono nel nulla,
            restano come bagaglio personale doloroso .

            Inoltre, la sensazione di pietà ha un senso di condiscendenza e sdegno in cui si tende a pensare alla persona miserabile come in un livello sotto di te; quindi la pietà non comporta alcun sentimento di empatia.
            Allo stesso modo, il sentimento di pietà per qualcuno sottolinea anche che ti senti a un livello superiore a quello e che ti dispiace solo per la loro miseria e i loro problemi, ma non fai alcun passo avanti per alleviare le loro condizioni di vita aiutandoli.
            Penso ad una situazione in cui provo pietà per un mendicante o un animale indifeso.
            Mi sento solo dispiaciuta , triste ma non faccio un passo ulteriore per cambiare la situazione delle loro vite.
            La pietà si riferisce al sentimento , spesso è uno stato d’animo momentaneo doloroso , per la sofferenza di un altro o dei problemi più marcati che accadono nella vita.

            La compassione si riferisce al sentimento di simpatia e al bisogno di aiutare l’altro per alleviare le loro condizioni di vita.

            Sono che definizioni evidenziano la differenza tra pietà e compassione.

            Per provare pietà non è necessario avere una corretta comprensione delle circostanze dell’altra persona.
            Provo pietà di qualcuno semplicemente vedendo la loro desolazione e miseria.

            Inoltre, la sensazione di pietà ha un senso di condiscendenza e sdegno in cui si tende a pensare alla persona sfortunata come se si trovasse ad un livello inferiore a te
            La pietà non necessita di alcun sentimento di empatia .

            Allo stesso modo, il sentimento di pietà per qualcuno sottolinea anche che ti senti a un livello superiore a quello e che ti dispiace solo per la loro miseria e i loro problemi, ma non fai alcun passo avanti per alleviare le loro condizioni di vita aiutandoli.
            Penso a una situazione in cui si prova pietà per un mendicante o un animale indifeso.
            Ti senti solo dispiaciuto, ma non fai un passo ulteriore per cambiare la situazione delle loro vite.

            La pietà non indica una sensazione di empatia, mentre la compassione ha una sensazione di empatia, che incoraggia ad aiutare l’altra persona a superare la propria sofferenza.
            Il confine sembra sottile tra compassione il cum patior ,“soffro con” e pietà perché legata al concerto – valore di con-divisione di una sofferenza, per la quale si sente il bisogno di mettere in atto un’opera di alleviamento, più a livello simpatizzante.

            Questo concetto è in qualche modo legato a quello di empatia, che nel teatro greco rappresentava il particolare rapporto di intensa partecipazione emotiva tra lo spettatore e l’attore recitante, oltre che essere una tecnica di utilizzata dagli attori per l’interpretazione dei loro personaggi.
            L’empatia è il mettersi “virtualmente” nei panni dell’altro, come se si fosse “ dentro l’altro” e si assorbisse la sua prospettiva. Ciò che la caratterizza è l’andare oltre il sentimento di sostegno
            per cercare di entrare “dentro” la persona per meglio comprendere
            In tutto ciò si esclude ogni forma di simpatia, antipatia, il giudizio viene sospeso .

            La differenza sta differenza sta nella modalità di approccio alla relazione:
            la compassione porta alla necessità urgente di rispondere e dare soluzioni immediate e “utili” per risolvere e “tamponare” la situazione di difficoltà e/o sofferenza che l’altro della relazione pone come richiesta direttamente o indirettamente.
            Chi si relaziona in maniera compassionevole si sente a “disagio” nel percepire e sentire il pathos dell’individuo con cui si relaziona, e quindi si sente “chiamato in causa” come risolutore
            . Il provare “disagio” e pietà per la situazione dell’altro si assesta ad un livello relazionale di “superficie”, per cui si pone l’altro ad un gradino “inferiore”, come l’ individuo bisognoso di risposte e aiuto, e l’ascoltatore, in questo caso, è colui che possiede le risposte “giuste” ed è in grado di alleviare la tensione.
            La relazione è in senso verticale .

            Il contatto empatico, già in partenza la commozione ,la tensione emotiva e/ sentimentale non presuppone alcuna risposta, l’empatia non dà risposte, né soluzioni o consigli.
            Essa segue la non direttività, il pathos dell’altro è accolto e accettato, e non vi è alcuna intenzione intrusiva di “soccorso” a tutti i costi.

            La sofferenza e il dolore sono esperienze umane, e come tali hanno naturale necessità di trovare spazio di espressione.

            L’empatia permette di entrare a contatto con il mondo interiore dell’altro, senza vederlo come un “problema” da risolvere, quanto piuttosto come una preziosa “opportunità” di conoscenza, introspezione e con-divisione dell’esperienza umana, come momento di arricchimento reciproco. L’empatia diventa quasi un passaggio attraverso cui collegarsi al proprio e altrui vissuto.
            Essa trasforma questi tipo di contatto assottigliando i confini tra le parti e stabilendo una relazione flessibile. La dinamica diventa circolare e orizzontale

            Gli individui che si relazionano sono sullo stesso “piano” perché dotato di profonda, arcana e fertile interiorità.
            Ci si può sporcare le mani ed entrando in campo aperto ?
            Si un poco ma è anche l’unica e principale chiave di conoscenza della realtà dell’esperienza umana nella vita .
            Questo è quello che si intende per esistere, del resto “ex-sistere” significa “stare fuori”, il contatto tra esistenze consente di uscire dal “guscio” trascendendo se stessi come enti dotati in sé di infinite possibilità di realizzazione.
            L’altrio non può diventare oggetto,altrimenti si rischia di cadere nella trappola della creazione di una sterile, superficiale e artificiosa che poco ha a che fare con la complessità
            dell’essere.

            Continuare ?
            Ma Ti ho invaso , c’è ancora da approfondire con altri sviluppi
            DaxJung ,Fromm …
            E ancora di più tra Nietzsche e Leopardi !
            Buon venerdì

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            • riprovo.

              sulle prime due righe, ora è chiaro; forse potevo arrivarci anche da me.

              sul resto, sintetizzo il mio punto di vista.

              .

              com-passione, dal latino patior cum, soffro assieme a qualcuno, indica uno stato emotivo di condivisione di una sofferenza.

              pietà, deriva da pietas, che è la condizione di pius: significa essere corretti e rispettosi delle norme religiose; risponde ad un dovere morale; si può essere pietosi anche senza condividere il dolore altrui e per puro senso del dovere, in ambito cristiano.
              il buddismo non prevede compassione, anzi la guarda con diffidenza. e anche l’islam prevede l’elemosina come dovere, ma non obbliga affatto ad impietosirsi per farla.
              e nella pietà è sempre implicita una certa qual posizione di superiorità.

              la parola empatia ha un’origine diversa, dal greco antico; indica l’essere dentro una pathia, parola che ha una valenza generica, ed indica semplicemente uno stato emotivo, non necessariamente negativo.
              così simpatia, che significa apertura alla condivisione degli stati emotivi dell’interlocutore, al quale risulti quindi “simpatico”.

              non siamo molto lontani, mi pare.

              quanto alle elucubrazioni filosofiche troppo verbalistiche e fini a se stesse, in genere mi infastidiscono, perché RARAMENTE PORTANO A CONCETTI VERAMENTE NUOVI E CHIARI, almeno per me.

              però attendo fiducioso altre integrazioni di riflessione…

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              • Si hai scritto in modo chiaro e semplice, anche a me pare che non siano troppo lontani !

                In realtà le elucubrazioni riempiono la testa , mi sono ripetuta e annoiata rileggendomi . In realtà le costruzioni sterili di servono di tante parole superflue ,la logica che seguono per lo più distrae dall’essenziale e non apporta nulla di nuovo . Continuerò seguendo il mio percorso di vita, contempla vecchie e recenti letture, riflessioni .
                Le mie meditazioni sono un po’ disordinate seguono l’andamento esperienziale odierno, ascolto di suoni e rumori attraverso i 5 sensi …

                L’essere in grado di guardare oltre il nostro vissuto e di ascoltare veramente l’altro racchiude una fusione tra empatia e compassione che ci condurrà ad entrare in armonia con l’universo liberandoci da quella forma di insano egoismo che nel nostro piccolo contribuirà a sanare il mondo.
                Accorgersi dei sentimenti dell’altro non significa semplicemente concentrarsi sulle parole che dice, ma andare oltre quel contenuto e saper leggere il silenzio. Un’impresa poco facile che implica una sensibilità non comune a tutti.
                Se fosse così diffusa non ci troveremo di certo dinnanzi ad un mondo così rintanato nell’egoismo e nella sopraffazione.

                Non è facile trovare un modo per fare sentire meglio, chi soffre , l’attenzione fondamentale va all’ascolto, una capacità molto rara .
                Insegnarla a persone egocentriche o a coloro che vanno sempre di fretta per scelta o per i ritmi frenetici imposti dalla società moderna …
                È solo una domanda né trovo una risposta pratica efficace

                Bisogna farsene una ragione: non tutti sono in grado di sentire veramente l’altro … Non credi che sia così ?

                Riflessioni che mi hanno colpito
                “Le nature compassionevoli, soccorrevoli nella disgrazia in ogni momento, sono di rado quelle che partecipano insieme alle gioie altrui: nella felicità degli altri esse non hanno niente da fare, sono superflue, non si sentono in possesso sella loro superiorità e mostrano perciò facilmente disappunto.»

                …..
                “La compassione è quasi un’abnegazione che l’uomo fa di se stesso, quasi un sacrifizio che l’uomo fa del suo proprio egoismo.
                Giacomo Leopardi

                Il cosiddetto mondo spazio-temporale, questo in cui ci troviamo, può addirittura non esistere: può essere soltanto un’illusione; ma è assolutamente innegabile che in esso tutti soffriamo. Per cui la compassione verso gli altri, tutti gli altri, dagli insetti agli elefanti, da Einstein a Fiorino il mio cane amato che è morto, non è soltanto un’esigenza del cuore, ma un’ineluttabile legge della logica: ci troviamo tutti nello stesso inferno.
                Carlo Coccioli

                La civiltà dell’empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all’intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?

                Jeremy Rifkin

                Il mio io totale, la mia intera individualità, la mia entità, la quale è unica come lo sono le mie impronte digitali, non può mai essere pienamente compresa, neppure per via empatica, perché non vi sono due esseri umani identici.

                Erich Fromm

                Quando noi consideriamo una realtà animata (animale o umana) da un punto di vista o da uno schema di riferimento puramente esterno, senza sforzarci di capirla dall’interno per via empatica, noi la riduciamo allo stato di oggetto.
                Carl R

                La più alta espressione dell’empatia è nell’accettare e non giudicare.
                Carl Rogers

                Chiunque è incline a piangere con l’infelice; ma il morso del dolore non gli penetra fino nell’infinito; così, per mostrare di gioire con chi è felice, sforza il suo volto che fa resistenza al sorriso. Eschilo

                Questa fu la mia scrupolosità: fui sempre consapevole nel camminare avanti e indietro, al punto ch’ero sempre colmo di compassione perfino per una goccia d’acqua, attento a non ferire alcuna delle minuscole creature annidate tra le fessure del terreno. Tale era la mia scrupolosità.
                Buddha

                La riflessione di Albert Einstein mi tocca profondamente , la sento come un un bisogno è piena di Vita …forse è la Bellezza della vita.

                “Un essere umano è parte di un intero chiamato universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione, sino ad includere tutte le creature viventi e l’ interezza della natura nella sua bellezza. »

                Albert Einstein

                Importante ma è dura impresa

                “Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”

                Carl Gustav Jung

                …Com’è possibile che il legame empatico tra due individualità sofferenti possa alleviare il loro dolore? Se è vero che entrambe patiscono, e patiscono un male metafisico, allora dalla loro condivisa esperienza di sofferenza non solo non vi sarebbe alcun alleviamento, ma anzi una sofferenza maggiore, causata dal dolore altrui del quale si farebbero carico. Si tratta di un paradosso reale e minaccioso per qualunque proposta che riservi alla compassione un posto di primo piano. Ma è bene chiarire che questo paradosso, una volta definita meglio la ragion d’essere della compassione, non è minaccioso come sembra.

                Questo fondamentale chiarimento si può trovare in Leopardi.
                Anche Leopardi, nelle fasi finali della sua vita, riterrà che l’unica possibilità di salvezza per l’uomo passi per la compassione. Ma questa salvezza non consiste nella mitigazione della sofferenza stessa, nella sua diminuzione. Se così fosse, rimarremmo esposti al paradosso sollevato da Nietzsche.

                La ginestra o il fiore del deserto
                (vv.147-149) di Leopardi è fondamentale, in questo senso, nella ricerca di una risposta più plausibile. Infatti, non è tanto nella sua capacità di consolare o mitigare le sofferenze altrui che la compassione trova la sua ragion d’essere, ma nella sua capacità di aiutarci a sopportarle, di non soccombere a esse.
                Come la ginestra, una pianta che cresce in luoghi particolarmente esposti alle intemperie e che trae la propria resilienza dalla capacità di unirsi ai suoi simili in arbusti resistenti, così l’essere umano resiste allo sradicamento e alla disperazione unendosi ai propri simili, una volta realizzato che essi condividono la stessa condizione e partecipano alle stesse sofferenze.

                La contemporaneità

                Con Nietzsche l’interezza del concetto di compassione viene riportato entro i claustrofobici confini dell’individualità e viene descritto come lo specchio di un Io essenzialmente ipertrofico.
                Per autori più recenti, questa ipertrofia dell’Io rimane, ma non è tanto consustanziale alla natura umana, quanto un portato delle particolari circostanze della società contemporanea.
                Gilles Lipovetsky, per esempio, strutturerà tutta la “iper-modernità” – dal 1991 in poi – sotto il cappello dell’iper-individualismo. Egli scrive, in Le crépuscule du devoir (Gallimard, Parigi, 1992, p.34), come quella contemporanea sia

                “[…] una società che, lungi dall’esaltare i comandamenti superiori, li eufemizza e li discredita, che svaluta l’ideale di abnegazione stimolando sistematicamente i desideri immediati, la passione dell’ego, la felicità intimista e materialista”.

                È difficile dire chi abbia ragione tra Nietzsche e Lipovetsky: non sappiamo se l’incapacità di proiettarsi verso l’Alterità e l’attuale ripiegamento su se stessi sia un tratto comune agli esseri umani in quanto tali oppure se sia invece una conseguenza della competitività delle società contemporanee.
                Quello che è certo è che questo ripiegamento, questa ipertrofia dell’Io che rende così difficile compatire il prossimo, è reale e osservabile.
                Allo stato attuale delle cose, sofferente di un dolore anche insopportabile, il soggetto perimetra la sfera della passione dannosa entro la circonferenza della sua assoluta soggettività; il dolore è mio, assolutamente mio.
                La stessa sofferenza è, ora, proprietà privata.

                Da ciò alcune domande appaiono urgenti e doverose: ha ancora senso parlare di compassione?
                Può darsi una modalità di compassione nel mondo dell’iper-individualismo?
                C’è ancora spazio per l’Altro?
                Difficile dire se la compassione sia oggi un valore possibile, è un valore importante , per le stesse ragioni addotte da Leopardi nella Ginestra.
                Questa convinzione è dovuta all’idea che il suo valore risieda non tanto nella sua capacità – legittimamente messa in dubbio da Nietzsche – di mitigare le sofferenze degli individui, ma nella sua capacità di stimolare e cementare un qualche grado di solidarietà tra gli esseri umani, aumentando la loro tolleranza nei confronti di quelle sofferenze che, senza un qualche sostegno, rischierebbero di sradicarli dal mondo e di farli cadere nella disperazione.
                Che ne pensi ?
                Ciao buona domenica!

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                • troppe volte non vedo le virgolette delle citazioni che fai, quindi non riesco a distinguere tra quel che dici tu e quello che semplicemente riferisci.

                  tra le citazioni, trovo significative quella di Rifkin, che acutamente contrappone empatia ed entropia, e quella di Einstein, che ha colpito anche te.

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                  • Empatia ha un successo straordinario, entra a fare parte della psicologia applicata fino a a che per opera di Theodor Lipps verrà utilizzata dallo stesso in filosofia seguendo gli insegnamenti di Edmund Husserl.
                    Una frase verrà utilizzata spesso “con l’empatia si riesce a fare star meglio gli altri”. Una modalità che ci dà il potere, semplice, disponibile per tutti, di fare star bene gli altri. È una parola ad ampio spettro come arte e amore che difficilmente un vocabolario contiene vanno soprattutto vissute e sperimentate

                    Come si può sperimentare l’empatia ?

                    – Guardare meglio per vedere :
                    non essere schiavi dei propri dogmatismi, guardare diversamente gli altri, mettendoli in prospettive fuori da quella abituale in cui sei tu abituato a vederli.

                    – cercare cosa interessa gli altri nel profondo :
                    bisogna distinguere tra la capacità di comprendere l’altro e del cosa ci facciamo di questa comprensione in termini di comunicazione e di intenzione.
                    Il ponte tra empatia e opportunismo appare quando il tuo interesse coincide con il mio, il tuo benessere al mio.

                    – staccarsi dall’orizzonte abituale :

                    Di fronte a ciò che osservi e ti appare come strano, sbagliato, incomprensibile, ti chiedi In quale contesto quel comportamento può avere senso ,l’origine e lo sviluppo di comportamenti anomali .

                    Affinché ci sia empatia occorre
                    la presenza di non-empatia.

                    “L’empatia “usata per scopi commerciali e/o comunque
                    “speculativi ”
                    Attenzione ai tanti falsi ,non basta non seguire mai la tv .

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                • Si le virgolette non ci sono ma c’è l’autore !
                  Rifkin e troppo difficile

                  Da morti inutile indignarsi lo stato chimico è uguale per tutti la Livella si può intendere in pace tal senso non ti pare

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                  • non trovo così difficile Rifkin, ma se per te lo è, perché l’hai citato?

                    intendevo dire, ma sarà una deformazione professionale da vecchio commissario ai concorsi, che le virgolette e l’autore mancano troppo spesso in questi tuoi commenti; sento aria di copia e incolla non dichiarati.

                    quanto alla bruttissima poesia di Totò, ‘a Livella (ho citato male il titolo, prima); il senso reazionario che io ci trovo è la sua morale così poco poetica: che è inutile battersi contro le diseguaglianze in vita, tanto la morte ci rende tutti uguali e le diseguaglianze non hanno senso, ma soltanto dopo morti.

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  2. Un giorno chiesero al grande matematico Al-Khawarizmi come giudicare il valore di un uomo.

    Egli rispose: «Se ha compassione, allora il suo valore è 1. Se è intelligente, aggiungete uno zero e il suo valore sarà 10. Se è ricco, aggiungete un altro zero e il suo valore sarà 100. Però se perde l’uno, che corrisponde alla compassione, perderà tutto il suo valore perché gli rimarranno solo gli zeri.»

    Questa sera mi viene da darti almeno ottimo 👏

    La storia della vecchiaia confesso che mi piace però mi pare che stento a viverla con pienezza 😉

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    • questo Al-Khawarizmi, che non conosco, sarà stato anche un grande matematico, ma il valore di moltiplicatore per 10 assegnato alla ricchezza mi lascia basito.
      e non parlo per invidia, senza mai essere diventato davvero ricco, però il valore delle case che ho regalato ai figli era davvero abbastanza consistente e solo per un terzo circa erano frutto di eredità ricevute. oggi poi, acquistando e sistemando quella in cui sto, sto ridiventando un piccolo possidente. in poche parole una certa realizzazione economica ha sempre fatto parte della mia vita, anche se non ho mai dato nessun valore al denaro di per sé.
      quindi, semmai, io direi che la ricchezza toglie uno zero al valore intrinseco di un uomo, anziché aggiungerlo. nel senso che è più facile essere scambiati per persone di valore se si è ricchi ed è più difficile farsi apprezzare se si è poveri.

      sulla vecchiaia, ammetto che la vita mostra qui a fondo di quante ingiustizie è capace e non sono tutte uguali.
      lo stesso dicasi per la morte, con buona pace delLa livella di Totò.

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