queste cronache del mio viaggio attuale stanno accumulando un ritardo tale, che intendo stasera fare uno sforzo straordinario per riportarmi in pari.
. . .
l’inizio del viaggio tra Comiso e Ragusa ha avuto un che di romanzesco, con l’arrivo nell’hostel gestito da un russo fuggito dal suo paese, che la sagacia di ijkijk è riuscito ad indentificare nonostante la mia smemoratezza sul suo cognome.
gli incontri vagamente romanzeschi non sono finiti, ma bisogna che io mi affretti a descriverli prima che l’oblio cancelli la vivacità delle impressioni.
per ora il tema di questi resoconti (e non l’ho scelto io) è che niente è mai del tutto come appare:
Comiso ha un aeroporto e dei bus che lo collegano al centro, ma gli orari dei bus sono sconosciuti, e questi passano molto tempo dopo quello che mi è parso l’unico volo nella giornata, per costringere la gente a prendere i taxi, che tuttavia spariscono anche loro, per cui la struttura appare come una invenzione assurda, misteriosa e un poco inquietante;
Comiso, a cui noi pensiamo quasi soltanto come un base militare americana – che potrebbe diventare fortemente operativa con l’incattivirsi delle parti impegnate a farsi la guerra in Ucraina – risulta, invece, visto di persona, come un paesotto tranquillo e quasi romantico;
a Comiso, che è lontana dal mare, c’è un eccezionale Museo di Storia Naturale, dedicato in particolare alla zoologia marina (non mi pare di averne ancora parlato);

a Comiso passa il treno, ma la stazione è chiusa e sembra abbandonata;
l’ostello di Ragusa non solo è gestito dal personaggio visto sopra, ma costui non sappiamo bene chi sia davvero, e però sappiamo che è tornato buono già qualche anno fa per inventarsi una storia ad effetto, le cui basi sono molto fragili; e via dicendo.
in sostanza, in un paese dove i giornalisti fanno i romanzieri, ma di romanzi d’appendice, potrebbe anche darsi che siano i romanzieri a fare i giornalisti, e se vi viene in mente Sciascia, questa è la sua terra, la Sicilia chiusa su stessa, come sdegnosa di stare al mondo.
. . .
riprendo comunque il mio resoconto dalla mattina del giorno 22 in cui ho cercato di tirarmi fuori dal groviglio delle storie personali degli ospiti di quell’hostel di Ragusa, ma senza successo, si direbbe, visto che i commentatori mi ci ritirano dentro.
naturalmente, avendo avuto la connessione internet disponibile, ho cercato, prima di andarmene, una nuova sistemazione nella tappa in cui concluderò le peregrinazioni della giornata, che sarà Modica, e questa volta ho raddoppiato il budget, forse per non corre altri rischi.
quasi in fuga e con una specie di stupido rimorso per questo taglio netto, mi faccio dire la direzione per il centro da quell’ospite e amico del gestore che ho trovato in soggiorno e al quale ho riconsegnato la chiave, ed è giusto all’opposto di quella che mi ero fatto io in base al mio schema mentale.
mi ritrovo quindi subito, svoltato l’angolo, in una piazzetta con una chiesa dedicata a san Francesco, e quasi pochi metri più in là mi affaccio al grande vallone che separa Ragusa in due parti, quella moderna e quella storica, che è di fronte a me, arrampicata su una altura, come è comune da queste parti; e sono queste le prime due Ragusa del titolo.
i ponti che attraversano il vallone sono tre, e fanno un bell’effetto (nella foto se ne vedono solo due perché è scattata dal terzo, ovviamente); vado a raggiungere quello più antico, oggi pedonale, che è in mezzo agli altri due.

però si vede benissimo anche dalla foto che la parte vecchia della città è stata conservata tutt’altro che intatta, anzi è stata ampiamente manomessa e modernizzata, e sarà questo il tratto principale che emerge dalla prima parte di questa mia visita.
anzi, molte di queste intrusioni pesanti hanno una identità ben precisa: sono gli interventi risanatori dei centri storici voluti da Mussolini, ma questi sono talmente diffusi in molte città italiane che non li documenterò con l’unica foto che ho fatto.
sono interventi del cosiddetto realismo fascista, e ciascuno può immaginarseli. di qui nasce la mia percezione, oppure ditela subito fantasia, che Ragusa non sia affatto uscita del tutto da quel clima; e ci sono anche i tombini con i grossi fasci stampati, a dimostrarlo.
. . .
comunque, a non grande distanza c’è il duomo, solenne, in parte barocco, in parte no; e non vi darò altre notizie in merito, dato che oggi è molto facile ritrovarsele in rete o farsele addirittura scrivere da qualche intelligenza artificiale.

mi accontento di aggiungere questa immagine, del suo retro, che non gli rende giustizia, ma rinvio alle due già pubblicate nel post 118, che possono anche risparmiarmi qualche inutile descrizione.
più di tutto mi ha colpito il piccolo frammento di vegetazione del tutto tropicale nel quale sta immerso, quasi come se un pezzetto dello Sri Lanka si fosse fatto profugo dall’isola sconvolta dalla crisi economica, e si fosse trapiantato qui.

e tutta la mia camminata proseguirebbe così, senza troppo slancio, nonostante una colazione a base di un proibitissimo cannolo siciliano gigante, se, procedendo grosso modo verso est, questa parte del centro non finisse su un pendio piuttosto ripido, ma pur sempre pieno di case, che si affaccia su una specie di Matera, però collinare, offrendo un panorama esaltante di mondo antico, severo e giusto, ancora in un rapporto sano con madre natura.

e ora si tratta di scendere, per poi risalire, nell’intreccio dei vicoli, che a volte si trasformano in scalinate impervie tra i fichi d’India affacciati sui burroni che circondano quasi completamente il borgo, che è la terza Ragusa della mia storia, ed ha perfino un nome suo, questa volta, ed è stata chiamata Ibla nell’Ottocento, nome che rimanda alle sue origini nel mondo greco, perché richiama l’antica divinità con lo stesso nome, una grande Dea Madre: luogo impervio, difficilmente conquistabile se non con lunghi assedi, che dice da solo la storia del mondo feroce dal quale proveniamo (e ci stiamo ritornando).
ci cammino con l’aiuto di una mappa ritirata al centro turistico all’ingresso della strada d’accesso, che mi dà il piacere di sentire l’accento di queste parti; ma poi la dimentico quasi subito; chissà dove l’ho appoggiata per l’ennesima fotografia degli scorci di questo luogo quasi incredibile; ma sto procedendo, tra qualche decina di chiese e chiesette, comunque in base a quello che ho memorizzato e me ne accorgo soltanto quando arrivo alla cattedrale, sublime inno verticale barocco.

eh sì, mi siedo su una panchina nella piazza spettacolare che disegna la prospettiva da cui guardare a questo monumento miracoloso.
. . .
ed è qui che faccio il mio pranzo, che consiste in un gelato di ricotta e cioccolato col peperoncino: pessima idea, per il bruciore di stomaco che mi perseguiterà per il resto della giornata, e non tanto per i rischi diabetici, perché per quanto zucchero io possa ingurgitare, dovrebbe finito bruciato in fretta dalle fatiche di queste camminate che mi viene da definire furiose.
bisogna infatti dire che la valigetta che mi devo portare dietro, per quanto ridotta a dieci chili, si fa sentire dopo ore di salite e discese e sarebbe anche il caso di riposare.
ma per fortuna, proprio in fondo allo sperone su cui sorge Ibla, ecco i favolosi giardini iblei, pieni di sciamanti studenti in gita scolastica (giusto a riacutizzare i ricordi di una vita di accompagnatore in viaggi di vera istruzione?).

e su panchina posso concedermi un sonnellino parzialmente riparatore, addormentandomi accompagnato da qualche risatina e anche saluto affettuosi dei giovincelli che si godono tutta la mancanza di consapevolezza della loro età.
. . .
ed eccomi al ritorno, un poco faticato, perché tutto in fortissima salita; perfino i gatti dei vicoli mi guardano ansimare con compassione.
ho deciso di andare in treno alla tappa successiva, Modica; ho avuto gli orari al centro di informazioni turistiche, ma li ho persi; me li faccio ridare da una bellissima addetta, ad un secondo centro che incontro, nel cuore di Ibla, e proprio di fronte alla peccaminosa gelateria.
quindi qui il treno funziona, anche se tutti ne parlano male per la lentezza, che a me poi risulterà una calunnia; e lo raggiungo molto per tempo, fermandomi ancora a riprendere fiato nella piazzetta davanti la chiesa a due passi dall’hostel di Maxim; il treno almeno è puntuale e ha degli orari certi; è forse questo che lo rende inviso ai siciliani e risulterà quasi completamente vuoto?
mi avevano spiegato la prima volta che andandosene da Ragusa le due vetturette percorrono una impercettibile traiettoria a 360 gradi, entrando in galleria ed uscendone allo stesso punto geografica, ma la seconda volta un centinaio di metri più in basso.
e tutto il percorso è entusiasmante, apre prospettive di vallate verdeggianti in questa stagione, anche se qualche letto di fiume secco taglia comunque a volte il paesaggio; ed è la seconda sorpresa della giornata.
aggiungo che tutto il percorso durerà 19 minuti!
. . .
ma ho dimenticato di dire della quarta Ragusa, che è poi quella una volta veneta ed ora croata sulla costa orientale dell’Adriatico, e vai a capire questo strano caso di due città così lontane e con lo stesso nome.
dico addio a Ragusa e vorrei dire arrivederci ad Ibla, se potessi separare le due realtà.
Non mi sono resa conto di avere spifferato qualcosa di ancora oscuro, bocca mia fatti capanna!
Amico mio ora che so del tuo peso in spalle più in dettaglio compresi gli aggeggini vari mi sento quasi più leggera eppoi sapendoti su quella terrazza a goderti il panorama in quest’isola non proprio sperduta comunque un ‘isola in mezzo al mare ah che bello! Respiro a pieni polmoni immaginando la bellezza gusto il profumo del mare aperto …
Che incanto! Buona cena e felice serata 💚
💙🧡
Molto post scriptum, forse qualcosa mi è sfuggito , rileggo il post su Ragusa 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Buongiorno Mauro! A parte il caso un poco oscuro del proprietario dell’ostello che se avessi tempo credo che potresti disvelare, con un po’ di aiuto. A me pare molto più interessante capire le due parti di Ragusa ,comunque vedrai bene tu.
Il nostro comune amico blogger ora è un po’ impegnato, chissà se ripasserai presto di qua, io faccio il tifo per il miglior ristorante della Sicilia!
Questo viaggio nell’isola più bella è fantastico. Mi viene da dirti senza sminuire alcuno che i fotoreporter e i romanzieri a te “ti fanno un baffo”. Mi dici per favore che miseria porti nel tuo zaino di 10 chilogrammi… Scusa la svista ma non mi tornano i conti…
Salutami tranquillamente Malta ✌️
Ciao
"Mi piace""Mi piace"
ahha, hai approfittato di informazioni extra-blog per fare spoiling; spero che il tuo commento passi inosservato… :-), volevo portarci i lettori al momento giusto…, rimettendomi in pari con i post.
in questo momento sono nella meravigliosa terrazza al quarto piano di questo ostello super-efficiente e super-economico, mi godo le ultime luci del tramonto e una musichetta di sfondo, sprofondato in poltrona, dopo avere ritirato la biancheria dalla lavanderia. il posto è così bello che fa venire voglia di tornarci. ma ne riparleremo al momento del post.
per me il Maxim è storia chiusa; docente universitario sì, ma di università privata, puoi ben immaginare quanto poco vuol dire, inseguito da mandato di cattura russo per truffa, e liberato in Italia come perseguitato politico. io mi tengo la mia sensazione di pelle, mi basta e avanza; una ricerca storica sulla sua figura è poco interessante; i giudici italiani lo hanno liberato, restiamo a questo, e prendiamo il mio racconto per quello che nè, un frammentino di un romanzo mai scritto, altro che da Maxim.
la domanda sulle due Ragusa non l’ho capito, mi pare di averle spiegate nel post…
ah, i dieci chili non li ho misurati prima di partire, li ho presi come punto di riferimento, perché è il limite che non devo superare, e probabilmente sono rimasto al di sotto; il peso maggiore è il netbook e qualche maligno potrebbe dire: anche da altri punti di vista; segue la guida libracea del Portogallo, più aggeggini vari, di toeletta (per quanto usati pochissimo) ed elettrici, più i ricambi della biancheria, uno zainetto, mai adoperano, e il giaccone di pelle anni Ottanta, anche se questo di solito viaggia fuori… niente altro, neppure un secondo paio di scarpe, perché non ci sarebbero state proprio. e poi c’è anche il peso della valigetta da contare, ovviamente.
spero che basti… 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona