gaberricci 8 ore fa
[…] La lotta di classe per come la vedo io è anche lotta di sesso: la discriminazione della minoranza sessuale è un modo per opprimerla anche socialmente. […] – da un suo commento al mio post dalla lotta di classe alla lotta di sesso? – 394.
– avevo promesso ad un amico che avrei scritto un post su questo tema, ma in realtà quello che hai commentato tu non è il post che gli avevo promesso, ma soltanto uno spunto per arrivarci.
ora mi hai dato un ottimo spunto per scriverlo, anzi, forse, per scriverne più d’uno.
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ma ecco come la penso io:
la lotta di classe è lotta tra le classi, secondo Marx che ha inventato la formula: il proletariato contro il capitale, inteso come classe sociale.
applicando lo stesso schema mentale, la lotta di sesso è allora lotta tra i sessi, di femmine contro maschi.
ma già qui siamo in difficoltà, perché non è sicuro che i sessi siano rigorosamente due, vi sono altri gruppi che rivendicano una distinta identità sessuale, che vogliono far riconoscere come tale.
ma soprattutto siamo in crisi perché, per Marx, la base della distinzione fra le classi è l’economia, mentre la base della contrapposizione tra i sessi è l’oppressione sociale e non direttamente lo sfruttamento economico.
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infatti non mi pare che Marx affronti questo problema nell’ottica della lotta di classe.
nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, anzi, si direbbe che Marx neghi l’esistenza stessa del problema, per quanto abbia scritto delle cose non chiarissime.
Nel rapporto con la donna, in quanto essa è la preda e la serva del piacere della comunità, si esprime l’infinita degradazione in cui vive l’essere umano per se stesso: infatti il segreto di questo rapporto – quale? – ha la sua espressione inequivocabile, decisa, manifesta, scoperta, nel rapporto del maschio con la femmina e nel modo in cui viene inteso il rapporto immediato e naturale della specie. Il rapporto immediato, naturale, necessario dell’essere umano con l’essere umano è il rapporto del maschio con la femmina. In questo rapporto naturale della specie il rapporto dell’essere umano con la natura è immediatamente il rapporto dell’essere umano con l’essere umano, allo stesso modo che il rapporto con l’essere umano è immediatamente il rapporto dell’essere umano con la natura, cioè la sua propria determinazione naturale. Cosi in questo rapporto appare in modo sensibile, cioè ridotto ad un fatto d’intuizione, sino a qual punto per l’essere umano l’essenza umana sia diventata natura o la natura sia diventata l’essenza umana dell’essere umano. In base a questo rapporto si può dunque giudicare interamente il grado di civiltà cui l’essere umano è giunto. Dal carattere di questo rapporto si ricava sino a qual punto l’essere umano come essere appartenente ad una specie si sia fatto umano, e si sia compreso come uomo; il rapporto del maschio con la femmina è il più naturale dei rapporti che abbiano luogo tra essere umano ed essere umano. In esso si mostra sino a che punto il comportamento naturale dell’uomo sia diventato umano oppure sino a che punto l’essenza umana sia diventata per lui essenza naturale, e la sua natura umana sia diventata per lui natura. In questo rapporto si mostra ancora sino a che punto il bisogno dell’essere umano sia diventato bisogno umano, e dunque sino a che punto l’altro essere umano in quanto essere umano sia diventato per lui un bisogno, ed egli nella sua esistenza più individuale sia ad un tempo comunità.
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– ricordo bene queste frasi, perché usai alcune di loro nelle partecipazioni del mio matrimonio, ciclostilate in proprio e spedite ad amici e parenti. –
veramente oggi mi appaiono un esempio tipico dell’hegelismo deteriore che inquinò profondamente anche il pensiero di Marx.
ma mi sforzo egualmente di ricavare alcuni punti chiari da quest’orgia di parole baroccamente oscure:
1) In base a questo rapporto – tra maschio e femmina, tra uomo e donna – si può giudicare interamente il grado di civiltà cui l’essere umano è giunto.
2) Dal carattere di questo rapporto si ricava sino a qual punto l’essere umano come essere appartenente ad una specie si sia fatto umano.
3) In questo rapporto – cioè del maschio con la femmina – si mostra ancora sino a che punto il bisogno dell’essere umano sia diventato bisogno umano
4) e dunque sino a che punto l’altro essere umano in quanto essere umano sia diventato per lui un bisogno
5) e [dunque sino a che punto] egli – cioè l’essere umano – nella sua esistenza più individuale sia ad un tempo comunità.
per concludere mi pare che Marx dà una grande importanza al rapporto uomo-donna come indice del livello di civiltà raggiunto da una società, ma non lo collega allo sfruttamento di classe, almeno non esplicitamente.
potremmo dire che questo problema riveste un ruolo addirittura maggiore dello sfruttamento, ma non ne è una manifestazione.
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gaberricci invece vi vede un rapporto quasi genetico, mi pare, se non sto forzando il suo pensiero; sembra quasi che la discriminazione sessuale sia per lui non soltanto un modo per esercitare uno sfruttamento maggiore della donna, ma nasca quasi da questo bisogno del capitale.
per Marx invece il grado della discriminazione della donna si direbbe un indice indipendente di civiltà sociale.
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ma allora possiamo concludere che per Marx il superamento di ogni discriminazione femminile è un obiettivo comune di uomini e donne, di maschi e femmine.
del resto l’oppressione femminile non ha nessun ruolo economico nei rapporti interpersonali; in altre parole non vi è uno sfruttamento del lavoro femminile domestico da parte del maschio, allo scopo di realizzare un profitto, ma il modo nel quale si organizza la distinzione dei ruoli familiari è solo un riflesso di schemi che in seguito Marx stesso avrebbe potuto definire sovrastrutturali.
quindi non può esserci per lui, nessuna lotta di sesso tra donne e uomini, ma semmai una lotta comune di uomini e donne contro lo sfruttamento intensificato delle donne da parte del capitale, che usa sul piano economico l’oppressione culturale delle donne come fatto sociale.
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ma vorrei evitare che queste considerazioni apparissero accademiche ed astratte.
pensiamo, per esempio, alle attuali lotte delle donne iraniane contro l’obbligo del velo e la loro sanguinosa repressione da parte della teocrazia islamista di orientamento sciita che guida il paese.
le dobbiamo vedere come una lotta delle donne contro gli uomini oppure degli iraniani uomini e donne contro gli ayatollah?
sono stato qualche giorno in Iran sedici anni fa: avevo incontrato, soprattutto a Tehran, uomini e donne che in privato criticavano gli obblighi religiosi imposti dal governo di allora, sulla stessa linea di quella attuale, ed erano anche pronti a trasgredirli in privato, e uomini e donne, soprattutto in provincia, che invece vi aderivano entusiasticamente. la differenza non era tra i sessi, ma fra le mentalità.
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e allora la liberazione femminile è un risultato della lotta di sesso e tra i sessi?
io dico di no, anzi aggiungo di più: impostarla in questo modo significa indebolirla.
Finalmente eccomi a rispondere.
Cominciamo col dire questo: identificare dove stava lo sfruttamento, al tempo di Marx, era assai più semplice; lo sfruttamento avveniva in fabbrica, lo compivano i padroni nei confronti dei proletari, questi ultimi non avevano alcun diritto e, a volte, erano loro stessi in lotta con un’altra classe sociale, l’aristocrazia, che tuttavia stavano prepotentemente schiacciando; in seguito, con la presa del potere della borghesia, il potere di quest’ultima non si è espresso più solo in modo economico, ma anche in modo sociale: la borghesia ha cioè imposto una certa “forma” alla società, per mantenere i privilegi della sua elite. Elite che di solito è costituita da maschi eterosessuali bianchi, che hanno bisogno di una certa struttura della società per continuare ad esistere.
La borghesia ha, ovviamente, per primo il bisogno di mantenere il costo del lavoro basso; soprattutto in Italia, dove imprenditoria è spesso sinonimo di quell’atteggiamento “chiaghe e futte” per cui non si investe davvero, ma ci si aspetta aiuto dallo stato e si mantengono dei profitti pagando il lavoro meno di quanto sarebbe quanto meno adeguato. E già in questo, l’immagine deteriore della donna come “angelo del focolare” è funzionale: da un momento all’altro potresti (anzi, da un momento all’altro dovrai) lasciare il posto per andare a crescere dei figli, e pretendi pure di avere uno stipendio dignitoso? Ringrazia che ti faccio lavorare. D’altro canto, l’economia capitalista sarebbe ormai infattibile senza la corsa consumistica, che richiede sempre nuovi consumatori e, se possibile, consumatori voraci: cioè, nuovi bambini; dal che, l’obbligo morale che pesa sulle donne di “figliare”, e l’immagine di una “donna incompleta” se non mette al mondo figli. Aggiungiamoci poi che l’egemonia culturale ha iniziato a far pensare che esista un “movimento delle donne” che vuole aggredire gli uomini, e non i loro privilegi: quindi, gli uomini sfruttati non fanno gruppo con le donne sfruttate, bensì con i padroni maschi che li sfruttano. Lo stesso discorso, ovviamente, si può applicare anche agli omosessuali: non fai figli, quindi non servi alla società; ti pago meno, perché tanto se sanno che sei frocio nessuno ti fa lavorare; e via dicendo.
Riguardo la società iraniana, direi che il contesto è piuttosto diverso… ma nei fatti anche lì l’oppressione femminile è necessaria per mantenere un sistema di potere detenuto dagli uomini. La lotta è certamente di tutti contro l’integralismo, in generale; ma è anche delle donne contro il loro sfruttamento specifico, in particolare.
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grazie della risposta, davvero.
muoviamo da premesse comuni, ma sono in netto dissenso da alcuni punti della tua analisi sociale:
1. al capitalismo non è affatto funzionale l’immagine della donna angelo del focolare: il lavoro femminile in fabbrica (assieme a quello dei bambini) è alla radice stessa dello sviluppo capitalistico. anzi, alla borghesia, se la intendiamo come classe dei capitalisti, è funzionale una donna che smetta di essere angelo del focolare…
2. i datori di lavoro comunque certamente sfruttano però l’immaginario tradizionale della donna per pagarla meno degli uomini, come hai detto bene.
3. la spinta demografica era tipica di altri momenti storici; oggi la spinta è opposta, al decremento demografico; lo sviluppo dei consumi avviene oggi piuttosto anabolizzando quelli del single; è noto che in proporzione un single consuma molto di più di chi vive in coppia o in famiglia. la cosa è evidente, a partire dall’abitazione.
4. d’accordo sulle valutazioni sugli pseudo-movimenti di liberazione femminile, che però sono delle forme di sostegno mediatico a questi processi e perfettamente funzionali a loro. la strategia capitalistica attuale è quella di mettere le donne (mascolinizzate) contro gli uomini (femminilizzati), divide et impera, allo scopo di distogliere l’attenzione dalla principale discriminazione che subiscono le donne, che è ancora quella economica.
5. allo stesso scopo serve la sostituzione del ricambio generazionale naturale per via demografica con quello ad opera di immigrati esterni che sono sfruttati economicamente ancora più a fondo delle donne. problema che va affrontato non cercando di bloccare l’immigrazione ma garantendo agli immigrati una vera uguaglianza di diritti, con le donne e con i maschi eterosessuali.
6. se non riesce a creare un fronte comune di questi gruppi (e degli omosessuali, pure discriminati in quanto tali), nessuna vera opposizione sociale è possibile. per farlo elemento centrale è la lotta contro i pregiudizi sociali che dividono ed oppongono questi gruppi fra loro, anche quelli del femminismo alto-borghese alla me too.
(tesi mie che conosci già, espresse in sintesi brutale, per non farti perdere troppo tempo).
la mia ipotesi di fondo è che, senza una analisi corretta di queste dinamiche chi si batte per il cosiddetto movimento delle donne, sta favorendo il capitalismo senza neppure rendersene conto.
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Sono d’accordo con quasi tutto, tranne che con i punti 1. e 3.: al capitalismo serve la donna lavoratrice che sia ANCHE madre e moglie. Perché l’unica giustificazione che il capitalismo riesce a dare per la sua esistenza è che sa fare stare gli esseri umani “meglio” che in qualunque periodo storico. Ma questo avviene NONOSTANTE il capitalismo, non grazie al capitalismo, grazie ad un progredire della cultura umana che ha garantito la protezione delle fasce deboli della popolazione: bambini, anziani, disabili; e la cura di queste fasce della popolazione è, quasi sempre, demandata alle donne, mentre poi sono le “istituzioni” capitalistiche che si prendono meriti che non hanno. Sul punto 3., una cosa non esclude l’altra: basta vedere l’insistenza con cui la Meloni e Salvini ci dicono che dobbiamo “figliare”. Anche perché, tutta questa attenzione alla famiglia nasconde in realtà il familismo: ci stanno dicendo che dobbiamo costruirci e coltivare l’unico costrutto sociale che ha L’OBBLIGO di aiutarci, perché sono pronti a distruggere tutti gli altri.
Poi, io sono d’accordo che tutti gli sfruttamenti sono un unico sfruttamento e che, di conseguenza, tutte le lotte sono una lotta: ed anche qui, sai che per me il femminismo (che non sia il femminismo “di marketing” di partiti come il PD) è strutturalmente di sinistra, finché riconosce che la colpa non è (solo) del singolo maschio, ma della struttura sociale e culturale che quel maschio ha intorno e che lo giustifica; una struttura sociale e culturale che è funzionale ad un sistema economico, che è quello che deve essere combattuto per rimuovere quei sistemi sociali e culturali.
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spero che tu regga la battuta: troppo facile essere d’accordo sui punti in cui ti do ragione e in disaccordo su quelli dove ti do torto… 🙂 😉
vorrei argomentare ancora, ma temo di diventare stucchevole e molesto. provo ad imparare a lasciare l’ultima parola a chi è così gentile da rispondermi.
solo due domande retoriche:
1. sicuro che debba essere lasciato alla destra il tema della riproduzione, essenziale per la sopravvivenza della società umana?
2. sicuro che il sistema socio-economico in cui viviamo, che chiamiamo capitalistico per comodità di sintesi, non stia distruggendo alle radici la stessa riproduzione della società, oltre che l’ambiente che la rende possibile?
ma sono, appunto, due domande retoriche, altrimenti cadrei in contraddizione.
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1. No. Ma non dobbiamo diventare di destra per non lasciargli un tema.
2. Secondo me no, il capitalismo ha prodotto il più grande boom demografico della storia umana.
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quindi, secondo te, preoccuparsi della riproduzione della specie umana significa essere di destra già soltanto per questo? qualcosa mi sfugge.
il capitalismo ha certamente la colpa tremenda di avere prodotto la più grande esplosione demografica umana. come dici; ma è proprio questo che oggi mette in pericolo la sopravvivenza della specie.
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Non è quello che ho detto, ho detto che non dovremmo dare per scontato che riprodursi sia una cosa buona (cosa che tu non fai, sia chiaro). Ma i programmi “di sinistra” (o, per meglio dire, di quel centrodestra che è il centrosinistra italiano) in merito parlano tutti di aiuto alle famiglie e non, per esempio, di genitorialità consapevole. La cosa scontata per tutti è che i figli si debbano fare.
Siamo d’accordo in parte su questo, ma ciò pone problemi ulteriori: perché, se il problema è la sovrappopolazione (ed è vero in parte, mi sembra che ne abbiamo anche parlato altrove), allora il problema è tutto dei paesi in via di sviluppo, e l’Occidente può lavarsi la coscienza. Per altro, faccio notare che i messaggi in merito della destra sono contrastanti: è la sovrappopolazione degli altri a creare il riscaldamento globale; ma voi i figli dovete farli.
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probabilmente la sintesi della tua risposta ha nuociuto alla mia comprensione, ma restano certamente dei punti importanti di dissenso..
il problema demografico mondiale è la tragedia del nostro tempo, considerando che la popolazione continua a crescere, anche se soprattutto nelle aree geografiche estranee all’Occidente e alla Cina. sembra fra l’altro che il migliore contraccettivo sia la moderata ricchezza…
quindi l’obiettivo, prima di uno stop all’incremento demografico, e poi di un calo misurato e non traumatico della popolazione mondiale, dovrebbe essere la prima preoccupazione dei governi e delle organizzazioni internazionali.
e, se è vero quanto detto sopra, la strada migliore per raggiungere questo obiettivo è il miglioramento delle condizioni dei paesi poveri, che, per paradosso, sono quelli dove si fanno più figli, forse perché questi appaiono ancora più come una risorsa economica che come un peso.
l’assorbimento di immigrati nei paesi ricchi è uno degli strumenti per alzare il benessere di quelle popolazioni, direttamente ed indirettamente con le rimesse in patria, e quindi anche uno strumento di limitazione delle nascite.
però, secondo le ultime proiezioni demografiche, l’Italia nel 2050 sarà ridotta a 32 milioni di abitanti, immigrazione esclusa, e questa sarà una autentica catastrofe sociale; già ora il calo annuale della popolazione sfiora il mezzo milione l’anno, considerando anche la forte emigrazione giovanile, di cui nessuno si preoccupa.
dobbiamo rifuggire dallo stato etico, che spiega ai cittadini che DEVONO fare figli, ma anche che devono farli in modo consapevole, ma dobbiamo anche sviluppare delle forme di assistenza che rendano più facile generarne a coloro che lo desiderano.
i sostegni alle famiglie in Italia sono scandalosamente bassi; la struttura fiscale è sbilanciata a favore dei single, che sono il modello sociale preferito dal capitalismo consumista, proprio perché spendono di più. il peso crescente dei nuclei cosiddetti monofamiliari, cioè formati da una persona sola, è un dramma che logora anche benessere psicologico e qualità delle relazioni umane.
comunque, fermo restando che non tocca allo stato dire ai singoli come devono vivere e che le scelte personali vanno rispettate rigorosamente, il sostegno alle famiglie con figli in Italia è un bla bla inconcludente e una ipocrisia abbastanza ripugnante.
siccome la coperta è corta, si cominci a far pagare le tasse in base al quoziente familiare e non al reddito familiare, per esempio, cioè si aumentino le tasse ai single per diminuire quelle sulle famiglie di più membri, dividendo il reddito proporzionalmente al numero dei componenti, per la definizione delle aliquote fiscali.
il fisco deve essere lo strumento per una politica sociale familiare consapevole.
ignorare questa tematica, indubbiamente complessa, e occuparsi a parole prevalentemente di altri diritti strettamente individuali, cioè dei single, è semplicemente delittuoso, secondo me.
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È una questione su cui devo riflettere prima di dare una risposta. Grazie per lo spunto.
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