il darwinismo delle religioni – borforismi 2

una religione sufficientemente radicata nel tempo può diventare un fattore che concorre alla selezione biologica della specie?

indubbiamente, soprattutto se collegata alla uccisione legale di coloro che non ne seguono i dettami di comportamento, cosa particolarmente diffusa nei monoteismi dell’Eurasia occidentale.

così il cristianesimo, qualificandosi come religione del perdono, ha via via emarginato e ridotto quel tipo umano largamente soggetto ad un mondo istintivo potentissimo e difficilmente controllabile, che era invece dominante nelle precedenti religioni pagane:

uomini che sentivano davvero le voci degli dei dentro di sé, che vivevano una psicologia dissociata e schizoide, che non si consideravano responsabili e colpevoli del loro mondo istintivo, ma lo seguivano con l’innocenza che poteva assicurare il considerarlo di natura divina, dato che gli uomini di allora davano ai loro ormoni il nome delle divinità.

a loro ha fatto seguito un tipo umano più gregario e succube, abituato a farsi guidare, prima dalla gerarchia sacerdotale, poi da quella politica e infine da quella attuale, mediatica, che ne ha preso il posto.

così, viceversa, una religione come l’islam, che santifica la vendetta, purché giusta, genera esseri umani tendenzialmente più aggressivi e meno inclini alla tolleranza.

e basta viaggiare nell’Asia buddista per vedere come quella religione abbia totalmente ingentilito i tipi umani, rendendoli più inclini alla rassegnazione.

non si tratta soltanto di condizionamenti culturali, ma di vera e propria selezione, come quella che in qualche generazione ha prodotto i diversi tipi psicologici di cani, ad esempio, o i polli domestici: selezionando, nascita dopo nascita, coloro che avevano le caratteristiche che più si avvicinavano alle richieste. rendendo impopolari, e dunque meno attraenti ai fini matrimoniali e riproduttivi, in genere, coloro che si qualificano come trasgressori abituali di quelle regole.

.. . .

ma le religioni sono in rapporto col darwinismo della selezione non soltanto come soggetto attivo selezionante, ma anche come oggetto della selezione.

la stessa selezione del più adatto privilegia le religioni più adatte ad un particolare contesto ambientale e può farle declinare, se questo cambia e loro non sanno adattarsi ai mutamenti.

la travolgente trasformazione del clima in questi ultimi anni sta creando ambienti naturali del tutto nuovi rispetto al passato.

le religioni più adatte ad un certo clima e a determinati ambienti connessi, possono diventare inadeguate, se l’ambiente si trasforma radicalmente.

le religioni del perdono sono particolarmente in voga e adatte nelle società dei beni sovrabbondanti; ma saranno in grado di sopravvivere in un mondo delle risorse declinanti e delle inevitabili guerre civili umane per accaparrarsele?

no, a meno che non diventino una nuova religione dell’identità e della vendetta, e il cristianesimo non torni ad essere un ebraismo convinto che il popolo a cui si appartiene sia quello perfetto, privilegiato da Dio.

Pubblicità

14 commenti

  1. Non avevo mai pensato alle religioni come “strumento” di selezione naturale, piuttosto ho sempre pensato al contrario (come dici nella seconda parte dell’articolo).

    Credo nell’esistenza tra la forza dell’Ordine e quella del Caso. Inevitabilmente l’Ordine cerca di sopprimere il Caos così da avere il controllo della situazione e dunque il potere: grazie all’Ordine ottengo prevedibilità, dunque pace.
    Quando l’Ordine diventa intollerante e pretende l’eliminazione completa del Caos, diventa dittatura.

    In origine religione e politica non erano distinte: il capo religioso era il capo politico.
    E il capo incarna sempre la forza dell’Ordine altrimenti non potrebbe costruire nulla.

    Questo per dire che forse è inevitabile aver avuto religioni che “selezionano” gli individui più adatti per essere governati: l’Ordine cerca sempre di contenere il Caos.

    In merito all’idea di Dio ci sarebbe molto da dire.
    Secondo me non conta tanto il credere o il non credere, conta l’essere aperti o l’essere chiusi.
    Il problema è quando si pensa di sapere già tutto quello che c’è da sapere e di non aver bisogno di ascoltare nient’altro.
    Questa è la chiusura e la può avere sia il credente (che ritiene di aver trovato la certezza nel suo Dio) sia l’ateo (che ritiene chiusa la questione Dio).
    Allo stesso modo, l’apertura può avercela sia il credente (che contempla il Mistero di Dio) sia l’ateo (che contempla il Mistero dell’Esistenza).
    Questa, secondo me, è la cosa più importante.

    Leggendo i commenti sopra, credo di avere una visione simile alla tua e simile a Krammer.
    Credo che Dio sia una questione assolutamente tutta umana (non potrebbe essere altrimenti).
    È il Valore che ha più valore nella scala gerarchica di tutti i valori di una persona o di un gruppo di persone.
    In questi termini, non ci sono atei, tutti hanno un dio che seguono e che detta i principi della loro vita.

    Se parliamo di Enti Superiori che abitano i Cieli, credo che la pura ragione (la Mente e il pensare) possa portare solo all’agnosticismo.
    Se si usa qualcos’altro (il cosiddetto Cuore e il sentire), potrebbe esserci spazio anche per Altro: questa è, per me, la spiritualità, quell’attitudine di apertura che accennavo sopra.

    Mi scuso per la lunghezza ma il tuo articolo (e i commenti con Krammer) sono molto stimolanti.

    "Mi piace"

    • benvenuto su questo blog e grazie per il commento articolato e riflessivo. mi piacciono i commenti così.

      mi prendo un po’ di tempo fino a stasera per risponderti in maniera altrettanto articolata, come merita il tuo discorso.

      intanto spero che tu abbia spuntato la casella per ricevere le notifiche dei commenti al post; wordpress aveva bloccato di default il tuo commento, visto che era la prima volta che ne facevi uno, ma i prossimi scorreranno liberi.

      Piace a 1 persona

    • neppure io avevo mai pensato che le religioni potessero essere messe in relazione con la selezione naturale, prima di avere avuto questa intuizione, che però mi pare funzioni abbastanza bene…

      la religione e la politica non sono in nessun modo distinte e neppure distinguibili neppure adesso; la religione è un fatto collettivo, e dunque per sua natura profondamente politico.

      la tua lettura del conflitto tra ordine e caos potrebbe essere anche tradotta in termini fisici, come lotta della vita contro l’entropia; e dunque la religione è proprio una forza collettiva che si oppone all’entropia e cerca di salvare la collettività dalle forze che la disgregano. questo non significa però che sia sempre effettivamente efficace per lo scopo.

      condivido a fondo l’idea della religione come fatto profondamente umano ed anche quella che come concetto vada distinta dal culto; ci sono visioni del mondo, religiose in senso lato, che non si traducono affatto in forme di culto organizzate ed anche forme di culto che si sviluppano senza fede religiosa, come hanno dimostrato e dimostrano fenomeni come il culto del capo politico in regimi totalitari.

      non condivido quindi la tua idea di individuare un Dio in ogni forma di pensiero religioso; oltretutto l’idea di Dio è molto varia: le tre religioni monoteiste hanno sviluppato l’idea di un Dio personale, ma questa idea manca nelle religioni orientali come buddismo, confucianesimo, taoismo, e nell’induismo è molto complicato dalla coesistenza tra un unico fondamento divino di natura pure abbastanza impersonale e le sue innumerevoli personificazioni sotto forma di dei distinti.
      quindi non dovremmo dare per scontato che l’idea di Dio coincida con quella che i cristiani chiamano Dio Padre, gli ebrei Jahvé e i musulmani Allah.

      io mi ritengo ateo nel senso che non ritengo che un Dio personale possa esistere nel senso comune che diamo alla parola e neppure che il mondo per esistere abbia bisogno di un qualche principio creatore, ma che sia in grado di auto-porsi.
      però trovo che piuttosto che dividersi nella discussione sull’esistenza o non esistenza di dio, sarebbe molto più utile discutere sul significato che diamo alla parola.
      meglio confrontarsi su che cosa rappresenta la parola dio, per ciascuno di noi, che discutere se possa avere esistenza, dato che mi pare evidente che, se esiste, non esiste nel modo in cui esistono tutte le altre cose sensibili alle quali riconosciamo questa natura.
      dio esiste certamente come oggetto mentale umano, in questo senso anche nella mente di chi gli nega l’esistenza reale.
      ma chi afferma che esiste, che cosa intende esattamente?
      potremmo scoprire che il significato che attribuisce in questo caso alla parola esistere può essere identico a quello che gli attribuisce anche l’ateo, e cioè che anche per lui Dio è un’idea, e che tutta la differenza fra l’ateo e il credente sta nella decisione se fare propria questa idea e riconoscervisi come interni, per così dire, oppure no, cioè quella che comunemente chiamiamo fede.

      ma, alla fine, quello che soprattutto importa, è togliere in ogni modo forza alla possibilità che la diversità delle scelte tra fede e no possa diventare una forma di contrapposizione e fornire il pretesto per procedimenti violenti di esclusione e persecuzione, da una parte e dall’altra.
      un poco utopistico, considerando che la storia umana mostra in prevalenza persecuzioni e uccisioni da parte degli uomini di fede contro chi non la condivideva, ma in tempi più recenti non ha lesinato neppure esempi contrari.

      – come vedi, neppure io sono stato breve, però trovo interessante anche io discutere di queste cose. grazie quindi di nuovo degli spunti dati.

      Piace a 1 persona

      • Da un punto di vista “antropologico”, Dio potrebbe essere ciò che una persona o un gruppo di persone considera di maggior valore.

        Prendendola molto larga, i nostri antenati – da quando la Coscienza si affacciò nella loro testa – iniziarono a notare le azioni che portavano beneficio e le azioni che non portavano beneficio.
        Per beneficio si intende pace, prosperità, benessere, riduzione del dolore, sicurezza e protezione.
        Dedussero ed articolarono ciò che era Bene e ciò che era Male.
        I 10 comandamenti dunque non erano dettati davvero da un Dio su una montagna, ma erano preziose constatazioni che la Coscienza – in anni e anni di osservazioni, errori e successi – erano state definite.
        Alcune azioni erano dunque benedette (facevano bene ai singoli e alla società), altre maledette (facevano del male ai singoli o alla società).
        Forse i nostri antenati non erano consapevoli che quella voce in testa era la Coscienza, perciò immaginarono che fosse un Dio che “parlava” e suggeriva cosa fare o non fare.
        Il Super-Io freudiano.

        Se “Dio” dunque è l’apice della gerarchia di tutte le cose che consideriamo “Bene”, non può esserci ateismo in questi termini.
        E in qualche modo credo che questo sia presente anche ad oriente, essendo qualcosa di “psicologico” e dunque universale.
        Non conosco bene il mondo orientale, ma posso azzardare che un “Dio” sia il Tao: i cinesi consideravano come valore più importante di tutti l’Equilibrio tra gli opposti.
        Per il buddismo, ad esempio, un “Dio” potrebbe essere il Vuoto: la cosa più importante di tutte è giungere a non desiderare.

        Riguardo la storica diatriba tra credenti e atei la vedo come te.
        Il problema sorge quando il movimento dominante vuole eliminare totalmente i movimenti dissidenti: quando si arriva a fare questo, significa che si ha l’arrogante pretesa di avere in mano la Verità e perciò tutto il resto è “sbagliato”, dunque da sradicare.
        Ecco la follia della dittatura e del totalitarismo, errore su cui cadde la Chiesa di allora.
        Il “Dio Vivente”, ovvero sempre in evoluzione, non era più “Dio Vivente” ma piuttosto era divenuto statico, rigido e mummificato.
        La Fede non era Fede, ma aveva la pretesa di essere Certezza.

        "Mi piace"

        • mi sembra che per l’aspetto centrale siamo arrivati a posizioni comuni, il che non è cosa da poco , considerando che muoviamo da punti di vista diversi. questo per dire che condivido quasi del tutto quello che scrivi.

          farei due piccole osservazioni di dettaglio.

          Jaynes, nel suo libro meraviglioso Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza, ipotizza che fino a qualche secolo fa il modo stesso di funzionare della mente umana fosse molto differente dall’attuale e che la percezione di voci interiori fosse non una metafora, ma un modo comune e una vera e propria esperienza socialmente condivisa.
          questo a proposito di voce in testa, che dice che cosa è bene e che cosa è male.

          ma qui viene la seconda osservazione fondamentale, ed è che questa non era UNA voce, che diceva che cosa era bene e che cosa era male, ma erano molte voci.
          per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani non sono stati monoteisti, non hanno creduto ad un unico principio morale a cui dare il nome di Dio, o comunque da considerare divino, come avviene nelle religioni orientali; ma hanno sentito le voci di una pluralità di dei, spesso discordanti, che dicevano egualmente che cosa fare, ma senza implicazioni morali.
          per millenni e millenni gli uomini hanno seguito le voci degli dei o degli spiriti, a seconda di come li chiamavano, senza chiedersi se quello che indicavano di fare era qualcosa si morale oppure no, perché non hanno avuto una morale unitaria da seguire.
          questa svolta è avvenuta a partire, più o meno da Buddha, Zoroastro, Lao Tzu, e poi è arrivata anche in Occidente, qualche secolo dopo, col cristianesimo e l’islamismo.
          anche l’ebraismo si è adeguato in quel periodo, diventando monoteista in senso stretto, mentre prima era monolatrico ma in un mondo che naturalmente appariva comunque politeistico.

          rileggere i testi antichi in questa luce è davvero illuminante.
          ma il monoteismo è una innovazione culturale che ha meno di tremila anni, e corrisponde probabilmente ad un importante salto evolutivo delle società umane.
          non è del tutto chiaro se sopravviverà, nella società consumistica del presente, del resto; a me pare che stia di fatto morendo.

          "Mi piace"

          • Davvero molto interessante. Ho preso nota anche del libro di Jaynes che non conoscevo.

            Anche nella stessa Bibbia si può trovare una conferma a questa idea.
            All’inizio Dio parla moltissimo all’uomo, in modo molto diretto.
            Man mano che si prosegue nella lettura, Dio inizia a parlare meno, fino a scomparire quasi del tutto.

            Il passaggio dal politeismo al monoteismo è altrettanto interessante: è come se, tra le mille voci che popolavano la Mente dell’uomo, alla fine abbia vinto una, il Dio più importante tra tutti gli dèi.

            Non so se il monoteismo sopravviverà. Giocando un po’ con la fantasia (ma neanche più di tanto) credo che l’avanzare della tecnica (Intelligenza artificiale soprattutto) farà entrare in scena un nuovo Oracolo.
            La macchina sarà talmente tanto potente che sarà in grado di fare previsioni sempre piu accurate, sia su scala globale che su scala individuale.
            Già oggi esistono Algoritmi che prendendo in input un testo scritto da una persona, riescono a tracciare un profilo psicologico.
            Se già non lo hai fatto, prova a dare un’occhiata a ChatGPT, una intelligenza artificiale in grado di capire ciò che chiediamo e di fornire risposte convincenti su molti argomenti.
            Un domani la macchina risponderà a tutte le nostre domande.
            Dio sarà l’Algoritmo?

            "Mi piace"

            • domande interessanti, e considerazioni altrettanto stimolanti.

              vero anche quello che dici sulla Bibbia: questi colloqui degli uomini del passato con le loro divinità, che appaiono come una prassi normale nei testi del lontano passato, noi oggi le prendiamo come figure letterarie, ma la cosa è molto superficiale.
              è come se allora gli uomini attribuissero a qualche entità esterna quella noi oggi consideriamo la voce interiore della nostra autocoscienza.
              se io adesso penso qualcosa prima di scriverlo e mi convinco che è una voce divina esterna a me, eccomi diventato un uomo del passato.
              tutto questo, evidentemente, ha molto a che fare col fatto che la scrittura è diventata di uso comune e che l’uomo successivo passava molto più tempo a parlare con se stesso.

              ho dato un’occhiata a ChatGPT, e ne ha chiacchierato un po’ anche qui, da una posizione un poco anomala che non ha trovato troppi consensi.

              discutendo (?) con ChatGPT sull’Intelligenza Artificiale – 27

              ho poi cercato di approfondire entrando nel programma, ma per qualche motivo che non mi spiego, non riesco a connettermi. riproverò.

              Piace a 1 persona

  2. post meraviglioso.
    riporta in modo chiaro e sintetico anche il mio pensiero in generale, ed in particolare trovo appropriate queste categorizzazioni scheletrico mentali come causa-effetto delle religioni di cui hai parlato.

    ho visto poi il link al tuo vecchio articolo del 2013 che non ricordavo:

    la favola dei nove anelli. – borforismi [5]

    ficcanti!
    qui avevi associato l’islam con l’orgoglio invece che con la vendetta. forse la seconda la trovo più adeguata ma ci sta anche il primo. l’islam è anche la religione più giovane tra tutte, ed i moti giovanili sono di solito quelli più accorati.
    non mi esprimo sul cristianesimo ortodosso non conoscendolo affatto.

    le associazioni con le tre religioni orientali le trovo splendide ed azzeccate.

    potremmo dire che anche i monoteismi producono in generale conformismo come il confucianesimo, ma nel caso di quella religione orientale si traduce in un conformismo sociale più allargato, “di stato”, dove invece le religioni occidentali inducono ad un conformismo sociale più limitato, “di gruppo”, che raramente trova adesione con le regole dello stato.
    è anche vero che gli stati occidentali negli ultimi secoli hanno in genere cercato di emanciparsi e non di rado sono andati anche in contrasto con le varie religioni monoteiste.
    il confucianesimo – anche di questo a dir la verità lo conosco poco – mi pare sia impostato in una modalità molto più primordiale e “pratica”, diciamo che è concepito proprio per essere al servizio dei governanti. un po’ come potevano essere i politeismi greci, romani o norreni, per dire.

    è più che altro con i monoteismi che la religione in qualche modo ha voluto “emanciparsi” dallo stato o meglio dai regnanti in essere, per concorrere al loro potere invece di continuare a servirlo restando in secondo piano. legittimando ed autorizzando nuove figure, nuovi personaggi contrapposti all’establishment di potere, che poteva essere un sovrano quanto una congrega aristocratica.
    vedi anche l’anticipazione monoteistica di Akhenaton in Egitto, che probabilmente voleva sbarazzarsi della casta religiosa tradizionale che ne limitava il suo potere.
    la differenza in quel caso, rispetto ai successivi monoteismi “classici”, è che la spinta contro-lo-stato arrivò singolarmente dall’alto, dalla massima autorità in fatto di potere, in autonomia, e non dal basso agendo con il supporto della massa, cosa che in genere crea il presupposto di un successo più duraturo (come verificatosi invece con Costantino).

    magari ti sanguineranno le orecchie a sentirlo, ma dal punto di vista evolutivo della cultura umana io trovo assonanza con i moti della rivoluzione francese e anche di quella russa.
    dinamiche per certi versi molto simili, solo che in tal caso l’ideologia dogmatica che accomunava il movimento di massa era quella illuministica e raziocinante dell’intelletto, della scienza.
    sorvolando sul pretesto o meglio sul grimaldello d’azione – la ragione anzichè la religione – nel fine di queste evoluzioni in entrambe i casi si sono create nuove culture sociali per sostenere una nuovo governo che sostituisse la singola autorità reale con un nuovo potere di casta, più allargato.

    si potrebbe dire che tutti i tentativi di governo del “singolo” – sovrano, re o imperatore – sia globalmente fallito è si è ritornati quasi ovunque a nuove forme di oligarchia sfociando infine oggigiorno nel governo quasi universale di chi detiene il potere economico.
    con folate individualistiche di breve durata – se prese dal punto di vista storico – costituite dalle dittature e dai regimi fascisti: potremmo dire che questi si servono della massa attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione unito alla repressione del dissenso, dove invece le oligarchie democratiche si servono della massa attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione e l’olio del denaro, il miraggio del benessere o meglio dei beni non indispensabili attraverso l’ingranaggio produzione-consumo, il nuovo dio PIL (le democrazie si basano infatti in primis sulla corruzione oltre che sul populismo).

    in realtà non è che i più antichi governi non si fondassero tutti da sempre sul controllo delle risorse-denaro e dell’informazione-conoscenza/superstizione.
    si differenziano soltanto nella spartizione più o meno variegata dei ruoli di potere, dove parrebbe che le formule più vincenti, parallelamente alla crescita iperbolica dell’informazione, siano quelle dove il potere sia spartito tra un numero maggiore di persone, e dove le panze della massa siano meglio sedate dalle droghe materiali e culturali.
    dove per droga materiale comprendo i beni non indispensabili derivati dalla produttività, con inevitabile dissoluzione degli equilibri ecologici del nostro limitato pianeta terra, specie al crescere della popolazione.

    ___________

    hai viaggiato spesso in india ma non hai fatto accenni all’induismo.

    io direi in generale che le religioni orientali hanno mantenuto storicamente un’impronta di servilismo al potere costituito – confucianesimo ed induismo – oppure di indifferenza passiva ed opportunismo – buddismo e taoismo – dove invece in occidente la spinta culturale si è sviluppata negli ultimi due o tre millenni in contrasto con il potere costituito, mosse piuttosto a scardinarlo e sostituirlo.

    alla luce di quanto scritto sopra mi verrebbe da dire che questa evidenza sia derivata da una matrice culturale che in oriente è rimasta più “primitiva” e consona al benessere psicofisico dell’individuo umano, nel senso che hanno saputo mantenere sufficienti livelli di spartizione del potere e di sedazione della massa tali da impedire rilevanti spinte culturali di rottura-rivoluzione dell’establishment.
    l’occidente pare più dominato dall’aggressività, dal desiderio di potenza e di prevaricazione piuttosto che nelle popolazioni orientali: questo ha dato la propulsione all’evoluzione del cosiddetto “progresso”, la ricerca, la scoperta, il controllo, il dominio.
    chissà perchè… lo trovo un fatto curioso che potrebbe avere un qualche tipo di spiegazione, oppure no.
    perchè la specie antropomorfa bonomo, a sud del fiume congo, è mansueta e matriarcale, mentre la quasi identica specie scimpanzè, su nord del congo, è invece aggressiva e patriarcale?

    _____________

    _l’ateismo la nausea:_
    centratissimo.

    l’ateismo nega in modo raziocinante tutte le pulsioni spirituali proprie della nostra specie, ci toglie le radici da sotto i piedi e lo fa, aggiungo, nel modo più sciocco e ipocrita.
    detto che qualsiasi religione è pura narrazione e fantasia, negare a priori ipotetiche “divinità”, qualsiasi cosa possa significare tale termine, non ha fondamento scientifico. è puro dogmatismo e della peggior fattura.
    una persona intelligente che non crede o meglio non che non sente in sè pulsioni spirituali dovrebbe dichiararsi agnostico. il massimo della conoscenza della filosofia occidentale per me si potrebbe benissimo chiudere con Socrate, il resto è intrattenimento.

    la verità è che non conosciamo uno stracazzo di niente – al giorno d’oggi meno che meno – di cosa sia di fondo la natura, l’universo, l’esistenza, la vita, la conoscenza e la coscienza. la scienza non studia, non ha mai studiato e non può studiare questi misteri, non può arrivare al regno del cosiddetto noumeno kantiano. dove la scienza è l’estensione critica del nostro intelletto applicato ai nostri strumenti sensoriali.
    nell’ambito del noumeno possiamo fare soltanto ipotesi non sperimentabili – altrimenti rientreremmo nel fenomeno – ovvero in ogni caso di parla di narrativa, alla stessa stregua della più becera o suadente religione. affermare il nulla ha lo stesso significato che affermare dio, che sia unità o molteplicità di qualsiasi forma.
    arrogarsi di negare ciò che non possiamo affatto sondare, consuetudine che viene applicata già dai tempi prescientifici di Occam, è la spada di damocle della nostra stupida e sopravvalutata specie animale.
    ciò che è complicato non lo vogliamo e lo scartiamo per principio se ci sono spiegazioni più semplici, eppure nella realtà tutto è estremamente complicato, relativo, caotico ed interconnesso con una base fenomenica probabilistica.
    questo ci insegna l’attuale scienza, oggi. in futuro chissà.

    la solitudine ed il baratro esistenziale acquisiscono profonda valenza sociale se vissuta ad esempio nell’ottica leopardiana, da cui scaturiscono legami affettivi e solidarietà.
    ma i profeti del nulla che non pongono anche un senso pratico alla vita, che non sanno suggerire una qualche strada da percorrere, un qualche obiettivo ancorché consapevolmente vano o immaginifico, a mio avviso sono solo dei degli inutili ciarlatani.

    ________________

    e come al solito volevo commentare con poche righe ed ho scritto un papiro…
    ciao 🙂

    Piace a 1 persona

    • ecco un post di quelli che si ricordano, ricchissimo di riferimenti, e non lo dico certo per ricambiare i complimenti che mi hai fatto. seguirti in tutte le tue ricche considerazioni mi porterebbe a scrivere quasi un libro, anziché un commento, dato che non sono certo più portato alla sintesi di te. per questo raccolgo solo alcuni spunti e mi concentro sui punti di differenziazione del discorso.

      1. hai colto acu5tamente una differenza tra il post di dieci anni fa e quello di oggi nel giudizio sintetico sull’islam; ti ringrazio, perché da solo non me ne sarei accorto. nel 2012 ho scritto che l’islam produce l’orgoglio (chiaro rovesciamento sarcastico dell’atteggiamento che la Fallaci proponeva di opporre all’islam, nel suo libro La rabbia e l’orgoglio; tra le righe era come dire che potenziare l’orgoglio faceva diventare un poco islamici anche noi, considerando che invece il cristianesimo considera l’umiltà come una virtù e la superbia, che è un orgoglio potenziato, come un peccato capitale).
      ma non credo che l’orgoglio vada separato dalla vendetta, ne costituisce in qualche modo l’antefatto. ma concentrarmi nella vendetta santificata dall’islam è stato anche l’effetto degli anni della lotta all’islamismo.
      comunque la definizione più antica è più ampia, e la considero più valida, riflettendoci come mi hai fatto fare.

      2. azzeccata l’osservazione che le religioni orientali producono un conformismo di tipo sociale, universale, mentre le religioni occidentali, attualmente, tendono piuttosto a produrre conformismi di gruppo. ma credo che dipenda dall’evoluzione storica diversa di queste due aree del mondo e dalle dinamiche a cui accenni anche tu subito dopo, non da una differenza di sostanza tra queste religioni. anche il cristianesimo ha cercato di produrre per più di mille anni, dopo essere diventato la religione dominate, un conformismo sociale globale, non risparmiando la violenza di stato per raggiungere lo scopo, attraverso la persecuzione e la soppressione dei dissidenti; semplicemente, dalla rivoluzione francese in poi non ci è più riuscito ed ha dovuto ripiegare a diventare soltanto il cemento del conformismo del gruppo dei fedeli.
      c’è anche da aggiungere che da ultimo il fenomeno migratorio, con la creazione di robuste minoranze che seguono religioni diverse, rende di fatto impossibile ad una religione sola proporsi ancora lo scopo di creare un conformismo sociale globale, ed ognuna deve appunto occuparsi del conformismo dei suoi fedeli; solo che in questo caso il conformismo rispetto alla religione prevale rispetto a quello rispetto allo stato, e in questo modo le religioni da strumento originario di rafforzamento del potere politico dello stato, ne diventano invece un ostacolo (la lunga lotta 1870-1929 tra stato italiano e religione cattolica ne è solo un esempio clamoroso); è comunque abbastanza evidente lo scivolamento moderno delle religioni, quasi tutte, verso forme di opposizione allo stato piuttosto che di univoca collaborazione. ma il discorso andrebbe fortemente differenziato con analisi particolari e questa mia affermazione generale è troppo vaga e generica.

      3. dovrei dire molto sull’analisi successiva, ma rischio di debordare, e mi astengo, dato che comunque la condivido in linea di massima, salvo un dissenso radicale che però dirò alla fine.

      4. credo di avere parlato molto dell’induismo, al contrario di quello che dici, però è vero che l’ho fatto quasi esclusivamente nel contesto dei racconti dei miei viaggi. capisco che dovrei dartene qualche prova, ma sarebbe un lavoro molto complesso e lungo (lo lascerò fare ai posteri, quando verrò riscoperto, ahaha). però anche soltanto nei resoconti dallo Sri Lanka finora pubblicati i riferimenti sono frequenti, soprattutto quando parlo dei tamil, la minoranza indiana nel paese, prevalentemente induista, ma in parte anche islamica.
      mi viene in mente adesso un mio video che sinteticamente accenna ad un confronto fra cristianesimo e induismo; mi accorgo adesso di averne fatto due versioni:

      il confronto visivo forse è più chiaro ed esplicito di molte parole.

      comunque credo che l’induismo, nonostante il revival di fine Ottocento e la reinterpretazione gandhiana sia, tra tutte le religioni, quella rimasta più estranea alle dinamiche del potere, oltre che la meno “evoluta” in senso moderno.

      non mi pare corretto parlare di servilismo dell’induismo rispetto al potere; piuttosto la chiave interpretativa più autentica, secondo me, è l’indifferenza rispetto al potere. l’induismo è oltre, guarda filosoficamente all’universale condizione umana; non si occupa del potere politico, lo considera un fenomeno molto marginale.
      ti dico una cosa personale: da anni io verso il mio 8 per mille alla comunità induista italiana, per evitare che vada comunque alla chiesa cattolica, considerandolo la religione più vicina alla mia sensibilità, visto che l’ateismo non è riconosciuto come religione, e meglio così.

      4 bis. lo stesso non può certo dirsi del buddismo, che in diversi paesi dell’Asia (Sri Lanka, Myanmar), nella sua versione più integralistica, è un preciso supporto di governi autoritari, ma meglio forse si dovrebbe dire che si serve di loro per esercitare il suo potere; e ci si dovrebbe aggiungere anche il Tibet, se lì il governo cinese non impedisse la teocrazia attorno al Dalai Lama.
      contro tutta la mistica filo-buddista in voga, occorre ricordare che in Myanmar e in Sri Lanka il buddismo dei monaci dal corpo sacro ed intoccabile ha alimentato feroci guerre civili, che poco hanno da invidiare a quelle condotte dagli islamisti; solo ci interessano meno, perché mettono meno a rischio il petrolio che ci serve.
      https://comma22corpus.wordpress.com/2022/12/27/buon-natale-rohingya-542/

      5. ho introdotto in questo modo anche il punto del nostro dissenso.
      dovrebbe essere abbastanza chiaro che la mia allusione finale alla religione “che restituisce l’immagine reale ingrandita” si riferisce proprio all’ateismo.
      tu affermi che l’ateismo “nega in modo raziocinante tutte le pulsioni spirituali proprie della nostra specie”.
      e perché mai? la tua affermazione è valida soltanto se si riferisce ai due diversi tentativi storici di farne una religione di stato (rivoluzione francese e
      marxismo-leninismo stalinista), ma il loro fallimento abbastanza rapido dimostra una certa costituzionale incapacità dell’ateismo di accompagnare questa trasformazione.
      i variegati regimi comunisti esistenti o che almeno si definiscono come tali (Cina, Vietnam, Laos, Corea del Nord, Cuba) hanno tutti da tempo stabilito un rapporto con le religioni tradizionali dei loro paesi; in Laos anzi esiste un particolare esempio di diarchia tra partito comunista e clero buddista, che vede uno strano regime buddo-comunista…

      ma vengo alla tua stroncatura feroce dell’ateismo, nel quale mi riconosco, senza rifiutare la componente di religiosità della mia esistenza, ma senza farle assumere le formule costruttive di qualche religione costituita.
      l’ateismo non ha bisogno di negare la religiosità e neppure le forme religiose organizzate che può assumere; la riconosce come un fenomeno umano; ammette la religione, senza accettare la sua pretesa di affermare una trascendenza che sia reale e non un bisogno psicologico.
      in qualche lontano borforisma scrissi che è assurdo negare dio: sarebbe come negare che esistano il pensiero o i sogni. dio certamente esiste, come oggetto del pensiero umano. solo uno stupido potrebbe negarlo.

      il dio degli atei è dunque una espressione del dubbio e dell’apertura mentale, il dio dei credenti è necessariamente chiusura ed impoverimento delle domande esistenziali connesse; in poche parole la fede è la risposta alla religiosità quando diventa insostenibile psicologicamente; restare atei significa tenerla viva.

      l’esempio dell’ostinatamente ateo Leopardi è il più pertinente: solo un ateo come lui ha potuto scrivere L’infinito, che è la più bella poesia religiosa mai scritta in Italia dopo il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi.

      e chi lo dice che non si possa avere una visione positiva del nulla, come spazio vuoto da cui germogliano tutte le vite? chi lo dice che proprio la negazione di un dio onnipotente e provvidenziale non sia la base migliore per un’etica della responsabilità individuale e della solidarietà collettiva?

      Piace a 1 persona

      • intendevo dire che non avevi fatto accenni sull’induismo nei due post di cui ho parlato, in particolare in quello di dieci anni fa in cui avevi associato ad ognuna delle religioni più diffuse un’etichetta psicologica: mancava solo l’induismo 🙂
        leggendo la tua risposta di adesso intuisco che mancava dalla lista forse perchè era quella su cui trovavi meno connotazioni psicologiche specifiche, essendo rimasta come giustamente scrivi la più primitiva e meno ‘evoluta’ dal punto di visto sociologico.

        l’indifferenza era la connotazione che avevi dato anche al buddismo, che d’altro canto germoglia dall’induismo pur se si contrappone ad esso con la sua connotazione più radicale, dirompente e rivoluzionaria, di salvezza dal samsara, raggiungibile attraverso il distacco.
        dove invece nell’induismo il samsara è inevitabile e dunque ci si pone un obiettivo diverso, direi meno indifferente rispetto al divenire dell’esistenza, per tenere pulito il proprio karma.
        inevitabile comunque che avendo una radice del tutto comune, in entrambe le religioni si professa il rispetto della vita per non sporcare il proprio karma e evitarsi sofferenza nei cicli delle future rinascite. nel buddismo l’aspirazione è il nirvana che libera dalle rinascite, ma mica è un gioco da ragazzi raggiungere la salvezza 🙂
        per cui per il resto dei buddisti più ‘umili’ valgono certe regole di base dell’induismo.
        mica come il cristianesimo in cui basta il pentimento per vedersi spalancare le porte del paradiso ehehe
        oserei dire che anche per il buddismo, un po’ come per l’ebraismo ma in modalità del tutto differenti, c’è una certa componente di arroganza, di senso di superiorità nell’aspirazione al raggiungimento della liberazione dal giogo della ‘vita comune’ ovvero della sofferenza, dove nell’induismo invece si resta molto più terra terra, riconoscendo umilmente il proprio posto nel mondo senza desiderio di trascendere dagli inganni di maya.

        se la vita fosse uno spettacolo teatrale il buddista vorrebbe stare in platea per contemplarla dal di fuori, magari in un posizione dove sia migliore lo sguardo d’insieme. il taoista probabilmente lotterebbe per ottenere la parte di protagonista ma va benissimo anche quella di antagonista, mentre l’induista reciterebbe il ruolo che gli è stato assegnato, per quanto marginale, senza frustanti aspirazioni.
        e il confuciano probabilmente starebbe all’ingresso a prendere i biglietti e controllare che sia tutto in ordine 😀
        fuori dalla scena i credenti delle religioni monoteiste occidentali litigherebbero su quale dovrebbe essere il nome da dare allo spettacolo, e se non gli garba magari danno fuoco al teatro.

        io comunque parlavo del carattere delle religioni nella loro genesi primordiale e dell’impostazione culturale, generica e banalizzata, che le rende peculiari differenziandole nei loro tratti principali.
        senza entrare nel particolarismo storico se non in certi avvenimenti salienti di rottura, che hanno generato appunto nuove correnti culturali, nuove religioni.

        se dovessimo stare a disquisire su quanti milioni di morti ha generato qualsiasi delle religioni elencate, ateismo compreso, buonanotte.
        secolarizzate le religioni sono un potere come quello politico e militare, non c’è dubbio, e chi aspira al potere cerca di servirsi di tutte queste componenti.
        ma se vogliamo parlare di questo il mio interesse scema.

        passiamo invece al nodo cruciale, l’ateimo.
        ogni parola ha in seno un arcobaleno se la scomponiamo con il prisma della ragione.

        io mi riferisco all’ateismo popolare, che di solito si accomuna con la stupidità ed il disprezzo del credo e del sentimento spirituale altrui. che si accomuna di solito con il materialismo, o per dirlo in termini moderni con il consumismo e l’individualismo egocentrico, dove dio si trasforma in io.
        chiaramente non parlo dell’ateismo di cui parli te, che definirei piuttosto un agnosticismo razionale rigettante, in modo per me condivisibile, l’immagine di dio delle religioni canoniche.

        parlare di ateismo, così come parlare di religione, è un po’ come parlare di matematica.
        che così un numero? per quanto risulti strano è impossibile stabilirlo in modo universale ed oggettivo, com’è impossibile definire il concetto di infinito.
        in matematica si parte sempre da assiomi condivisi, a partire dai quali si costruisce un sistema.
        in questo senso la religione è molto simile alla matematica.
        lasciamo ad ognuno la matematica così come la religione che preferisce 🙂
        esistono i numeri? esiste l’infinito? esiste dio?
        certo, nella nostra mente come ben dici. esiste nel linguaggio, esiste nella storia ovvero nella memoria.
        (la parola di) dio come la matematica è uno strumento umano.
        in questo senso posso concepire l’idea dell’ateismo come la negazione dell’utilizzo di tale strumento.
        eppure credo che dio serva alla specie umana più di quanto non serva la matematica.
        eppure dall’utilizzo di dio si è arrivati alla guerra santa e dall’utilizzo della matematica alla bomba atomica.
        ok, lo strumento-dio funge da movente umano mentre la matematica è pura applicazione strumentale, d’accordo.
        ma dio come la matematica sono in ultima analisi pensiero ovvero linguaggio: ma il problema di per sè non è il linguaggio ma la lingua di chi lo pronuncia semmai, o l’orecchio di chi lo ascolta.

        ______________

        razionalmente parlando mi professo agnostico ma spiritualmente mi sento affine a ciò che di solito si richiama col termine panteismo, nel pantarei dell’esistenza. o nel pantano, che dir si voglia 🙂
        alle due principali domande esistenziali che si pone da sempre l’essere umano io rispondo:
        – non ci è dato sapere se esista una ‘giustizia divina’ nè in quale modalità essa si possa esplicare. anche nell’assunzione assiomatica del caos e della casualità degli eventi, l’evidenza della vita e della nostra stessa coscienza mi porta a concludere che è preferibile agire per la vita secondo coscienza
        – non solo non sappiamo cosa ci sia dopo la morte, ma non sappiamo neppure cosa ci sia _prima_ della morte. nonostante l’immane progredire della scienza contemporanea siamo ancora al punto zero per quanto riguarda la comprensione funzionale del flusso di coscienza, che in fondo è ciò che ci è più caro assieme ai ricordi ed agli affetti.
        se ricordi e affetti come tutto sono mutevoli e spariscono già nel corso della vita, mettiamocela pure via per questi non serve neanche attendere la morte, la coscienza è un tema più complicato perchè presuppone l’individualità del soggetto in quanto corpo. ma la nostra individualità è illusoria: in realtà siamo una costruzione stratificata su innumerevoli livelli, che con l’attuale conoscenza parte delle particelle quantistiche passando per gli atomi, le molecole, le cellule, i tessuti, gli organi e poi prosegue nel terreno su cui camminiamo, nell’aria che respiriamo, nel sole che ci permette di vivere che ruota attorno ad una galassia di altri soli che che ruota intorno ad ammassi di altre galassie che creano ragnatele cosmiche in un universo in cui non si intravede fine.
        dulcis in fundo, la materialità in quanto tale non esiste ma è piuttosto pura interazione e campo, ogni ‘particella’ si può pensare delocalizzata ovunque nell’universo nella sua componente ondulatoria e l’unica essenza che alla fine della fiera parrebbe comporre la realtà è l’informazione che si propaga col limite massimo di c, in uno spaziotempo tuttavia contorto.
        teorie olografiche cominciano a trovare riscontri a partire da modelli spaziotemporali con un’unica dimensione spaziale e tre dimensioni temporali, e via di diavolerie sempre meno comprensibile per la nostra innata intuizione naturale di esseri umani.

        ci preoccupiamo di cosa ci sia dopo quando non sappiamo niente di cosa ci sia adesso e di cosa di fatto siamo, dentro di noi come fuori di noi.
        ogni istante mutiamo ed ogni giorno ci risvegliamo con differente sentire: la cosiddetta morte in quanto disgregazione del corpo, all’interno di tale contesto, è soltanto come l’ennesimo passaggio interno al sistema di cui facciamo parte, di cui abbiamo sempre fatto parte e di cui sempre ne faremo parte.
        questo sistema universale potrei benissimo battezzarlo con il nome di dio, o immaginarlo come il suo respiro.
        se non esiste questo siffatto immaginifico dio allora non esistiamo neppure noi, non siamo mai esistiti nè mai esisteremo.

        ma queste sono solo parole d’intrattenimento 🙂
        se potessi esprimere tutto questo sbrodolare tediosi di termini in due o tre frasi al massimo, potrei chiamarla poesia.

        Piace a 1 persona

        • hai ragione, ma vedi come sono affrettato e superficiale: non avevo citato l’induismo semplicemente perché me lo ero dimenticato, e me lo ero dimenticato proprio per i motivi che dici anche tu: è una religione in qualche modo anomala, che si presta poco ad un discorso complessivo sulle religioni.

          ed ora raccolgo tutte le mie forze intellettuali per rispondere a questo commento che è di una potenza travolgente, e pone una serie di domande, anche esistenziali che richiedono una buona dose di presunzione, per tentare anche soltanto di dare una risposta; però di presunzione ne ho sempre avuta tanta, ed un pochino me ne è rimasta ancora.

          1. probabilmente hai usato la parola rivoluzionaria, in riferimento al buddismo, con un significato diverso da quello che gli attribuisco io. o forse bisogna dire che il buddismo ha rappresentato una svolta filosofica rivoluzionaria nei modi di pensare dell’Oriente quando è nato, ma certamente non è affatto stato ne è una forza rivoluzionaria, da quando si è stabilizzato come religione costituita; anzi, fra tutte le religioni è forse quella che meglio addomestica i fedeli ad obbedire al potere, dichiarandone l’insignificanza. ed infatti, appunto come dici anche tu, l’induismo non insegna affatto l’indifferenza, pur se, nel sistema delle caste, irrigidisce le classi sociali e impedisce ogni mobilità sociale, fino a che può (e questo aspetto manca nel buddismo, che invece divide il popolo credente in due gruppi soltanto: i monaci privilegiati e divinizzati e gli altri).

          2. bella l’osservazione sul cristianesimo che relativizza del tutto le leggi morali in grazia del pentimento risanatore, anche in limine mortis, che permette di aspirare alla salvezza ultraterrena anche al più incallito dei peccatori. con la reincarnazione induista e buddista, invece non si scherza: resta legata ad un bilancio complessivo dell’esistenza e non a un flash dell’ultimo minuto: aberrazione evidente dell’etica cattolica.

          3. anche sul paragone tra l’arroganza buddista e l’umiltà induista hai una buona dose di ragione, ma a patto di limitare l’arroganza ai monaci, come tu stesso hai accennato; raramente ho trovato gruppi sociali arroganti come i monaci buddisti, in particolare dei paesi dove domina il buddismo teocratico, come lo Sri Lanka e il Myanmar; forse soltanto il gruppo degli industriali e degli imprenditori, da noi, esprime una arroganza simile, e del resto è ben giustificata, dato che sono i nuovi sacerdoti della religione del PIL.

          4. (spassosa la metafora o parabola delle religioni come spettacolo teatrale…).

          5. per me l’interesse per gli aspetti storico-sociali del potere religioso non interferisce col tentativo di comprenderne le ragioni e le radici più profonde; anzi mi pare che le due visioni si integrino bene fra loro…

          6. sull’ateismo credo che le nostre divergenze siano più di apparenza che di sostanza.
          io non definirei mai atea la massa indifferente alla dimensione problematica dell’esistenza umana e intesa solo al soddisfacimento di bisogni materiali, peraltro ampiamente indotti e collegati al possesso di beni superflui. qui non parlerei neppure di agnosticismo, ma proprio di pura e semplice indifferenza o addirittura di a-religiosità, che vedo come una specie di mutilazione psicologica, così come l’an-affettività, alla quale del resto spesso e volentieri si accompagna e con cui convive benissimo.
          neppure mi riconosco nella definizione di agnostico, che implicherebbe che io non sappia bene che cosa pensare sul problema; e invece no, ho le idee molto chiare e non credo affatto che Dio esista nel senso che diamo alla parola quando parliamo di oggetti reali. Dio non è verificabile, e dunque la sua esistenza è di un tipo diverso dall’esistenza che attribuiamo alle cose. è infatti un’esistenza solamente soggettiva nella testa degli uomini. ed è sempre una proiezione abnorme dell’io, che si immagina un Dio per sentirsi onnipotente ed immortale. ma le religioni orientali (buddismo, confucianesimo, taoismo, non conoscono nessuna idea di un Dio personale antropoformizzato come in Occidente.
          io condivido la tua aspirazione a consentire che ciascuno possa aderire alla visione religiosa del mondo che preferisce, riconoscendo però anche l’ateismo come una religione (è uno scandalo, ad esempio, che non sia possibile in Italia versare l’8 per mille all’Unione degli Atei e dei razionalisti; a questa associazione è possibile destinare il 5 per mille aggiuntivo, ma non viene riconosciuta come un orientamento religioso che il cittadino avrebbe il diritto di finanziare, come sua scelta religiosa).

          7. sicuramente l’ateismo è la negazione dell’utilizzo dello strumento mentale e psicologico Dio, ma soltanto per se stessi; nessuna obiezione all’utilizzo da parte di altri che lo trovano benefico per se stessi, a meno che non si debba intervenire per impedire abusi della credulità popolare e strumentalizzazione politiche, a volte anche violente e sanguinose.

          8. la propaganda cattolica, peraltro, ci impedisce di vedere che l’idea occidentale di un dio personale esiste soltanto in una netta minoranza della popolazione mondiale, e la maggioranza crede alla figura di Dio come concentrato trans-personale di poteri condivisi dalla comunità.

          9. a me pare evidente che ci è dato di sapere benissimo che una giustizia divina non esiste; prove non me mancano certamente e del resto il concetto di giustizia è talmente umano che non si vede come possa essere attribuito ad una realtà che trascende questa dimensione, senza limitarla e ridurla a proporzioni umane; quello che manca è la capacità di vivere sapendo che il mondo è senza giustizia.
          questo nulla toglie all’assioma che è comunque meglio vivere secondo giustizia, sempre che questo concetto di giustizia sia ispirato ai valori della solidarietà fra gli esseri umani

          10. altrettanto bene sappiamo che cosa c’è dopo la morte: ritroveremo nel profondo e definitivo sono finale il nulla della coscienza dalla quale questa peraltro è venuta. è difficile accettare la morte da giovani, quando si è nel pieno delle forze e del vigore, ma l’invecchiamento aiuta, e chi muore vecchio può farlo serenamente e senza paura, se ha saputo vivere una vita piena. la morte è tanto più dura da accettare quando più la vita vissuta è stata insoddisfacente.

          tutto il resto è troppo bello, per commentarlo, lo sciuperei, e lo sottoscrivo pienamente. tu ti dici una panteista agnostico; naturalmente, battezzando col nome di dio, la vita universale non puoi pensare che questa divinità del cosmo possa avere una qualunque affinità con l’identità personale umana, che ne è soltanto una dimensione parcellizzata e transeunte.
          questo tuo dio assomiglia talmente al mio nulla creativo e ribollente di germi di vita che anche io vedo come espressione ultima del mondo che veramente ogni distinzione è soltanto terminologica; ma io non uso la parola dio per non aprire il minimo spiraglio verso le arroganti religioni del monoteismo antropomorfico.

          sul resto, ti rispondo al prossimo commento.

          Piace a 1 persona

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...